Mentre L'ADL del 18 agosto 1917 va in stampa, il movimento operaio internazionale è diviso più che mai. E l'editoriale, a firma di Luigi Rainoni, riassume questa spaccatura nel nome dei due duellanti di San Pietroburgo: Lenin, Kerensky e la sconfitta russa, recita il titolo dell'articolo. In esso troviamo un ritratto del futuro fondatore dell'URSS: «Nel 1903 egli si separa dai compagni Martoff e Axelrod e fonda la frazione dei così detti “bolscevichi”… Già prima della rivoluzione del 1905 discuteva e preparava l'insurrezione armata. Lo zar gli aveva impiccato un fratello» (ADL 18.8.1917).
Secondo alcuni critici, fanatizzato dal desiderio di vendetta per il fratello, Lenin è «un tipo a cui manca “la finezza dello spirito latino”». Finezza che Rainoni giudica però alla stregua di «una reminiscenza petrarchesca…, sotto la quale si nasconde quella leggerezza ed evanescenza delle idee democratiche francesi» (ADL 18.8.1917).
La questione delle "libertà borghesi" costituisce già un tema virulento nel confronto in atto all'interno del campo rivoluzionario. Ezio Mauro ricorda il vecchio amico di Lenin, Maksim Gor'kij, che già nel giugno 1917 stronca l'ideologia bolscevica: «Prima nelle lettere private: "Sono i veri idioti russi. Li disprezzo e li odio ogni giorno di più". Poi in un articolo sul suo giornale…: "Sia Lenin che Trockij non hanno nessuna idea di ciò che significhino la libertà e i diritti dell'uomo"». Gor'kij polemizzerà anche con Zinov'ev capo del partito a Pietrogrado accusandolo di “crimini vergognosi”.
Ma ora, due mesi dopo quel giugno 1917, Lenin è di nuovo esule e perseguitato, mentre Kerenskij governa su tutte le Russie, perseverando in una guerra che violenta il sentimento popolare. Perciò L'ADL, accantonando antiche differenze con il leader bolscevico, lo difende: «Epurato di tutte le artate esagerazioni, il pensiero leniniano nell'immane sommovimento russo, può riassumersi benissimo nelle ripetute dichiarazioni di Zineviov: lotta per impedire la contro-rivoluzione…, scioglimento della Duma e del suo Comitato esecutivo, governo esclusivamente socialista, pubblicazione dei trattati segreti, realizzazione del programma socialista» (ADL 18.8.1917).
Qui Rainoni relativizza: «Più che mirare alla effettuazione precipitata del socialismo», Lenin intende soprattutto «assicurare il potere indebellabile di quelle forze, che sono per il socialismo». Tutto il potere ai Soviet! In realtà, i bolscevichi non dicono quel che dicono intendendolo in senso metaforico. Manca loro, per l'appunto, l'esprit de finesse…
Poi c'è la vexata quaestio della “pace separata” con la Germania. E L'ADL non ci può ancora credere perché ogni cuore e ogni mente socialista deve volere la “pace universale”. E così persino i "menscevichi" si battono per la cessazione del macello: «Noi domandiamo l'immediata conclusione di un armistizio generale, noi vogliamo la pace» (ADL 18.8.1917).
Questa “chiara valutazione” – che a Pietrogrado è sostenuta “da quattrocentomila lavoratori” – non piace ovviamente alla stampa "guerraiuola" dell'Intesa. La “Morning Post”, per esempio, dipinge il movimento operaio russo come un'accozzaglia di «agenti pagati dalla Germania», lamenta Rainoni. Per il quale Lenin, il duellante bolscevico, è «l'uomo più chiaro, più risoluto, più ardito, molto superiore a Kerensky». Il cui Governo provvisorio continua a combattere fedele all'Intesa. Nella conduzione degli altri affari di Stato il duellante laburista però è ondivago. Di lì a qualche giorno batterà in breccia i contro-rivoluzionari, ai quali aveva lasciato fare per un po', ordinerà l'arresto degli ufficiali ribelli, libererà i bolscevichi, incarcerati un mese prima.
Ma l'Offensiva Kerenskij è stata un «salto nel buio, una follia», anche e soprattutto sul piano militare: «L'esercito rivoluzionario non può attaccare fintanto che ogni soldato non abbia l'assicurazione ch'egli combatta per la causa della libertà e della rivoluzione. Per conseguenza se l'attività del governo nel dominio della politica estera non abbia tolto tutti i dubbi relativi agli scopi ed al carattere della guerra, l'attacco non può aver luogo», si leggeva sulla “Isvestia” agli inizi di giugno. L'azione è giudicata “pericolosa” da tutti i social-democratici. Persino la stampa dell'Intesa riporta all'inizio di giugno «che "tutti i giornali socialisti russi continuano a combattere apertamente l'idea di un'offensiva". Zernoff critica e sconfessa Kerensky. Il generale Alexieff è costretto dal “Soviet” a dimettersi in seguito ai suoi sfoghi oratori patologici per l'attacco immediato» (ADL 18.8.1917).
Nel corso di quei giorni, tuttavia, «il “Soviet” cade nelle perplessità e inclina alle concessioni», c'informa l'editoriale. E a nulla vale la protesta di Lenin al Congresso panrusso contro un'offensiva che in quel momento sarebbe «la continuazione della guerra imperialistica». Ma forse è proprio lo scontro verbale tra Lenin e Kerenskij a spostare l'ago della bilancia. Il duellante bolscevico propone di arrestare centinaia di imprenditori in quanto tali. Il duellante laburista sale sul palco subito dopo per opporsi. E Lenin abbandona platealmente la sala.
In quest'atmosfera altamente drammatica «il “Soviet” scivola il primo passo sulla via dell'offensiva "considerandola una questione puramente strategica"». In seguito, Lenin e i bolscevichi verranno accusati di disfattismo: «Ma Repington, il freddo critico militare inglese, aveva scritto che "l'offensiva non può essere l'effetto di una improvvisazione o di qualche impulso generoso, ma richiede una minuta lunga preparazione, una grande disciplina, uno Stato Maggiore allenato, un ordine perfetto nelle retrovie, le comunicazioni assicurate"» (ADL 18.8.1917).
Per inciso, il problema delle comunicazioni, cioè la netta superiorità austro-germanica nell'uso di questa tecnica, costerà all'esercito italiano, proprio in questi un secolo fa, lo sfondamento di Caporetto.
La Caporetto di Kerenskij avviene attraverso la Galizia e l'Ucraina causando una ritirata di 240 chilometri: «Il grande e tragico errore è stato commesso, appunto, dall'impulso non generoso, ma folle del Kerensky», osserva Rainoni: «La compagine ministeriale era già scossa dalle radici dagli aspri contrasti sulla riforma agraria, sulla proclamazione della repubblica, sull'elezione per la Costituente. Troppo forte fu la spinta del Lenin provocando pubbliche manifestazioni armate durante una situazione militare artificiosa e fragile, che doveva essere prima o poi rotta dalle truppe del Kaiser» (ADL 18.8.1917).
E la conclusione è che Kerenskij «è la prova vivente che le idee vaghe e le esplosioni frasaiuole sono, se riescono a imporsi, una grande rovina per le nazioni rivoluzionarie». Ormai, la rivoluzione russa è quasi perduta. Potrà salvarsi solo se muterà strategia in senso difensivistico. A tale scopo sarebbe necessaria, però, la formazione di un nuovo governo fondato sull'alleanza di tutti i socialisti, dai massimalisti ai minimalisti, sostiene Rainoni.
(22. continua)