giovedì 23 febbraio 2012

ETERNIT

La sentenza di Torino

La sentenza di Torino ancora non rende giustizia alle vittime dell'amianto. Ancora oggi, nonostante il divieto totale dell'uso di amianto sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di amianto.

di Gianni Farina

Deputato PD – eletto nella Circoscrizione Estero

Anche la severa condanna di un tribunale contro gli autori di un efferato crimine non può rendere giustizia alle vittime e ai loro famigliari, ai tanti che sono scomparsi senza conoscere la gravità del male da cui erano stati colpiti, ai molti che vivono nell'attesa angosciosa di un drammatico evento personale. Queste, le parole di commento sulla sentenza di Torino che posso esprimere da parlamentare del Pd eletto in Europa e residente in Svizzera, a pochi chilometri di distanza da Niederurnen, cittadina del Canton Glarona, dove, nel 1903, fu fondata l'Eternit.

    Era nata come un'industria innovativa, con una tecnica per rafforzare il cemento per mezzo di fibre d'amianto. Invece, quelle fibre hanno causato morte in tutto il mondo con l'asbestosi e il cancro al polmone: 100.000 persone ogni anno. Un numero destinato a crescere in modo impressionante, secondo le stime di chi in Svizzera si è occupato ampiamente di questo tema, come la giornalista Maria Roselli Bozzolini, autrice del libro Amianto & Eternit (2008) e il responsabile della sicurezza sul lavoro per il sindacato Unia, Dario Mordasini.

    Ancora oggi, nonostante il divieto totale dell'uso di amianto sia scattato prima in Svizzera nel 1990 e nell'Unione europea nel 2005, vi sono decine di Paesi che lo producono nel mondo. Secondo i dati del British Geological Survey, sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di amianto, soprattutto in nazioni come Russia e Cina.

    Ecco perché la sentenza di Torino non può essere considerata risolutiva. È importante, sì, perché segna, come ha detto François Iselin, professore emerito del Politecnico federale di Losanna ed esperto del Comitato vittime dell'amianto (CAOVA): "Un punto di partenza importante per chi si preoccupa della salute dei lavoratori e dei cittadini. Questo processo sarebbe stato perfettamente evitabile se i numerosi studi sulla nocività di questo materiale fossero stati presi in considerazione un po' più velocemente".

    Non mi lascia tranquillo il verdetto dei 16 anni di carcere ciascuno (verdetto oltretutto non all'altezza della gravità del crimine) emesso dal tribunale di Torino a condanna del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis De Cartier per disastro doloso per le condizioni degli stabilimenti piemontesi di Cavagnolo e Casale Monferrato (per gli stabilimenti di Rubiera in provincia di Reggio Emilia e Bagnoli a Napoli i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto), perché si tratta di una sentenza di primo grado. Possiamo immaginare le forze che Schmidheiny e De Cartier metteranno in campo per rovesciare questo primo esito.

    In Italia si contano, ufficialmente (dato indubbiamente in difetto) 3 mila vittime; in Francia l'amianto è ritenuto responsabile della morte del 10 per cento delle malattie per cancro al polmone e della morte di oltre 100 mila persone nei prossimi 15 anni; in Belgio una sentenza ha già costretto Eternit a risarcire di 250 mila Euro i famigliari di una vittima; in Svizzera, il caso non è affatto chiuso, anche se il reato è caduto in prescrizione: ogni anno si contano 80 casi di malattia dovuti ad esposizione ad amianto e secondo le stime della SUVA (principale Assicurazione di infortuni) nei prossimi 15 anni circa 3 mila persone moriranno di questa malattia. Ecco il mio appello alle organizzazioni dei lavoratori: in Italia, in Svizzera, in Francia, in Belgio e altrove a unirsi per portare il messaggio di Torino ovunque.

    Un messaggio di speranza in una giustizia più giusta e anche e soprattutto celere. Una giustizia tesa a salvaguardare il diritto alla sicurezza e il valore del lavoro. Una giustizia che risponda appieno al 1°  articolo della Costituzione repubblicana.

   Perciò l'augurio è che, ovunque, in Europa e nel mondo possano operare tanti pm alla Raffaele Guariniello e tanti tribunali come Torino con il coraggio di contrastare e condannare i crimini di chi avvelena il mondo arricchendosi sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori.