giovedì 12 settembre 2013

Wolfang Streeck e la crisi del capitalismo

Da MondOperaio

 

 di Gianfranco Sabattini

 La crisi che ha colpito il capitalismo sta minando alle fondamenta la democrazia; lo sostiene in Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico Wolfang Streeck, sociologo e direttore del Max-Planck-Institut per la ricerca sociale di Colonia. Oggetto dell’analisi è la crisi finanziaria e fiscale del capitalismo democratico contemporaneo, con particolare riferimento ai paesi dell’Unione Europea.

    Il metodo adottato è quello della scuola di Francoforte, secondo cui le conoscenze delle scienze sociali sono legate al tempo e al luogo all’interno del quale si colloca il fenomeno studiato. Il metodo assume il presupposto dell’esistenza di una “tensione strutturale” tra funzionamento dei sistemi sociali e funzionamento dei sistemi economici secondo la logica capitalistica; tensione che nei paesi democratici del dopoguerra è mediata da politiche statali secondo modalità sempre diverse, storicamente condizionate.

    Le politiche, provocando crescenti cambiamenti sociali ed istituzionali, sono contestate da forze antagoniste che ne rallentano o ne modificano gli effetti. Le politiche non sono altro, per Streeck, che il tentativo di “prendere tempo comprandolo con l’aiuto del denaro” che viene impiegato per disinnescare i conflitti sociali destabilizzanti attraverso varie modalità d’intervento, ma essenzialmente attraverso l’indebitamento del bilancio pubblico e la finanziarizzazione dell’economia.

    Streeck tratta il fenomeno della crisi attuale nella sua continuità a partire dalla fine degli anni Sessanta. L’evoluzione è descritta come un “processo di dissoluzione del regime del capitalismo democratico del dopoguerra”. Ciò che si conosce delle crisi in generale, sostiene Streeck, può essere d’aiuto; però ogni crisi reca in sé un elemento di unicità che le assegna un carattere specifico, collocato in un determinato contesto temporale e spaziale, esprimente la “chiave” della sua interpretazione. Partendo dalla fine degli anni Sessanta Streeck descrive la crisi attuale come la fase ultima della trasformazione del modo in cui sono risolti i conflitti soggiacenti la tensione strutturale sempre esistente tra il funzionamento dei sistemi sociali e il funzionamento dei sistemi economici capitalistici. Il successo conseguito nel controllo dei conflitti è però temporaneo, e perciò preludio di una nuova crisi, in quanto non si considera che ogni provvedimento di stabilizzazione è solo un palliativo, e che, come tale, è destinato a conservarsi sin tanto che la logica di funzionamento del sistema sociale si conserva compatibile con la logica capitalistica di funzionamento del sistema economico.

    L’aumento della complessità delle crisi e il crescente fabbisogno finanziario dello Stato per “comprare tempo”, utile a sedare l’instabilità sociale ed economica, porta gli Stati capitalistici democratici contemporanei ad acquisire un’organizzazione istituzionale che Streeck chiama “Stato consolidato”, destinato a sostituire lo Stato democratico debitore: conseguenza della politica di consolidamento dei bilanci statali e di contenimento del debito pubblico imposta dai mercati finanziari a garanzia dei crediti concessi agli Stati in deficit. La costruzione dello Stato consolidato in Europa è strettamente connessa all’avanzamento del processo d’integrazione, intesa però non come integrazione politica, ma come meccanismo di liberalizzazione delle economie nazionali europee. Lo Stato consolidato, afferma Streeck, sta così azzerando “le risorse politiche dei cittadini dello Stato democratico”; i cittadini contano sempre di meno, e opporsi alle prescrizioni dei mercati finanziari, una volta accolte dalle classi politiche nazionali, diventa sempre più difficile; in tal modo le democrazie nazionali si trovano ad essere ridotte a feudi dei mercati.

    Ma se il capitalismo dello Stato consolidato non è più in grado di produrre l’illusione di poter garantire un suo funzionamento in presenza di una giustizia distributiva condivisa, è inevitabile la separazione del capitalismo dalla democrazia. Se la conservazione della democrazia significa che la giustizia distributiva non è suggerita dal mercato, allora a livello europeo occorre rimuovere o annullare democraticamente “le devastazioni istituzionali” prodotte da tanti anni di attuazione del processo d’integrazione d’ispirazione neoliberista.

    Ma come? Ci si può domandare se sia possibile arrivare ad un controllo dei conflitti che distruggono l’eurozona; secondo Streeck è possibile; ciò però presuppone l’opposizione alle forze centrifughe generate dalla realizzazione dell’Unione europea attraverso la costrizione di sistemi sociali tanto diversi tra loro dentro la “struttura rigida del mercato comune e della moneta unica”. Il rimedio sta nella capacità e volontà di elaborare e di adottare per l’Europa una costituzione democratica che riconosca le differenze nei modi di vivere e nelle economie a livello nazionale, regionale e locale, e che definisca quali aspetti della vita sociale possono essere lasciati alla cura dei singoli contesti politici e quali altri devono essere risolti con la solidarietà di tutti. All’interno di una costruzione federalista siffatta, il sistema monetario più appropriato, per Streeck, appare quello di Bretton Woods, fondato su cambi fissi, ma aggiustabili in modo flessibile.

    Nella situazione attuale, una simile risposta alla crisi, conclude il sociologo tedesco, avrebbe la natura di “una risposta strategica a una crisi sistemica”, in quanto andrebbe ben oltre il processo di integrazione suggerito dai mercati finanziari, mostrando nel contempo “che non è possibile una democrazia sociale senza la sovranità dello Stato”. E’ così? Qualche dubbio è lecito nutrirlo.

    Per quanto la proposta di Streeck possa essere strategica, e perciò di lungo periodo, nulla indica che anch’essa non serva a “guadagnare tempo”; ciò perché, la tensione strutturale tra il funzionamento dei sistemi sociali e il funzionamento dei sistemi economici capitalistici continuerà a permanere, per cui giungerà il momento, anche se il più tardi possibile, di una nuova crisi. Ciò significa che la tensione strutturale, in quanto tale, impone che si discorra mon tanto di proposte per “guadagnare tempo”, quanto di come rimuoverla definitivamente.