mercoledì 11 ottobre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (19) - Danton, Robespierre

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

L'articolo di spalla in prima sull'ADL del 28 luglio 1917 parla dei due leader emergenti nella nuova Russia. “Su Lenin e Kerensky” è il titolo dell'articolo, firmato I. M. Schweide, che si conclude con queste testuali parole: «Se Lenin è un Robespierre, Kerensky è, piuttosto che Thiers, Danton!».

    Sicché Kerenskij somiglierebbe politicamente al popolare capo dei Cordiglieri nella Francia rivoluzionaria, a Georges Jacques Danton che nel 1792 viene nominato Ministro della Giustizia, nel 1793 eletto primo Presidente del Comitato di salute pubblica, nel 1794 ghigliottinato su pressione del Comitato di salute pubblica.

    I tempi della Russia rivoluzionaria sono più veloci, ma le analogie non mancano: anche Aleksandr Fëdorovič Kerenskij inizia la carriera ministeriale nel Governo Provvisorio (marzo 1917) e, al momento in cui appare l'articolo di cui parliamo (luglio 1917), presiede il Governo Provvisorio. Gli manca, dunque, “solo” di subire un'esecuzione capitale su pressione del Governo Provvisorio. Ma a quella sfuggirà per un palmo (novembre 1917), riparando in Francia.

    Se già Kerenskij inizia, dunque, ad assomigliare al suo Danton, egli non può, però, essere in alcun modo accostato a un Adolphe Thiers.

    Chi è costui? Esponente monarchico fino al 1840, Thiers viene nominato quell'anno Primo Ministro di Francia, ma si dimette per divergenze con Luigi Filippo e muta convinzioni nel senso di un repubblicanesimo li­beral-conservatore.

    Luigi Filippo abdica nel 1848, e nasce la Seconda Repubblica Francese, alla cui presidenza viene eletto Luigi Napoleone Bo­na­par­te, che Thiers dapprima sostiene. Poi inizia a osteggiarlo, quando nel 1852 quello, tramite un colpo di Stato, trasforma la Seconda repubblica in Secondo impero, di cui Luigi Bonaparte si pone a capo con il nome di Napoleone III. Il piano inclinato del potere lo condurrà alla guerra Franco-Prussiana e al disastro.

    Dopo la disfatta di Sedan, la caduta dell'imperatore e la nascita della Terza Repubblica Francese, Thiers assume la guida delle trattative con la Prussia. Il 17 febbraio 1871 viene eletto alla presidenza del governo provvisorio e trasferisce il Parlamento nella reggia di Versailles. Questo sfregio simbolico insieme alle condizioni antipopolari della pa­ce stipulata con Bismarck provocano un forte rigetto generale, sicché il 18 marzo la capitale francese insorge fondando la Comune di Parigi.

Parigi 1871 – La barricata di boulevard Voltaire

Prima esperienza storica di governo socialista, la Comune adotta come proprio simbolo la Bandiera Rossa, secondo il colore del bonnet rouge giacobino. Ma di rosso si tingeranno a breve anche le strade della Ville Lumière, e persino le acque della Senna, perché la Comune di Parigi verrà letteralmente schiacciata nel sangue.

    L'assedio della città si conclude il 28 maggio 1871 e nella sola prigione della Roquette vengono uccisi 1'900 comunardi. Altri 400 vengono gettati in un pozzo del Cimitero di Bercy. L'azione repressiva del Governo Thiers comporta, nel giro di pochi giorni, un numero di vittime che gli storici stimano in decine di migliaia. Durante la “settimana di sangue” (21-28 maggio 1871) si consuma il più sanguinoso massacro della storia della Francia, ancor più sanguinario della Strage degli Ugonotti del 1572, e più tragico persino di tutto il Terrore rivoluzionario nel biennio 1793-1794.

    Tutto questo si replicherà in Russia. E verrà anche di peggio. Ma lo si può già vedere nei segni dei tempi? Certo è che nel social-rivolu­zio­nario russo Ke­ren­skij non si nasconde un macellaio “liberale” come Thiers. Eppure nella coscienza pacifista di Schweide: «I fratelli hanno ucciso i fratelli: / Questa orrenda novella vi do». Nei versi tratti dall'ode manzoniana sulla Battaglia di Maclodio Schweide ci fa balenare il protagonista vero della vicenda russa a venire: la disumanità “fraterna”. Perché «questa “novella” sarà tragica realtà finché… battaglia contro battaglia, guerra contro guerra, forza contro forza, vita contro vita… saranno insomma la ragion suprema di ogni partito, di ogni classe sociale, tendente alla conquista di nuove forme di progresso umano» (ADL 27.7.1917).

    I fratelli, prosegue Schweide, continueranno, a uccidere i fratelli «in nome della guerra… in nome della pace… la pace come la guerra, per affermarsi, per vincersi, per sovrapporsi». E ciò ricorrendo al mede­si­mo mezzo: «l'uccisione; al medesimo fine: il trionfo dei propri inte­res­si morali e materiali a danno degli altri interessi» (ADL 28.7.1917).

    Kerenskij e Lenin – provenienti entrambi dalla piccola nobiltà di Sim­­birsk, concittadini, l'uno al Gover­no, l'altro di nuovo in esilio – sem­­bra­no prigionieri di un solo de­stino: «Citiamo questi due nomi perché essi, al disopra ed all'infuori delle proprie persone, incarnano due fonti correnti d'opinioni».

    Lenin «ha vinto la partita, a danno della propria organizzazione, momen­ta­nea­mente indebolita e perseguitata ed isola­ta». Kerenskij, invece, è cir­condato dalla «solidarietà nazionale gene­ra­le e da quella particolare del Soviet», e ha appena dato il suo consenso «per una politica dittatoriale, bi­smarkiana, in senso russo», chiosa Schweide.

    Lenin «non si attendeva però che Ke­ren­sky espropriasse il suo prin­ci­pio», consistente nella «espropriazione dello stato da parte degli organi dei “Soviet” anche a costo di dominare colla dittatura» (ADL 28.7.1917).

A Kerenskij sembra arridere la vittoria, ma la sua posizione, in real­tà, è debolissima, perché egli continua una guerra odiata dal popolo russo. E però «una debolezza non meno grave è stata da parte di Lenin nel credersi troppo forte»: uomo d'indomabile forza rivoluzionaria, ma pare come «acciecato da questo esclusivismo parziale e talvolta settario – nel sen­so buono della parola, si capisce», che lo induce a «forme di lotta spro­porzionata alle forze delle masse lavoratrici di cui egli può disporre» (ADL 28.7.1917).

    Lenin è stato «il primo a seminare il verbo zimmerwaldiano, in­ter­na­zionalista» in Russia, egli è capace di fare «germogliare il seme della pace generale, so­ciale, internazionale», si legge. Lenin ha tanto patito, non come certi da­me­ri­ni. Lui «non ha mai dato un colpo senza attirare sulle proprie spalle il contraccolpo». E qui anche Schweide gli assesta un altro bel colpo: «Il suo maggior merito è quello delle operazioni chirurgiche in seno al partito, alle organizzazioni proletarie: scissioni, scissioni e scissioni».

    Scissioni che “indirettamente e senza volerlo” hanno favorito gli avversari: «E nell'archivio… della spiocrazia russa, sono stati scoperti dei docu­men­ti in cui funzionari di polizia rilevavano i benefici che reca allo zarismo la politica secessionistica dei leninisti» (ADL 28.7.1917).

    Ma Vladimir Uljanov è di “una purezza illimitata”, ha un passato doloroso e integerrimo: «Quando il fratello… fu impiccato dallo za­ri­smo, egli giurò di vendicare con ogni mezzo lecito il sangue fraterno. Giurò morte allo zarismo. Lottò, congiurò, soffrì senza posare mai le armi. Avrà sbagliato ed ha sbagliato molte volte nella sua tattica. E sono soltanto le ragioni tattiche che ci dividono da lui e che da lui han sempre diviso l'“Avvenire” ed i socialisti italiani» (ADL 28.7.1917).

   In questo andamento ondivago del suo dire sospeso, Schweide plana ora sul momento allora attuale, il momento in cui Lenin è di nuovo fug­gia­sco, in esilio, e «sopra di lui si sono riversate le ire di tutti gli imperialisti», sicché dunque «noi diamo tutta la solidarietà a questo audace campione del proletariato russo» (ADL 28.7.1917).

    Quanto, invece, a Kerenskij, egli è «un laburista con tinta sociale che, per conservare in piedi il nuovo regime, ritiene necessaria la col­laborazione della borghesia col proletariato. È partigiano dell'of­fen­si­va per valorizzare le forze del militarismo rivoluzionario – come lui af­fer­ma... È anti-annessionista e guerraiolo, perché non vede la possibilità di fare altrimenti» (ADL 28.7.1917).

    L'uno ha tanto sofferto, ma sta per assumere il ruolo di Robespierre, l'Incorruptible. L'altro è un po' realista e un po' “guerraiolo”, ma gentile e raffinato: gli si addica la parte di Danton.

    Ecco qua: due destini, nel gran valzer che la Storia Universale va danzando a San Pietroburgo nel 1917, sono assegnati.

(19. continua)