martedì 3 ottobre 2017

Votare a 18 anni per il Senato.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

I 945 parlamentari di questa legislatura sono ancora in tempo a fare la più grande riforma elettorale con il più piccolo intervento: scri­ven­do “diciottesimo” invece di “venticinquesimo” nell’articolo 58 della costituzione.

di Marco Morosini

“I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età.” Ancora oggi, dopo 70 anni di Repubblica, i pieni diritti elettorali sono negati in Italia a quat­tro milioni e mezzo di cittadini, quelli che, hanno tra i 18 e i 24 anni di età e che non possono eleggere i senatori. L’Italia è quindi l’unico Paese al mondo nel quale solo la parte più anziana della popolazione elegge metà del Parlamento e quindi determina il Governo (che non può essere in carica senza la fiducia del Senato). Quasi ovunque nel mondo, invece, si eleggono i parlamenti da quando si compiono 18 anni. Inoltre in 11 Paesi 300 milioni di cittadini votano già dall’età di 16 o 17 anni, mentre in 16 Paesi si vota dai 19, 20 o 21 anni.

Lo sbarramento del “venticinquesimo anno” è ingiusto, diseducativo e dannoso. È ingiusto perché nega i pieni diritti civili proprio a quei milioni di giovani che più patiscono le conseguenze di un sistema politico e economico dominato dagli anziani. È diseducativo perché diminuisce proprio nei giovani la fiducia nel parlamentarismo e la partecipazione politica. Infine la soglia del “venticinquesimo anno” è dannosa perché contribuisce alla instabilità politica. L’Italia, infatti, è il Paese europeo con il più forte “voto generazionale”, ovvero con preferenze elettorali molto diverse secondo l’età degli elettori. Insistere a far eleggere Camera e Senato da due corpi elettorali in parte diversi rende più probabili maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento. In tal caso è difficile o impossibile formare un governo, la formulazione e approvazione delle leggi diventano più lente e a volte impossibili, alcune proposte di legge vanno avanti e indietro tra le due camere, e tutto il lavoro è volte gettato via perché la legislatura finisce. Inoltre la precarietà dei governi con maggioranze risicate aumenta, e con essa anche il prezzo politico e quello “commerciale” dei parlamentari disposti a cambiare partito, attirando in Parlamento più persone senza scrupoli.

Certo, dare i pieni diritti elettorali ai diciottenni non basta a curare questi mali. Eppure, se su di essi la riforma del “diciottesimo anno” avesse qualche effetto, ne varrebbe sicuramente la pena, visto che si tratta di cambiare una sola parola nella Costituzione. Ciò richiede una procedura speciale e più lunga, che però è ancora praticabile prima delle elezioni, se avviata subito. La maggioranza necessaria è di due terzi. Ma quale partito avrebbe il coraggio di negare il diritto di voto per il Senato a quei quattro milioni e mezzo di giovani dei quali cerca il voto per la Camera? E il primo partito che in Parlamento, nei media e nei talk-show televisivi si facesse paladino del pieno diritto di voto a 18 anni, non guadagnerebbe simpatia tra gli elettori più giovani?

L’anacronismo del “venticinquesimo anno” è insieme effetto e parziale causa del dominio degli anziani nel nostro Paese. L’Italia spicca infatti nelle classifiche internazionali come il secondo Paese al mondo per percentuale di anziani e come la più radicata gerontocrazia tra i Paesi industrializzati. Con un'età media di 59 anni gli uomini di potere italiani sono i più vecchi d’Europa. L'età media dei banchieri e dei vescovi è 67 anni e quella dei professori universitari 63, rileva uno studio dell'Università della Calabria. 79 e 69 anni è l’età dei due politici extraparlamentari che dominano ancora due delle maggiori forze politiche, il centrodestra e il Movimento cinque stelle. L’Italia è ventisettesima su 29 (ora 35) Paesi dell’Ocse nell’ultimo “Indice di giustizia generazionale” di Pieter Vanhuysse del European Centre for Social Welfare Policy. L’indice consta di quatto indicatori: debito pubblico nazionale pro capite dei minorenni, povertà infantile, rapporto tra la spesa sociale pro capite per gli anziani e quella per il resto della popolazione, impronta ecologica pro capite.

L’Italia è un caso estremo di una tendenza generale. In quasi tutti i Paesi dell'Ocse, infatti, il potere e la prosperità degli anziani crescono a scapito dei giovani. Dal 1990 al 2005, l'età mediana dell'elettore in questi stessi Paesi è cresciuta tre volte più velocemente che nei trent'anni precedenti. Nei Paesi più ricchi una percentuale sempre maggiore di anziani e una loro maggiore partecipazione al voto, rispetto ai giovani, causano uno squilibrio politico generazionale. Per controbilanciare questa tendenza, e quella mondiale dei giovani a votare sempre di meno, in molte nazioni si moltiplicano le iniziative per dare i pieni diritti elettorali a partire dai 16 anni. Buoni argomenti per questa riforma sono esposti per esempio da Tommy Peto, dell’Università di Oxford, dal settimanale The Economist, e dal giornale britannico The Guardian. Il voto ai sedicenni è però un tema controverso. Per questo è curioso che il Movimento cinque stelle, il partito italiano più giovane, con i deputati più giovani, e il più votato dai giovani, abbia espresso solo quest’anno una generica posizione per il diritto di voto a 16 anni, mentre in quattro anni i suoi 160 eletti non hanno fatto nulla di efficace in Parlamento e nei media per una riforma meno controversa e più semplice: il voto a 18 anni per il Senato.

Gli italiani anziani sono in proporzione più numerosi e hanno più potere, occupazione, reddito, patrimonio e privilegi dei più giovani. Per questo molti giovani si sentono sempre più esclusi dal tessuto sociale e dalla partecipazione politica. In Italia la disoccupazione e l’emigrazione giovanile sono tra le più alte nei Paesi industrializzati. Ogni anno decine di migliaia di giovani, spesso laureati o dottorati, si trasferiscono all’estero. Ma proprio costoro non hanno diritto di eleggere tutti i legislatori né di contribuire a determinare i governi che potrebbero cercare di rimediare. È per questo che, promossa da Oliviero Toscani, Elda Lanza, Vitaliano Damioli, Wolfgang Gründiger , oltre che da chi scrive (la nostra età media è 73 anni), è in corso la petizione “Voto a 18 anni per il Senato” , indirizzata alle massime autorità della Repubblica e ai Parlamentari.

Il lungo e umiliante mercanteggiare sulle “grandi riforme” elettorali non ha prodotto niente di buono. Inoltre ha gettato discredito sul parlamentarismo, convincendo molti che ogni nuova proposta di riforma volesse solo favorire l’uno o l’altro partito. Se gli attuali parlamentari attuassero una “piccola riforma” dalle grandi conseguenze, che va davvero a beneficio di tutti i cittadini, forse riguadagnerebbero un po’ della loro stima. Prima della fine della legislatura si può e si deve finalmente dare i pieni diritti elettorali a tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni.