martedì 3 ottobre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (18) - All’estero si diffida di noi!

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

Il fondo in prima sull’ADL del 21 luglio 1917 riferisce di un viaggio intrapreso dall’on. Labriola “attraverso alla Francia, Inghilterra, Norvegia, Svezia e Russia e viceversa”. L’on. Arturo Labriola (1873-1959) – da non confondersi con il filosofo Antonio Labriola (1843-1904), del quale la Angelica Balabanoff era stata allieva a Roma nei primissimi anni del Novecento – aveva assunto in quegli anni una posizione interventista e social-patriota, dopo una lunga fase di impegno politico nelle fila del socialismo rivoluzionario. E, in tale veste interventista l’on. Labriola aveva intrapreso il suo viaggio nei paesi dell’Intesa, rientrando dal quale, così riferisce l’ADL, egli aveva deciso di affidare «ai giornalisti italiani le sue impressioni, in questa pillola concentrata: “All’estero si diffida di noi, e si accusa l’Italia di esplicare una politica imperialistica» (ADL 21.7.1917).

Ironia della storia, l’Arturo Labriola che nel 1917 attacca l'imperialismo italiano, e che dopo l’avvento del fascismo va esule a Parigi, si riavvicinerà poi al regime nel 1935, aderendo entusiasticamente alla conquista coloniale dell’Etiopia: «Mi permetta di assicurare Vostra Eccellenza dei miei sentimenti di piena solidarietà», scrive al duce. E, rientrato in Italia, diviene collaboratore de La Verità, rivista politica di Bombacci, finanziata dal Ministero della cultura popolare.

Nicola Bombacci è una incredibile maschera tragica del Novecento demagogico italiano. Per pochi mesi, durante il “biennio rosso” (1919-1920), è segretario nazionale del PSI, un anno più tardi a Livorno passa al Partito comunista d'Italia, incolonnato nell’ala "destra” di Francesco Misiano. Si oppone al fascismo fino al 1926, quando la sua casa di Roma viene devastata dalle squadracce e lui, per mutata convinzione, si avvicina al regime. Di lì in poi, all’insegna dell’opposizione “proletaria” contro la “plutocrazia” occidentale, finirà per identificarsi totalmente con il regime mussoliniano, che per lui è il vero socialismo. Nel 1944 giungerà a magnificare il fascismo di Salò in un opuscolo edito a Venezia con il titolo: “Questo è il comunismo”.

Finirà appeso a testa in giù, a Piazzale Loreto, il 29 aprile del 1945, insieme al duce, alla Petacci, a Pavolini e a Starace in uno dei più orribilmente spettacolari apici di brutalità politica nazionale.

Sei settimane prima, il 15 marzo 1945, in un discorso rivolto alle camicie nere genovesi, Bombacci esclamava: «Compa­gni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno.»

Ma torniamo ad Arturo Labriola, le cui affinità con la “sinistra fascista” di Bombacci iniziano nel 1935 e cessano il 25 luglio del 1943, con l’arresto di Mussolini. Labriola non seguirà il direttore de La Verità nel protettorato hitleriano di Salò. E dopo la Liberazione, all’elezione della Costituente lo ritroveremo schierato sulle posizioni lib-lab dell’Alleanza Democratica della Libertà.

Ma l’epoca di cui parliamo risale a trent’anni prima di tutto ciò, siamo nel 1917. E l’ADL riferisce che Labriola ha scoperto come: «l’Italia, al rimorchio dell’Intesa, più delle altre potenze alleate, ha addimostrato con una politica malaccorta, l’appetito dell’imperialismo, oltre ogni misura. L’Italia, entrata in guerra per un “sacro egoismo” che voleva apparire solo irredentista, ha svelato col protettorato sull’Albania, con le pretese su tutta la Dalmazia, sull’Asia Minore, sulle sponde del Mar Rosso, di contro a Massaua, un “sacro egoismo” ch’è prevalentemente imperialista e del colorito irredentista si serve soltanto per uso di comodo» (ADL 21.7.1917).

In effetti, l’Albania, la Dalmazia, la Libia e il Dodecaneso costituiscono un capitolo molto speciale, poco noto, delle azioni belliche della “grande proletaria”, entrata in guerra, a parole, per la santa causa di Trento e Trieste oltre che, naturalmente, per soccorrere il “Belgio massacrato” e la “Francia aggredita” dagli Imperi Centrali.

E però, commenta l’ADL, l’Italia «non ha mandato un fantoccio a Lovain, né un bersagliere a Verdun: ne ha inviati a centinaia invece in Albania, nell’Epiro, nelle isole greche», sicché la nazione italiana – mentre «la Russia rivoluzionaria rinuncia a Costantinopoli» – fa la figura della “pezzente del ieri” e della “parvenue dell’oggi” arrivando al «concerto degli alleati, satura di smodati appetiti ed avida di afferrare a destra e a manca pegni, protettorati e domini» (ADL 21.7.1917).

Di qui si può ben vedere come l’“imperialismo straccione” italiano (Lenin) non possa preludere che alla “vittoria mutilata” (D’Annunzio) e a tutte le tonnellate di retorica protofascista e fascista che ne seguiranno.

Ma siamo all’inizio dell’estate del 1917 e la Dottoressa Angelica è appena arrivata a Stoccolma da San Pietroburgo per assumere al più presto il lavoro nella “Commissione Internazionale”. Scrive ai compagni italiani assicurandoli di non avere mai compiuto, durante tutta la sua permanenza nella nuova Russia repubblicana, alcun passo politico a nome del PSI, della cui Direzione nazionale ella fa parte: «A nome del Partito Socialista Italiano ho fatto una cosa sola» – puntualizza la Balabanoff: «Ho portato una corona alle vittime ed ai martiri della rivoluzione.» (ADL 21.7.1917).

L’Internazionale, scrive Angelica, ha deciso di convocare «la terza Conferenza di Zimmerwald… e ciò principalmente perché i Zimmerwaldiani potessero decidere collettivamente se e con quale programma» essi intendano prendere parte al Congresso del Soviet.

Ma, inaspettatamente, apprendiamo che proprio intorno al Congresso del Soviet emergono virulente divisioni all’interno degli internazionalisti. Alcuni partiti aderenti al movimento pacifista di Zimmerwald intendono, infatti, partecipare comunque ai lavori, mentre altri non solo «non andranno al Congresso [del Soviet], ma minacciano di uscire dall’organizzazione Zimmerwaldiana, qualora la maggioranza dei partiti aderenti decidesse di intervenire» (ADL 21.7.1917).

Per spiegare questo anti-sovietismo ante litteram degli Internazionalisti, un atteggiamento che «meraviglierà alquanto i nostri compagni all’estero», la Dottoressa Angelica parla di una “aureola discussa”, in quanto molti socialisti di tutti Paesi sono assai divisi intorno alla tattica del Soviet: «L’opposizione viene fatta non solo dai Leninisti, non solo da Trotzky, bensì anche da una parte di coloro che fino a ieri erano correligionari e amici intimi… dei “Menscheviki”». Senza contare che «taluni atteggiamenti del Governo provvisorio russo in materia di politica estera ed interna avranno dato a pensare anche a coloro che considerano le vicende russe da lontano» (ADL 21.7.1917).

In altre parole, Angelica Balabanoff ci sta dicendo che “una buona parte degli Zimmerwaldiani” non intende partecipare al Congresso del Soviet russo perché in esso sembra prevalere una maggioranza fa­vo­revole alla continuazione della guerra. Sembra incredibile, a tre mesi dall'Ottobre rosso ("Tutto il potere ai Soviet!"), ma questa è la situazione. Per adesso.

 

(18. continua)