Ipse dixit
Vademecum per un apprendista torero
"Si può gettar sabbia negli occhi del toro; si può tentare di addormentare il toro con una ninna nanna; e infine ci si può rifiutare di scendere nell’arena."
- Robert M. Pirsig
La causa che divide gli Agnelli.
A quasi sette anni dalla morte di Gianni Agnelli, una disputa sull'eredità dell'ex patron della Fiat continua a provocare tensioni e a dividere un paese che un tempo lo considerava il suo re non ufficiale. La settimana scorsa si è tenuta una nuova udienza del processo civile che vede la figlia di Agnelli, Margherita Agnelli de Pahlen, contro tre dei più stretti collaboratori del padre. Il processo, in corso dall'inizio del 2008, si è svolto a porte chiuse. Ma la causa ha esposto la famiglia a una pubblicità che fino a poco tempo fa sarebbe stata impensabile.
The Wall Street Journal, Stati Uniti
http://online.wsj.com/article/SB10001424052748703811604574533721016931970.html
Per il Congresso della Cgil
NIENTE SARA' PIU' COME PRIMA
Parte seconda
Questione salariale, difesa del CCNL, piena e buona
occupazione, nuova struttura del salario
Vanno precisate ancor più oggi, nel tempo dell’accordo confederale separato sul modello contrattuale e nel settore metalmeccanico, alcune idee da focalizzare per superare questo duro impasse, anzitutto voluto da Confindustria e Governo Berlusconi, a partire dal fatto che nel paese esiste da almeno quindici anni una questione salariale pesante, attribuibile, sostanzialmente, a fenomeni, tra loro correlati: deregolazione del mercato del lavoro, da noi particolarmente decisa; eccessiva moderazione salariale, praticata con l’accordo del 23 luglio del 1993; la scomparsa di meccanismi anche minimi di indicizzazione automatica degli stipendi e dei salari; una bassissima produttività per ora lavorata, ormai strutturale al sistema paese.
Tra le cause di tali condizioni si possono annoverare la prevalenza di settori a basso contenuto tecnologico, la scarsa innovazione inserita nel ciclo lavorativo nel suo complesso, la particolare arretratezza del nostro sistema formativo ed anche lo sbriciolamento delle unità produttive nel paese. La nostra recessione, quindi, ha motivi lontani, che risalgono al ventennio precedente, nel trend negativo dell’andamento della produttività del lavoro. Ed infatti dal 2000 in poi il Pil è aumentato grazie all’aumento delle ore lavorate, ed all’accresciuta flessibilità del mercato del lavoro. Insomma, all’incremento della precarietà e non certo grazie alle innovazioni di prodotto e del ciclo produttivo.
A fronte di questo, come ormai tutti denunciano, vi è stato un aumento dei profitti e delle rendite, ed anche un aumento esponenziale dei redditi dei manager aziendali. Allora, basterebbe citare l’articolo 23 della dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 (ogni individuo che lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente; ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto a eguale retribuzione per eguale lavoro) per riferirsi ad un obiettivo che può stare realmente in questa fase sociale e politica. Anche per queste ragioni, siamo sempre più convinti del bisogno di una forma di statuto mondiale del lavoro e di un salario europeo, su cui muovere l’azione unitaria dei sindacati europei e della CES rimettendo anche in moto una azione generale per la riduzione dell’orario settimanale.
Su queste ragioni si può ritrovare un proficuo intreccio tra azione sindacale e politica, perché pensiamo che solo così si possa affrontare una modifica dei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Il mercato del lavoro italiano vede gli operai dell’industria mantenersi ancora su livelli quantitativi elevati, se poi si aggiungono quindici milioni di lavoratori dei servizi ed un milione di lavoratori agricoli, la massa dei lavoratori dipendenti rimane, anche nella crisi, notevolmente consistente.
Lavoro e salario appaiono così in tutta la loro forma moderna e per questo si rende ancora utile un sistema universale di contrattazione collettiva nazionale, poiché simboleggia uno degli essenziali strumenti di difesa e sviluppo, generale e solidale, delle condizioni dei lavoratori. E perciò, valutiamo importante sottolineare un insieme di proposte a difesa del contratto nazionale e di estensione di una effettiva contrattazione sindacale di secondo livello.
Va detto anzitutto che ricomporre l’unità del lavoro subalterno e frammentato e rispondere ad una domanda di giustizia salariale, sono capitoli fondamentali e per molte ragioni, quindi, si pone la necessità, alla luce dei processi economici in corso, di ricomporre la filiera produttiva, riunificare il lavoro e i CCNL.
Il ricondurre ad unità i lavoratori di una filiera produttiva, non solo si delinea come il fondamento necessario di ogni politica di stabilizzazione del lavoro, ma è pure in simmetria con l’esigenza della fine dei doppi regimi salariali e normativi.
Riunificare il lavoro, perciò, significa anche dotarsi di CCNL che sviluppino una stabilizzazione del lavoro, che accorpino le attuali filiere del sistema produttivo, oggi frantumate usando il dumping contrattuale.
Appare, insomma, sempre più evidente il diritto-dovere di aggregare i lavoratori, allo scopo di evitare il dumping sociale, con una politica salariale e normativa unitaria delle moderne filiere produttive, riducendo così le quantità dei CCNL.
Ebbene, la difesa dei due livelli di contrattazione può avere efficacia, secondo noi, se la CGIL ed il movimento sindacale rilanciano un nuovo contrattualismo e una proposta per una nuova struttura del salario. Perciò proponiamo un obiettivo che si fondi su criteri di eguaglianza, capacità e professionalità e cioè una struttura del salario costruita su tre voci tra loro vincolanti e connesse: un salario di base (salario minimo nazionale intercategoriale o RSU, Reddito Sociale Unitario) contrattato a livello confederale, riferito alla soddisfazione dei cosiddetti bisogni primari e con annuali adeguamenti al reale aumento della vita; un salario contrattuale-nazionale e un salario di produttività, legato alla efficacia ed alla innovazione produttiva delle imprese ed agli andamenti positivi dei bilanci aziendali, contrattati a livello categoriale.
A tale scopo diventa altresì dirimente la rivendicazione del sindacato sul controllo democratico delle politiche di gestione produttive dell’azienda, in capo alle RSU e/o ai sindacati territoriali come previsto dall’at. 46 della Costituzione. Il quale più che alla distribuzione dei dividendi, come sembra prevalere nel dibattito odierno, fa riferimento al controllo dei lavoratori sulle politiche dell’azienda.
Tale struttura del salario dovrebbe avere carattere vincolante. Queste tre voci, cioè, dovrebbero comporre la struttura organica del salario per un nuovo schema di contrattazione.
Con un salario minimo intercategoriale ed una tale struttura del salario crediamo che possa così essere pure più fattibile, per il sindacato, contrattare l’organizzazione del lavoro, da tempo immemore abbandonata, che come il salario attiene alla qualità della vita e del lavoro delle persone. Oggi tutto è misurato in termini numerici, econometrici. Anche il sindacato ha risentito di queste influenze e tornare dunque alla contrattazione dell’organizzazione del lavoro sarebbe già di per sé un bell’augurio per una moderna fisionomia sindacale.
Una simile struttura del salario, infine, potrebbe permettere la tangibilità di reali aumenti salariali. E’ indubbio, infatti, che stiamo oggi subendo un attacco, anche negli attuali rinnovi contrattuali che faticosamente si concludono senza applicare l’accordo separato confederale. Ed è chiaro che, a fronte di tale attacco di Cisl, Uil, associazioni datoriali e governo, vi è il bisogno di una nostra proposta concreta di un modello contrattuale e di una struttura del salario di carattere redistributivo, che permettano di raggiungere consistenti aumenti salariali.
La crisi, le CIGO, un piano del lavoro
Un'altra questione riguarda un aspetto drammatico di questi mesi: le richieste di cassa integrazione guadagni. Molte aziende ricorrono a questa forma di sospensione dal lavoro, come molte altre chiudono i battenti, ricorrono alla mobilità o direttamente ai licenziamenti tout court.
Certo, stiamo parlando di vertenze che sovente hanno le dimensioni della grande e media impresa e rischiamo di tralasciare quelle piccole imprese, dove si ricorre reiteratamente alla Cig e dove il potere contrattuale dei lavoratori è quasi nullo. Oppure rischiamo di tralasciare quelle situazioni di piccole imprese, dove le ditte chiudono e basta.
Però, anche in questi casi è giusto pensare a nuove modalità di mobilitazione e di confronto tra le parti, che coinvolgano una dimensione di sito produttivo o territoriale, affinché le parti sociali possano discutere circa il rilancio ed un piano industriale territoriale o di distretto, anche assieme alle istituzioni locali.
Insomma, occorre, a nostro avviso, che si rimettano al centro del confronto tra le parti sociali alcune idee fondamentali di rilancio dei piani industriali. Ma sempre nell’ambito di una prospettiva di rilancio delle aziende e di stabilità del lavoro. Al riguardo, ci pare molto attuale riprendere in mano alcuni strumenti dell’agire sindacale, quali, ad esempio, il piano del lavoro di Giuseppe Di Vittorio.
Comincia, inoltre, ad emergere tra gli studiosi della materia la consapevolezza che la crisi non possa essere affrontata con gli ammortizzatori sociali tradizionali, sia pur riformati, e che questi non siano la risposta adeguata alla durezza della crisi.
La CGIL non può lasciare ad altri il confronto di merito, ha l’obbligo di aprirsi ad una riflessione seria ed a una elaborazione vera su questi temi e oggi la risposta non può che muoversi su due assi essenziali, individuando strumenti efficaci per il loro raggiungimento: occupazione e difesa del reddito.
Per ricomporre il lavoro, insomma, occorre agire attraverso gli strumenti del sindacato ed anche con quelli delle scelte politiche per una nuova ed avanzata legislazione del lavoro, che abbia quale asse centrale l’obiettivo di un lavoro a tempo indeterminato per tutti e il sostegno al lavoro previa una determinazione ed un confronto sui piani aziendali di sviluppo, sostenuti da precise scelte della stessa sfera politica ed istituzionale nazionale e locale.
Divengono, dunque, per noi significativi gli obiettivi di un nuovo piano per il lavoro, anche nei settori della tutela dell’ambiente e dei servizi essenziali, e un salario sociale costruito sulla base del salario minimo contrattato, più un pacchetto di servizi e relativa copertura contributiva dei periodi di inattività. Questi due obiettivi strategici sono per noi una reale risposta alla difesa del reddito delle classi più deboli del Paese, sulla scia delle leggi recentemente approvate da alcune regioni (Piemonte, Lazio, Puglia etc).
La CGIL, a fronte delle spinte disgregative della stessa unità politica repubblicana che riportano alla ribalta vecchi e sconfitti strumenti come le gabbie salariali, non può che lanciare una campagna nazionale che unifichi la condizione dei lavoratori e lavoratrici, pensionati e giovani in cerca di lavoro e questo significa anche riflettere sui temi da mettere al centro della contrattazione regionale, che senza indirizzi chiari sui principi indisponibili, rischia, di per sé, di creare disuguaglianze e frammentazione del mondo del lavoro.
Alessio Ammannati, Presidenza Direttivo CdLM CGIL Firenze
Bruno Carrà, Resp. Centro Lavoratori Stranieri Direttivo CdL CGIL Piacenza
Gianni Leoni, Direttivo Regionale Filt CGIL Toscana
Paolo Niccoli, Direttivo CdLM CGIL Firenze
Rossana Sebastiani, Direttivo CdLM CGIL Firenze
Walter Tacchinardi, Direttivo CdL CGIL Piacenza
2/3 - La prima parte del documento è apparsa sull'ADL del 4.11.09