martedì 31 ottobre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (22) - Ancora i due duellanti di Russia

Mentre L'ADL del 18 agosto 1917 va in stampa, il movimento operaio internazionale è diviso più che mai. E l'editoriale, a firma di Luigi Rainoni, riassume questa spaccatura nel nome dei due duellanti di San Pietroburgo: Lenin, Kerensky e la sconfitta russa, recita il titolo del­l'ar­ticolo. In esso troviamo un ritratto del futuro fondatore dell'URSS: «Nel 1903 egli si separa dai compagni Martoff e Axelrod e fonda la fra­zione dei così detti “bolscevichi”… Già prima della rivoluzione del 1905 discuteva e preparava l'insurrezione armata. Lo zar gli aveva im­piccato un fratello» (ADL 18.8.1917).

Secondo alcuni critici, fanatizzato dal desiderio di vendetta per il fratello, Lenin è «un tipo a cui manca “la finezza dello spirito latino”». Finezza che Rainoni giudica però alla stregua di «una reminiscenza petrarchesca…, sotto la quale si nasconde quella leggerezza ed evanescenza delle idee democratiche francesi» (ADL 18.8.1917).

La questione delle "libertà borghesi" costituisce già un tema viru­lento nel confronto in atto all'interno del campo rivoluzionario. Ezio Mauro ricorda il vecchio amico di Lenin, Maksim Gor'kij, che già nel giugno 1917 stronca l'ideologia bolscevica: «Pri­ma nelle lettere pri­va­te: "Sono i veri idioti russi. Li disprezzo e li odio ogni giorno di più". Poi in un articolo sul suo giornale…: "Sia Lenin che Trockij non hanno nessuna idea di ciò che significhino la libertà e i diritti dell'uomo"». Gor'kij po­lemizzerà anche con Zinov'ev capo del partito a Pietrogrado accusandolo di “crimini vergognosi”.

Ma ora, due mesi dopo quel giugno 1917, Lenin è di nuovo esule e perseguitato, mentre Kerenskij governa su tutte le Russie, perse­ve­rando in una guerra che violenta il sentimento popolare. Perciò L'ADL, accantonando antiche differenze con il leader bolscevico, lo difende: «Epurato di tutte le artate esagerazioni, il pensiero leniniano nel­l'im­mane sommovimento russo, può riassumersi benissimo nelle ripetute di­chiarazioni di Zineviov: lotta per impedire la contro-rivoluzione…, scioglimento della Duma e del suo Comitato esecutivo, governo esclu­si­vamente socialista, pubblicazione dei trattati segreti, realizzazione del programma socialista» (ADL 18.8.1917).

Qui Rainoni relativizza: «Più che mirare alla effettuazione pre­ci­pitata del socialismo», Lenin intende soprattutto «assicurare il potere indebellabile di quelle forze, che sono per il socialismo». Tutto il po­tere ai Soviet! In realtà, i bolscevichi non dicono quel che dicono in­tendendolo in senso me­ta­forico. Manca loro, per l'appunto, l'esprit de finesse

Poi c'è la vexata quaestio della “pace separata” con la Germania. E L'ADL non ci può ancora credere perché ogni cuore e ogni mente socialista deve volere la “pace universale”. E così persino i "men­sce­vichi" si battono per la cessazione del macello: «Noi domandiamo l'immediata conclusione di un armistizio generale, noi vogliamo la pace» (ADL 18.8.1917).

Questa “chiara valutazione” – che a Pietrogrado è sostenuta “da quattrocentomila lavoratori” – non piace ovviamente alla stampa "guer­raiuola" dell'Intesa. La “Morning Post”, per esempio, dipinge il mo­vimento operaio russo come un'accozzaglia di «agenti pagati dalla Germania», lamenta Rainoni. Per il quale Lenin, il duellante bol­sce­vico, è «l'uomo più chiaro, più risoluto, più ardito, molto su­pe­rio­re a Kerensky». Il cui Governo provvisorio continua a combattere fedele all'Intesa. Nella conduzione degli altri affari di Stato il duellante la­bu­rista però è ondivago. Di lì a qualche giorno batterà in breccia i con­tro-ri­voluzionari, ai quali aveva lasciato fare per un po', ordinerà l'ar­resto degli ufficiali ribelli, libererà i bolscevichi, incarcerati un mese prima.

Ma l'Offensiva Kerenskij è stata un «salto nel buio, una follia», anche e soprattutto sul piano militare: «L'esercito rivoluzionario non può attaccare fintanto che ogni soldato non abbia l'assicurazione ch'egli combatta per la causa della libertà e della rivoluzione. Per conseguenza se l'attività del governo nel dominio della politica estera non abbia tol­to tutti i dubbi relativi agli scopi ed al carattere della guerra, l'attacco non può aver luogo», si leggeva sulla “Isvestia” agli inizi di giugno. L'azione è giudicata “pericolosa” da tutti i social-democratici. Persino la stampa dell'Intesa riporta all'inizio di giugno «che "tutti i giornali socialisti russi continuano a combattere apertamente l'idea di un'of­fensiva". Zernoff critica e sconfessa Kerensky. Il generale Alexieff è costretto dal “Soviet” a dimettersi in seguito ai suoi sfoghi oratori patologici per l'attacco immediato» (ADL 18.8.1917).

Nel corso di quei giorni, tuttavia, «il “Soviet” cade nelle perplessità e inclina alle concessioni», c'informa l'editoriale. E a nulla vale la pro­testa di Lenin al Congresso panrusso contro un'offensiva che in quel momento sarebbe «la continuazione della guerra imperialistica». Ma forse è proprio lo scontro verbale tra Lenin e Kerenskij a spostare l'ago della bilancia. Il duellante bolscevico propone di arrestare centinaia di im­pren­ditori in quanto tali. Il duellante laburista sale sul palco subito dopo per opporsi. E Lenin abbandona platealmente la sala.

In quest'atmosfera altamente drammatica «il “Soviet” scivola il pri­mo passo sulla via dell'offensiva "considerandola una questione pura­men­te strategica"». In seguito, Lenin e i bolscevichi verranno accusati di disfattismo: «Ma Repington, il freddo critico militare inglese, aveva scritto che "l'offensiva non può essere l'effetto di una improvvisazione o di qualche impulso generoso, ma richiede una mi­nuta lunga prepara­zione, una grande disciplina, uno Stato Maggiore allenato, un ordine perfetto nelle retrovie, le comunicazioni as­si­cu­rate"» (ADL 18.8.1917).

Per inciso, il problema delle comunicazioni, cioè la netta superiorità austro-germanica nell'uso di questa tecnica, costerà all'esercito italiano, proprio in questi un secolo fa, lo sfondamento di Caporetto.

La Caporetto di Kerenskij avviene attraverso la Galizia e l'Ucraina causando una ritirata di 240 chilometri: «Il grande e tragico errore è stato commesso, appunto, dall'impulso non generoso, ma folle del Kerensky», osserva Rainoni: «La compagine ministeriale era già scos­sa dalle radici dagli aspri contrasti sulla riforma agraria, sulla procla­ma­zione della repubblica, sull'elezione per la Costituente. Troppo forte fu la spinta del Lenin provocando pubbliche manifestazioni armate du­rante una situazione militare artificiosa e fragile, che doveva essere pri­ma o poi rotta dalle truppe del Kaiser» (ADL 18.8.1917).

E la conclusione è che Kerenskij «è la prova vivente che le idee va­ghe e le esplosioni frasaiuole sono, se riescono a imporsi, una grande rovina per le nazioni rivoluzionarie». Ormai, la rivoluzione russa è quasi perduta. Po­trà salvarsi solo se muterà strategia in senso difen­sivistico. A tale sco­po sarebbe necessaria, però, la formazione di un nuovo governo fon­dato sull'alleanza di tutti i socialisti, dai massima­li­sti ai minimalisti, sostiene Rainoni.

(22. continua)