giovedì 23 febbraio 2012

Fornero: sussidi al posto della cassa straordinaria

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

Il ministro del Welfare: "non vogliamo abolire la cigs, ma va considerata per riorganizzazioni e soluzioni di crisi con un tempo definito". Poi "riordino dei contratti" e "sgravi per donne e meridione". "Spero in confronto proficuo con le parti".

Di Cassa integrazione straordinaria "non ce ne sarà più bisogno se ci saranno i sussidi per la disoccupazione", mentre "entro certi limiti quella ordinaria deve essere rafforzata". E' la ricetta del ministro del Lavoro Elsa Fornero, che l'ha snocciolata a Bruxelles, al Consiglio Ue affari sociali e occupazione, ricordando che il tema degli ammortizzatori sociali sarà materia di discussione in occasione della prossima riunione del tavolo fra governo e parti sociali sulla riforma del lavoro.

    "Mi auguro che sarà un incontro proficuo come lo è stato l'ultimo, è un lavoro in costruzione, ne abbiamo già posto i primi piccoli tasselli". L'atteggiamento delle parti, ha aggiunto Fornero, è "quello giusto, senza preclusioni né ricette precostituite".

    Il governo, però, ha tenuto a specificare il ministro del Welfare, non ha intenzione di abolire la cassa straordinaria: "Non ne avremmo bisogno entro certi limiti, non è che la aboliamo", ha detto la Fornero, precisando che quella straordinaria "va considerata per riorganizzazioni, soluzioni di crisi credibili e con un tempo definito".

    Per quanto riguarda gli ammortizzatori, il problema italiano è che "alcune categorie sono completamente escluse, quindi il nostro principio è più universalismo nella protezione sociale, ma lo dobbiamo fare a parità di risorse e a parità di costi che è un grossissimo vincolo", ha spiegato il ministro. Per questo, ha aggiunto, "andiamo a studiare col lanternino ogni possibile ristrutturazione delle contribuzioni per vedere di dare un'assicurazione a tutti con la loro redistribuzione".

    Fornero, però, ha annunciato altri punti del suo piano. "Anche l'occupazione femminile e il dualismo nord-sud del Paese sono destinatari di attenzione particolare principalmente attraverso sgravi fiscali e migliori servizi anche formativi finanziariamente anche sostenuti dal Fondo sociale" europeo.

    L'esecutivo Monti, ha continuato Fornero, lavora ad una riforma del mercato del lavoro da completare "con il massimo consenso delle parti sociali, per favorire una più ampia partecipazione di giovani, donne e lavoratori anziani". L'impegno, ha sintetizzato Fornero nel suo intervento alla sessione sull'occupazione è quello di "adottare riforme coraggiose conciliando il rigore finanziario con la coesione sociale: come ha più volte ricordato il presidente del Consiglio Mario Monti - ha sottolineato il ministro del Lavoro – è importante uscire dall'austerità per puntare alla crescita e agli obiettivi sociali. Abbiamo già realizzato una riforma strutturale del sistema previdenziale che ha ristabilito l'equità fra generazioni, fra generi e all'interno delle generazioni". La riforma del mercato del lavoro, ha ripetuto il ministro, sarà realizzata "con il massimo possibile di consenso sociale e dialogo con le parti sociali".

    Il '"primo elemento"sarà il "riordino dei contratti", perché "troppe tipologie negli anni hanno creato precarietà diffusa tra i giovani", ha detto. Per il governo, la "lotta alla disoccupazione giovanile è una priorità", e nel mettere a punto la riforma, l'enfasi andrà all'apprendistato per favorire l'ingresso dei giovani", ha aggiunto Fornero.

    Già sui giornali di stamattina (17 febbraio), il ministro del Welfare era tornata sul tema della riforma, dando un giudizio positivo sull'avvio del negoziato e confermando i tempi per il varo, entro marzo, e la determinazione del governo a fare una riforma "vera" che sarà "a 360 gradi".

    E il punto centrale da cui partire dovrebbe essere l'apprendistato, su cui c'è già l'ok di sindacati e imprese, perchè davvero diventi lo strumento principale, la forma tipica di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Con l'obiettivo di allocare bene le risorse, in modo che "le cose migliori alle quali arriveremo non costino di più". Costi in termini effettivi e di burocrazia, su cui le imprese chiedono che non ci siano aggravi.

    Anche secondo la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, nella trattativa "si è partiti con il piede giusto", sottolinea il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che al governo Monti riconosce di avere operato "fino ad oggi nella direzione giusta". Non approva affatto, invece, la scelta della Fiom, le tute blu della Cgil, di proclamare lo sciopero generale dei metalmeccanici il 9 marzo anche contro "la volontà di manomettere" l'articolo 18: lo sciopero "è una scelta legittima ma che noi non condividiamo. Non risolve i problemi. In un momento come questo bisogna cercare di lavorare insieme per la crescita e l'occupazione", sostiene Marcegaglia.

    Al di là della questione dell'articolo 18, su cui la Cgil riconosce "le ragioni importanti" dell'iniziativa della Fiom e ribadisce ancora una volta il suo no a toccare una "norma di civilità", il segretario generale di corso d'Italia sottolinea che da parte del governo "c'è un approccio importante, perché si dice che le cose peggiori devono essere cancellate e si introduce un meccanismo di incentivi e disincentivi delle forme di precariato". Sui tempi stretti della trattativa indicati da Fornero, Camusso torna a dire che "il tempo non è di per sé un valore. Ci sono accordi che si possono fare in poche ore, altri che ne richiedono molto. Il problema è il merito". E quindi l'articolazione in termini concreti, attraverso il confronto.

    Il ministro del Lavoro conferma che "c'è il massimo ascolto" questa volta, a differenza della "severa" riforma delle pensioni che "abbiamo fatto senza un vero confronto con le parti sociali" perché 'non c'era il tempo'. Ma, tiene a sottolineare, "il sindacato sa che al di là dell'ascolto c'è la ferma decisione del governo di fare una riforma vera". Che, intanto, punta sulla "vera scommessa" dell'apprendistato, come inserimento e come formazione, su cui l'Italia è "piuttosto in ritardo". Il suo utilizzo oggi è praticamente nullo: risulta appena del 3% il ricorso al contratto di apprendistato nei primi sei mesi del 2011, secondo i dati del Rapporto sulla coesione sociale messo a punto da Inps, Istat e dallo stesso ministero del Lavoro. Lunedì prossimo Fornero rivedrà sindacati e imprese, questa volta nella sede del ministero, per concentrarsi su ammortizzatori sociali e politiche attive, mentre proseguono contatti e lavori a livello tecnico.

   Il confronto proseguirà lunedì prossimo, nella sede di via Veneto, quando si terrà un nuovo incontro tra sindacati, imprese e Governo. Lo ha convocato oggi il ministro del Lavoro Elsa Fornero. A quanto si apprende, l'incontro è stato fissato per le 12.15 al ministero con tutte le parti sociali.

La Cina e il capitalismo

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

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La rottura dell'ordine post-bellico. In questi giorni si assiste ad un intenso dibattito sul futuro del Capitalismo. Ci si chiede se esso abbia o meno mutato anima.

di Alfonso Siano

Ultimamente anche l'Economist ha dedicato una copertina al Capitalismo di Stato, cioè a quella forma di capitalismo che si va affermando in primis in Cina.

    Si tratta di un modello che non consente un totale dispiegamento delle forze di mercato, tipico delle società aperte occidentali. Al contrario, la sua struttura favorisce posizioni di monopolio od oligopolio da parte di imprese pubbliche o di fondi sovrani, che si avvantaggiano della forza politica dei rispettivi Stati di provenienza per acquisire all'estero crescenti posizioni sui mercati internazionali.

    Lo Stato e le imprese pubbliche ad esso riconducibili, mettono dunque in campo, in modo sinergico, forza politica e forza economica al fine di perseguire l'obiettivo di una maggiore ricchezza nazionale per assicurare il benessere per i propri cittadini.

    In questo contesto, è di pochi giorni fa la notizia che il fondo sovrano cinese China Investment Corporation, con un esborso di circa 850 milioni di Euro, ha acquisito una quota di minoranza in Thames Water, il maggiore operatore idrico britannico. Tra i contributi recenti sull'argomento, molto interessante, al fine di inquadrare con puntualità e rigore il fenomeno in atto, è il libro di Nunziante Mastrolia "La grande transizione", che affronta il tema della crisi del capitalismo, come si è venuto sviluppando negli ultimi decenni. Come ben argomentato da Mastrolia, il Capitalismo di Stato è una delle conseguenze del tentativo da parte delle potenze emergenti, come la Cina, di modificare l'ordine esistente nel mondo dalla fine della seconda guerra mondiale. In particolare, l'acquisizione di imprese ed infrastrutture europee rientrerebbe nella strategia del governo cinese di sfuggire non solo alla svalutazione del dollaro e dei Titoli di Stato americani, ma anche di accrescere la propria sfera di influenza nelle altre economie occidentali. La Cina si sgancerebbe così' dal filo doppio che la tiene legata agli Stati Uniti attraverso il possesso di una enorme massa di Titoli del debito pubblico USA che, se svalutata, comporterebbe gravi ripercussioni sociali in Cina e, probabilmente, la caduta della classe dirigente.

    Come noto, negli ultimi anni, la Cina ha fatto credito agli USA, in misura veramente generosa, per favorire le esportazioni cinesi. Con l'obiettivo di conseguire un maggiore benessere all'interno e, per tale via, la legittimazione, sia pure non democratica , della classe dirigente cinese.

    La minaccia degli USA di onorare i propri debiti semplicemente stampando dollari, con la conseguente svalutazione dei titoli detenuti dai creditori, impone alla Cina di trovare alternative agli investimenti in dollari. Di qui la disponibilità del gigante asiatico ad acquistare titoli di Stato dei Paesi europei in temporanea difficoltà. Una politica di acquisizioni che in qualche misura risulta funzionale anche agli interessi economici tedeschi. Il soccorso asiatico ai Paesi europei, libera in qualche misura Berlino dall'onere di correre in aiuto dei Paesi dell'Unione che si trovano in situazioni finanziarie difficili, pur consentendo alla Germania di continuare a professare la sua ortodossia monetaria. Ma visto che, con la politic a monetaria recentemente inaugurata da Draghi, sono cresciute le aspettative di inflazione anche nell'Eurozona, la Cina ha rivolto la sua attenzione anche all'acquisizione di infrastrutture e di imprese europee, che mettono la sua economia maggiormente al riparo dalla svalutazione del cambio rispetto alla acquisizione dei titoli di Stato.

    Ma non solo. Infatti, con questa strategia la classe dirigente sembra voler dire all'Occidente: attenzione, se svalutate troppo le vostre valute e mettete in difficoltà la tenuta del fronte interno cinese, io a mia volta intervengo sulle vostre "utilities" dal momento che possiedo gli strumenti per esportare e introdurre il caos anche nella vostre società. Ad esempio rincarando i costi per l'energia e gli altri beni di prima necessità.

ETERNIT

La sentenza di Torino

La sentenza di Torino ancora non rende giustizia alle vittime dell'amianto. Ancora oggi, nonostante il divieto totale dell'uso di amianto sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di amianto.

di Gianni Farina

Deputato PD – eletto nella Circoscrizione Estero

Anche la severa condanna di un tribunale contro gli autori di un efferato crimine non può rendere giustizia alle vittime e ai loro famigliari, ai tanti che sono scomparsi senza conoscere la gravità del male da cui erano stati colpiti, ai molti che vivono nell'attesa angosciosa di un drammatico evento personale. Queste, le parole di commento sulla sentenza di Torino che posso esprimere da parlamentare del Pd eletto in Europa e residente in Svizzera, a pochi chilometri di distanza da Niederurnen, cittadina del Canton Glarona, dove, nel 1903, fu fondata l'Eternit.

    Era nata come un'industria innovativa, con una tecnica per rafforzare il cemento per mezzo di fibre d'amianto. Invece, quelle fibre hanno causato morte in tutto il mondo con l'asbestosi e il cancro al polmone: 100.000 persone ogni anno. Un numero destinato a crescere in modo impressionante, secondo le stime di chi in Svizzera si è occupato ampiamente di questo tema, come la giornalista Maria Roselli Bozzolini, autrice del libro Amianto & Eternit (2008) e il responsabile della sicurezza sul lavoro per il sindacato Unia, Dario Mordasini.

    Ancora oggi, nonostante il divieto totale dell'uso di amianto sia scattato prima in Svizzera nel 1990 e nell'Unione europea nel 2005, vi sono decine di Paesi che lo producono nel mondo. Secondo i dati del British Geological Survey, sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di amianto, soprattutto in nazioni come Russia e Cina.

    Ecco perché la sentenza di Torino non può essere considerata risolutiva. È importante, sì, perché segna, come ha detto François Iselin, professore emerito del Politecnico federale di Losanna ed esperto del Comitato vittime dell'amianto (CAOVA): "Un punto di partenza importante per chi si preoccupa della salute dei lavoratori e dei cittadini. Questo processo sarebbe stato perfettamente evitabile se i numerosi studi sulla nocività di questo materiale fossero stati presi in considerazione un po' più velocemente".

    Non mi lascia tranquillo il verdetto dei 16 anni di carcere ciascuno (verdetto oltretutto non all'altezza della gravità del crimine) emesso dal tribunale di Torino a condanna del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis De Cartier per disastro doloso per le condizioni degli stabilimenti piemontesi di Cavagnolo e Casale Monferrato (per gli stabilimenti di Rubiera in provincia di Reggio Emilia e Bagnoli a Napoli i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto), perché si tratta di una sentenza di primo grado. Possiamo immaginare le forze che Schmidheiny e De Cartier metteranno in campo per rovesciare questo primo esito.

    In Italia si contano, ufficialmente (dato indubbiamente in difetto) 3 mila vittime; in Francia l'amianto è ritenuto responsabile della morte del 10 per cento delle malattie per cancro al polmone e della morte di oltre 100 mila persone nei prossimi 15 anni; in Belgio una sentenza ha già costretto Eternit a risarcire di 250 mila Euro i famigliari di una vittima; in Svizzera, il caso non è affatto chiuso, anche se il reato è caduto in prescrizione: ogni anno si contano 80 casi di malattia dovuti ad esposizione ad amianto e secondo le stime della SUVA (principale Assicurazione di infortuni) nei prossimi 15 anni circa 3 mila persone moriranno di questa malattia. Ecco il mio appello alle organizzazioni dei lavoratori: in Italia, in Svizzera, in Francia, in Belgio e altrove a unirsi per portare il messaggio di Torino ovunque.

    Un messaggio di speranza in una giustizia più giusta e anche e soprattutto celere. Una giustizia tesa a salvaguardare il diritto alla sicurezza e il valore del lavoro. Una giustizia che risponda appieno al 1°  articolo della Costituzione repubblicana.

   Perciò l'augurio è che, ovunque, in Europa e nel mondo possano operare tanti pm alla Raffaele Guariniello e tanti tribunali come Torino con il coraggio di contrastare e condannare i crimini di chi avvelena il mondo arricchendosi sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori.

giovedì 16 febbraio 2012

BASTA PRENDERCI IN GIRO

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Sulla riforma della politica

 

di Felice Besostri

 

A ogni piè sospinto ci spiegano che il problema dell'Italia sono i Partiti, che hanno dato vita ad una partitocrazia, che ha occupato le istituzioni, l'economia pubblica e vampirizzato quella privata grazie alle concussioni e corruzioni.

    Il difetto che sta  alla base della degenerazione starebbe proprio nell'art 49 della Costituzione, che peraltro si limita a dire, con formulazione analoga a quella della Grundgesetz tedesca e della Costituzione spagnola del 1978, che " Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ". E'vero che non si specifica che questi partiti, a differenza dei sindacati, siano dotati di " statuti… (che)... sanciscano un ordinamento interno a base democratica " (art. 39, c.3 Cost.), ma ci si arriva facilmente per via interpretativa, perché avrebbe costituito violazione dell'art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) un trattamento differenziato tra sindacati partiti, che sono entrambi formazioni sociali ai sensi dell'art. 2  Cost., cioè luoghi " ove si svolge la sua personalità " ed è richiesto " l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ".

    La degenerazione non è stata provocata dai partiti in sé, perché, se bastasse la norma costituzionale, la stessa degenerazione si sarebbe verificata in Germania e Spagna. La degenerazione è, invece, il frutto della mancata attuazione del precetto costituzionale, cioè dell'assenza di una legge organica sui partiti politici, come in tutti i paesi europei.

    Qualcuno ha fatto riferimento alla costituzionalizzazione del PCUS nella Costituzione dell'U.R.S.S.(art. 6) e nel ruolo dirigente del partito Comunista nelle democrazie popolari dell'Europa orientale: quelle norme davano la preminenza a un partito solo, indipendentemente da un consenso elettorale, l'esatto contrario dell'affermazione del pluralismo politico e del metodo democratico della nostra Costituzione. de la democrazia " è il governo dei poteri visibili" , nulla è meno trasparente della vita interna dei partiti, che esercitano funzioni pubbliche in forma privata.

    Non si ricorda una campagna di stampa per far funzionare i partiti secondo Costituzione, perché fa comodo che siano come sono o al servizio di interessi economici privato o delle oligarchie che li dominano, che sono ricattabili quando non son funzionali agli interessi costituiti. E' più facile condizionare una piccola oligarchia, che un partito con centinaia di migliaia di militanti che vogliono discutere e decidere. Se ci sono dei paria nel nostro paese, questi sono gli iscritti a un partito quando non fanno parte della nomenklatura interna o della " casta " presente nelle istituzioni.

    Quanti sanno che i padroni dei simboli di partito non sono gli organi statutari ma il segretario o presidente della formazione, che può delegare un suo amico, anche non iscritto, a depositare le liste dei candidati alle elezioni dal comune alla regione, dalla Provincia al Parlamento, anche contro le decisioni degli organi locali o statutari nazionali? Quanti sanno che i soldi dei rimborsi elettorali vanno a un centro arbitro di distribuirli a piacimento, senza tener conto dei livelli, che i voti hanno raccolto? Non contenti di aver espropriato gli iscritti, le oligarchie, con la complicità dei mezzi di informazione e con il pretesto di assicurare la governabilità hanno fatto leggi maggioritarie e bipolari, espropriando anche gli elettori con premi di maggioranza e liste bloccate e introdotto una specie di elezione diretta del Primo Ministro, non prevista dalla Costituzione.

    Come per risolvere la crisi economica e finanziaria di usano le ricette degli untori, così la crisi politica e istituzionale dovrebbe essere risolta da sistemi bipolari e maggioritari, cioè quelli che hanno fallito alla prova pratica. In  Italia ci sono più partiti, che al tempo del proporzionale, e nel 2006 e nel 2008 abbiamo eletto Parlamenti instabili.

Sul libro di Orsini "Gramsci e Turati"

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Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Gramsci si convinse che la rivoluzione in Russia era stato un colpo di mano contro il Palazzo difeso da milizie dietro le quali non c'era quasi nulla legato organicamente a quel mondo . . .

 

di  Giuseppe Tamburrano

 

Ho partecipato dagli inizi della querelle agli studi e ai convegni gramsciani sui rapporti di Gramsci con il partito comunista e dato alle stampe nel 1963 una biografia dal titolo "Antonio Gramsci" seguendo passo passo le sue note – che per i vincoli carcerari non potevano essere troppo chiare(ma lo furono abbastanza da essere intellegibili) – e scoprendo che Gramsci in carcere non crede più alla rivoluzione bolscevica in Italia e disegna – nelle tragiche condizioni in cui lavora – una nuova strategia che non definisco "democratica" per evitare equivoci.

    Gramsci si convinse che la rivoluzione in Russia era stato un colpo di mano contro il Palazzo difeso da milizie dietro le quali non c'era quasi nulla legato organicamente a quel mondo. Militarmente bene organizzati i comunisti russi diedero una spallata e il Palazzo d'Inverno venne giù tutto.

    In Italia era ridicolo pensare di abbattere il capitalismo con  uno scambio di fucileria con i militi che difendevano il Quirinale. Per sottolineare la differenza essenziale tra la rivoluzione russa e la rivoluzione in Occidente Gramsci scrisse la famosa frase:

     "Mi pare che Ilic aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata [insurrezione] applicata vittoriosamente in Oriente nel 1917 alla guerra di posizione [conquista graduale] che era la sola possibile in Occidente… Solo che Ilic non ebbe il tempo di approfondire la sua formula,pur tenendo conto che… il compito fondamentale era nazionale".

    Bisognava conquistare tutti i fortilizi grandi e piccoli, culturali, tecnici, i modi di pensare della gente, le istituzioni culturali svuotando la società capitalistica dei suoi contenuti prima di tutto valoriali: questa era l' egemonia secondo Gramsci.

    Io sono convinto che Gramsci si allontanò dal comunismo sovietico, esprimendo nelle sue note un pensiero liberal-democratico: per l'esattezza socialista, ma la prova regina non vi è ancora e la disputa continuerà.

    Il libro di Orsini (Rubbettino, 2012) sostiene la tesi opposta, diametralmente opposta. Tra il comunismo di Gramsci e il socialismo di Turati non vi è alcun punto di contatto, ma proprio nessuno. Per non lasciare dubbi, Orsini semplifica e fa un testo a fronte:

 

  Gramsci

 

- Chiusura preventiva alle idee dell'altro

- Disprezzo degli avversari

- Elogio dell'insulto

- Celebrazione della violenza

- Intolleranza                                                                                              

- Attacco personale                                                                               

- Principio di autorità                                                                            

- Sottomissione all'ortodossia del partito

- Culto di Lenin                                                                                        

- Dittatura del partito unico

  Turati

 

- Educazione al dialogo

- Rispetto degli avversari

- Condanna dell'insulto

- Rifiuto della violenza

- Tolleranza

- Rifiuto dell'atto personale

- Libertà di critica

- Diritto all'eresia

- Rifiuto della cultura leninista

- Pluralismo dei partiti

 

 

Come ho detto sopra, Orsini semplifica e la questione gramsciana non avrà fine.

    Su un punto occorre andare cauti: La violenza di Gramsci (che non poteva essere che verbale).

    Noi qui ricordiamo – con la violenza verbale, i "cazzotti nell'occhio" – anche la sua tenerissima prosa nelle lettere ai figli.



 

martedì 7 febbraio 2012

Preoccupati per Mirafiori

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LAVORO E DIRITTI

a cura di  www.rassegna.it

 

Con Detroit sempre più centrale e il mercato europeo in sofferenza, sul futuro dello stabilimento Fiat si addensano molti interrogativi. Ne parliamo con Donata Canta , a capo della Cgil torinese, e Giorgio Airaudo , segretario nazionale Fiom

 

di Giovanni Rispoli

Dove va Mirafiori? Quali sono le sue prospettive? Dopo la conversazione con alcuni operai e sindacalisti nella sede della V Lega Fiom, a Torino, affrontiamo il tema con Donata Canta, segretaria generale della Camera del lavoro torinese, e Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile auto della Fiom.

    "C'è grande preoccupazione. Anche tra coloro che hanno detto sì a Marchionne, convinti che comunque ci sarebbe stato il rilancio dello stabilimento". Donata Canta tiene a sottolineare subito che gli interrogativi intorno al destino di Mirafiori non riguardano più soltanto Fiom e Cgil. "Non può non essere così, del resto. Parlano i fatti: il 2011 ha fatto registrare il numero più alto di ore di cig, il mercato è in caduta, nessun segnale viene dal fronte della ricerca e sviluppo, il 2012-2013 non lascia intravedere nulla. Più si va avanti, più il rilancio diventa problematico".

    Nei progetti del gruppo Torino non è più il centro del centro, ricordiamo. "Torino e il paese – osserva Canta –. Le nostre preoccupazioni circa il ruolo dell'Italia e delle istituzioni nell'operazione Chrysler erano fondate. Altrove i governi sono intervenuti; da noi, come sappiamo, il governo Berlusconi è stato del tutto assente. Ora, fra l'altro, sembra aprirsi un fronte ulteriore: l'Europa. Le dichiarazioni di Marchionne sulla ricerca di nuovi partner per affrontare l'asfittico mercato continentale fanno riflettere. Se l'orizzonte è questo i rischi, per noi, dico i rischi di ridimensionamento, potranno solo aumentare".

     "Vorrei però aggiungere – prosegue la segretaria torinese – che l'allarme non riguarda solo i lavoratori Fiat, c'è anche l'indotto". Forse se ne parla di meno perché negli anni la dipendenza dalla Fiat si è allentata, obiettiamo. "Certo, molte aziende non sono più monocommittenti. Però, a parte il fatto che la crisi riguarda anche gli altri, dalla Fiat comunque non arrivano segnali. È un punto centrale, questo dell'indotto. L'incertezza è sovrana, e il 2012 rischia di essere l'anno peggiore".

    Si è parlato molto, man mano che la Fiat cambiava la sua fisionomia, della Torino post fordista, della città industriale che andava dimagrendo a vantaggio del terziario, delle nuove occasioni di sviluppo che sembravano nascere in questo settore. Qual è la realtà? "Chi pensava che il terziario potesse compensare l'indebolimento del tessuto industriale ha sbagliato completamente le previsioni. Per composizione delle aziende, tecnologie e lavoro, il nostro terziario dà risultati assai poco soddisfacenti. La consapevolezza che l'industria manifatturiera non è sostituibile credo sia oggi maggiore".

    Tornando alla Fiat: il problema del futuro di Mirafiori si associa – meglio: è una cosa sola – con il modello di relazioni industriali imposto da Marchionne. Oggi la Fiom è fuori, non ha più diritto alla rappresentanza. Come risalire la china? "Le iniziative intraprese dalla Fiom, da quelle giuridico-legali al referendum, sono importanti e la Cgil le appoggia pienamente. Penso che, insieme, bisognerà provare anche a conquistarci relazioni diverse. Se l'impresa non è disponibile alla codeterminazione, per usare una formula cara a Claudio Sabattini, occorre modificare i rapporti di forza. È difficile ma questa è la strada. Bisogna ripartire allora dall'accordo interconfederale del 28 giugno dello scorso anno, applicarlo per davvero: misurarci quindi sul terreno della rappresentanza e rappresentatività, costruire una piattaforma e un contratto unitario dei metalmeccanici che contemplino il ritorno alla democrazia e le Rsu. È partendo da qui che si può ritornare poi a relazioni diverse anche in fabbrica". "Un compito – conclude Canta – che deve impegnare tutta la Cgil".

     "Mirafiori è il vero buco nero della Fiat. Senza 250mila vetture lo stabilimento non si giustifica. Marchionne dice che Mirafiori è un problema affettivo, noi pensiamo si tratti di un problema del paese". Le parole di Giorgio Airaudo, protagonista della vertenza che oppone la Fiom al gruppo italoamericano, sono chiare. "Si è molto discusso del possibile trasferimento della sede a Detroit. Ma per noi non c'è un problema di sede legale, figurarsi, la questione è un'altra". Quale? "L'intenzione di spostare la progettazione, dividerla fra Torino, Detroit e il Brasile: che significherebbe l'impoverimento del sito".

    Preoccupazioni acuite dagli scenari annunciati da Marchionne per l'Europa, la ricerca di un partner, la ristrutturazione che ne conseguirebbe, i pericoli ulteriori per l'occupazione. "Non credo proprio che un eventuale alleato europeo sarebbe disponibile a ristrutturare e quindi a ridimensionarsi. I governi europei, nella crisi, l'industria nazionale l'hanno difesa. Quello di Berlusconi no. Il primo stabilimento a rischio, nel nuovo scenario, sarebbe Mirafiori".

    Fabbrica Italia, in ogni caso, resta un mistero, il progetto non si vede. "Marchionne naviga a vista. Ma lo fa con una stella polare: gli Usa. Da noi, intanto, usufrisce del welfare: adopera gli strumenti che un modello considerato obsoleto gli offre. Sarebbe necessario discutere, confrontarsi: che il governo si muovesse, dunque, e si aprisse un tavolo negoziale".

    I timori per il destino di Mirafiori si accompagnano alla durezza del presente: le relazioni industriali stravolte, la Fiom privata dell'agibilità sindacale. "Una questione gravissima: ai lavoratori viene impedito di esercitare il diritto costituzionale a decidere da chi debbono essere rappresentati. Anche questo è un tema che riguarda l'intero paese". Una questione che la Fiom affronta muovendosi lungo diverse direttrici. Se si utilizzasse con convinzione l'accordo interconfederale del 28 giugno?, chiediamo. "Il 28 giugno c'è – risponde Airaudo –. Fiom e Cgil, su quell'accordo, hanno avuto una lunga discussione. Ma il 28 giugno c'è: non siamo noi, è la Fiat che deve rientrare nell'accordo: che deve ritornare, in altre parole, al contratto nazionale di lavoro. Adesso Bombassei, candidandosi alla presidenza di Confindustria, propone di estendere il modello Marchionne…". E il quadro dunque si complica. Ma l'accordo c'è, dice Airaudo. A fare i conti con qualche contraddizione, allora, sono Fim e Uilm. Come andare avanti? "Discutendo innanzitutto delle regole democratiche – conclude il segretario Fiom –. Che è quanto abbiamo proposto a queste organizzazioni".
 

IPSE DIXIT

Per me una cosa inspiegabile - «Come il boy scout sia diventato uno che prende soldi per sé per comprare delle case è per me una cosa inspiegabile.» – Francesco Rutelli

 
Vittima del garante - «L'alter ego finanziario della bottega "qui pane e cicoria" non era un parco asceta vegetariano ma un satrapo all'arraffo che esportava all`estero il danaro del partito, quei rimborsi che in nome di Rutelli otteneva e non spendeva ma accumulava. E poi, secondo l`accusa, faceva rientrare con lo scudo fiscale, come un evasore qualsiasi. E intanto Rutelli, che era cointestatario del conto del partito, approvava i bilanci che non leggeva. E mai si accorgeva che tutto il denaro gli veniva sottratto sotto il naso. E non se ne accorgevano i revisori e neppure le assemblee, e quando Lusi e il partito vennero citati in giudizio civile da Enzo Carra e Renzo Lusetti, Rutelli difese indignato la gestione economica del periodo 2009-2010. Si proclamava garante di un'economia di cui ora si dice vittima. Il Rutelli di oggi smentisce il Rutelli di ieri.» – Francesco Merlo

Oscar Luigi Scalfaro (1918-2012)

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

di  Giuseppe Tamburrano

 

Ho conosciuto, tanti anni or sono, Oscar Luigi Scalfaro giovane deputato democristiano della corrente di Mario Scelba. L'ho incontrato in una circostanza che ha fatto notizia. Andavo a pranzo con mio padre, senatore socialista, in un ristorante in Piazza Pasquino frequentato da parlamentari. Un giorno Scalfaro riempì di improperi una giovane signora vestita in modo scollacciato. E' così che Scalfaro apparve nelle cronache.

    Nel II Governo Moro quando nell'esecutivo entrarono gli scelbiani (i socialisti dissero no a Scelba "barattandolo" con due della corrente) Scalfaro fu ministro dei Lavori Pubblici. Era sul tavolo – e ci è rimasto!- il tema della chiusura degli enti inutili che Nenni, Vice Presidente del Consiglio, affidò a me. Trovammo in Scalfaro ampia disponibilità, specie per la soppressione dell'EAM (Ente autotrasporto merci) nato durante l'autarchia fascista. Ricordo il commento di Nenni: spesso gli uomini della destra sono più affidabili di quelli della cosiddetta sinistra. Era persona leale e affidabile. Quando più tardi gli ho riferito l'episodio, Scalfaro sorrise di compiacimento ma aggiunse: "Per la verità non sono di destra".

    L'ho rivisto 3 anni or sono alla celebrazione del sacrificio di Giacomo Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Nella mia orazione ho ricordato, oltre al Martire anche l'organizzatore, il maestro, l'apostolo dei contadini del Polesine. Scalfaro si commosse e mi abbracciò: "Non sapevo che Matteotti fosse un apostolo dei braccianti e delle Leghe".

    Intrattenni con lui una affettuosa amicizia – purtroppo breve. Anche se acutamente consapevole dei mali dell'Italia, non aveva le forze per mettersi a capo di un movimento sulla "questione morale".

    Abbiamo perso un altro "grande vecchio" e non si vedono "grandi giovani"!
 

 

mercoledì 1 febbraio 2012

Novità libraria ADL - ZURIGO PER SILONE II

È uscito in questi giorni il secondo volume degli atti delle Giornate siloniane in Svizzera

 

Questo secondo volume Zurigo per Silone raccoglie gli atti del convegno di studi tenutosi il 23 novembre 2008 presso la Società Cooperativa Italiana, che fu sede del Centro Estero del PSI guidato da Silone tra il 1941 e il 1944.

    La Cattedra di Letteratura Italiana dell'Università di Zurigo, la Società Cooperativa Italiana e la Società Dante Alighieri, insieme al Präsidialdepartement der Stadt Zürich e alla Fondazione Pietro Nenni di Roma, hanno promosso una giornata di studi in ricordo dell'illustre esule antifascista nel trentesimo dalla morte, avvenuta in terra elvetica il 22 agosto 1978.

    Gli interventi raccolti nel presente volume contribuiscono ad arricchire il quadro di riflessione sul grande scrittore e padre costituente della nuova Italia repubblicana, "cristiano senza chiesa e socialista senza partito".

 

SOMMARIO

 

Emilio Speciale, «Per ordine del Podestà sono proibiti tutti i ragionamenti» – Un'introduzione ai testi

Vreni Hubmann, Saluto della presidente dell'Associazione Amici del Coopi

Elmar Ledergerber, Grusswort des Zuercher Stadtpräsidenten

Giuseppe Tamburrano, Un grande italiano

Felice Besostri, Silone e la visione europea del socialismo

Sergio Soave, L'epoca d'oro del Silone svizzero: realtà e false rappresentazioni

Elisa Signori, Generazioni a confronto. Fortini, Bolis e un dibattito su giovani e fascismo nella Zurigo di Silone

Paolo Bagnoli, Silone e Rosselli

Alessandro La Monica, Ignazio Silone: nuove prospettive di studio

Andrea Ermano, Noterelle cosmopolite sulla dignità della persona

 

Zurigo per Silone II – Le idee. Atti delle Giornate Siloniane in Svizzera. Volume secondo a cura di Emilio Speciale . Edizioni de L'Avvenire dei lavoratori , Zurigo, 2011, pp. 170, € 19.00 ~ CHF 28.00.

 
Infomazioni e ordinazioni > red@avvenirelavoratori.ch

Noterelle cosmopolite sulla dignità della persona

Una riflessione siloniana

 

In occasione dell'uscita presso le edizioni dell'ADL di "Zurigo Per Silone II", curato da Emilio Speciale, pubblichiamo di seguito il testo dell'intervento del nostro direttore.

 

di Andrea Ermano

 

Che cos'è l'uomo?

 

Desidero proporvi uno schema di riflessioni circa il senso e il significato della dignità della persona, procedendo nello spirito dell'umanesimo socialista che secondo Ignazio Silone consiste in un'estensione etica di quel sentimento di fratellanza per il quale l'uomo sta al di là di tutti gli interessi economici, politici e religiosi che tendono a strumentalizzarlo e a opprimerlo.

   Muovendo di qui incontriamo una domanda tutt'altro che secondaria, nella quale Kant fa confluire le questioni ultime della filosofia in "senso cosmopolita":

 

1) Was kann ich wissen?

2) Was soll ich tun?

3) Was darf ich hoffen?

 

Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è dato sperare? La domanda in cui i tre quesiti confluiscono è: «4) Was ist der Mensch?» – Che cos'è l'uomo?

   Con gli antichi si potrebbe rispondere che l'uomo è quell' essere vivente che possiede pensiero e linguaggio .

   Gli atti del pensiero e del linguaggio posseggono una struttura intenzionale : sono sempre riferiti a qualcosa. I segni del linguaggio sono sempre "segni di...". Così il pensiero è sempre "pensiero di...". Segni di... Pensiero di... Di che cosa?

 

Essere, alla terza e alla prima persona

 

Il tratto comune agli oggetti del pensiero e del linguaggio sembra risiedere nel loro semplice essere . La nozione di oggetto in generale fa il suo ingresso nel pensiero, nel linguaggio e nella tradizione della filosofia come sostantivo participiale neutro. Esso è l'ente, il ciò-che-è parmenideo che solo 'è' e che non può non essere.

   Esso in verità si rivela un coacervo abbastanza assurdo, data l'estrema difficoltà che il pensiero e il linguaggio incontrano nel cercare di determinare che cosa esso sia nella sua sostanza. Non l'acqua né il fuoco, non l'aria o la terra o il Sole "grande un piede", né l'essere giallo o bianco o un altro dei cangianti colori. Perché se c'è l'ente giallo, pure esiste il non-giallo; così il bianco 'è', ma anche il non-bianco.

   Insomma, l'ente può essere detto in molti modi, e in altrettanti contraddetto. Il mondo dell'ente è troppo pieno di contraddizioni, cioè vuoto: un nulla.

   All'essere degli antichi, neutralizzato e annichilito, la rivoluzione cartesiana ha opposto una nuova sostanzialità, quella della prima persona . Questa rivoluzione consiste nel riferire il pensiero a se stesso: Io penso, dunque sono . Ma resta aperto un grosso problema: come potrò io, solus ipse, distinguere il mondo dal sogno? Il cogito moderno sembra destinato a rimanere prigioniero di un'autoreferenzialità senz'evasione.

   Né dalla prima persona cartesiana, ombra di un sogno, né dalla terza persona parmenidea, coacervo di contraddizioni che non significano nulla, sembrano poterci venire molti ragguagli sul nostro mondo.

 

Seconda persona come substantia prima

 

Per compiere una rivoluzione mondiale dell'essere occorre volgersi alla seconda persona.

   Tu sei, tu esisti. Voi siete, esistete per davvero.

   Nella seconda persona la sostanzialità dell'essere si manifesta secondo la dignità , valore assoluto che appartiene a te, a voi e a ciascun singolo 'tu'.

   L'essere si declina originariamente alla seconda persona per via della sua innegabilità nella "relazione sociale". La curvatura buberiana-levinassiana dello spazio intersoggettivo illumina l'esteriorità del mondo come orizzonte generale in cui anche il riferimento oggettivo trova un suo contesto, necessario a "salvare i fenomeni". L'esistenza dell'altro, ossia in ultima analisi il "tu sei, tu esisti", è garante dell'esteriorità, cioè del nostro mondo umano d'azione, di parola e di pensiero.

   La differenza dell'approccio consiste nel pensare l'essere a partire dalla sostanzialità dell'altro, ossia dalla sua propria personalità, la cui caratteristica è il possedere dei diritti. Il primo presupposto dei diritti (inalienabili) della persona consiste nel suo, e dunque nel tuo, existere .

   La dignità – intesa come "valore assoluto" – si manifesta nell'essere del "tu sei", assolutamente riconosciuto. L'essere nella seconda persona possiede lo statuto ontologico di chi esiste a buon diritto, per diritto suo proprio, indipendentemente dai sogni, dalle fantasie, dalle ideologie dell'io che inesorabilmente tendono a cosificare il ciò-che-è in una totalità di funzionalizzazioni economiche, politiche e religiose.

   In altre parole, se il Tu dell'Io significa un Esso, cioè un Ente apparente e dunque un Niente, tutt'altrimenti dentro la curvatura dello spazio dialogico ogni parola e ogni pensiero significano qualcosa, perché intendono sempre anche e soprattutto qualcuno , un 'tu' a cui ogni parola è detta. L'intenzionalità nella sua datività significa qualcuno : è, per così dire, il nome proprio all'infinito.

   Questa datività dell'essere, essere che da Aristotele a Heidegger declinava le categorie dell'esistenza all'accusativo, indizia ora nel 'tu' la sostanza come persona e con essa la dabilità del nostro mondo.

   La rivoluzione mondiale dell'essere è personale .

   È personale in quanto, storicamente, ha inizio come passaggio dalla neutralità impersonale del ciò-che-è (l'orribile il y a di cui parla Emmanuel Levinas) alla personificazione dell'"io penso, dunque sono".

   Ma è soprattutto nel passaggio dalla prima alla seconda persona, dall'"io sono" al "tu sei", che la rivoluzione mondiale dell'essere trova compimento.

 

Transizione bio-etica

 

Se dunque l'essere sostanziale si svela nel "tu sei" mostrando l'etica come prima philosophia, è nell'esistenza personale che la substantia prima s'invera, fin dalle sue origini storico-concettuali che gettano radici profonde nella crisi della dottrina delle idee, tra la redazione platonica del Parmenide e quella aristotelica delle Categorie.

   L'ousiologia fin qui tratteggiata, che schematizza l'idea di persona, è icasticamente riassunta dal l' annotazione del vecchio Kant:

 

Ein Ding res; eine Substanz die so sich ihrer Freyheit bewußt ist ist Person , hat auch Rechte .

 

«Una res , Ding – una sostanza che sia in tal guisa consapevole della sua libertà, è persona , ha anche diritti ». Oggi, nei termini della Dichiarazione universale, si potrebbe dire: «Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo , al riconoscimento della sua personalità giuridica» (art. 2.2) e ciò in quanto «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti» (art. 1).

   Proviamo ora a torcere l'angolatura visuale. Cerchiamo di focalizzare la questione bio-etica che si pone nel discrimine tra 'persona' e 'non-persona'. Si tratta di un problema che c'interpella in modo bruciante nell'odierna costellazione globale caratterizzata da massicci moti migratori e da massicce violazioni dei diritti umani.

   Per cogliere il senso di questo discrimine è utile riflettere sulla distinzione tra la vita umana e la vita nuda. Esemplare, proprio in questi giorni di violente polemiche bio-etiche [il discorso di cui qui si riporta il testo è stato tenuto il 23 novenbre del 2008, ndr] , è il caso di Eluana Englaro, la donna in coma irreversibile dal 1992 per la quale il padre chiede si cessi l'accanimento terapeutico che viene perpetrato sul corpo di lei, corpo privo di vita cosciente e coperto da piaghe di decubito.

   In merito al Caso Eluana si asserisce da parte "pro life" che la dichiarazione di morte cerebrale non basta a sancire la fine della vita.

   Sul piano pratico i trapianti andrebbero allora vietati. Questo quanto meno consegue al criterio della nuda vita. Perché ovviamente c'è 'vita' anche in assenza di vita cosciente, cioè al di fuori della cinta concettuale della "vita umana". Ma, se gli organi di una persona considerata 'morta' per assenza di attività cerebrale debbono essere trapiantati 'vivi' mentre di contro non è lecito considerare veramente 'morta' una persona in stato d'inattività cerebrale, se cioè bastassero i meri segni di vita presenti nei suoi organi a dichiarare 'viva' una persona, allora non si comprendebbe più in qual senso mai si possa parlare di "fine della vita umana ", e questo certo non soltanto in rapporto alla pur delicata problematica dei trapianti.

   L'aporia, inedita nella sua virulenza, mette in luce l'importanza della distinzione che riteniamo intercorrere tra la nozione di vita umana e quella di nuda vita.

   Domanda ai difensori della nuda vita: volete voi assimilare la vita umana a quella, per esempio, di un'ape?

   All'ape che succhia del miele può essere staccato di netto l'intero addome senza che essa mostri di accorgersene: continuerà a succhiare il miele, che fuoriuscirà ora dal tronco del suo corpo mozzato.

   L'inquetudine che proviamo dinanzi alla crudeltà comunque insita in questo genere di osservazioni si mescola all'inquietudine che proviamo per l'assenza di umanità che la nuda vita segnala.

 

La minaccia sovrana

 

L'inquietante paesaggio s'inasprisce ulteriormente nel transito dalla bio-etica alla bio-politica, intesa come il luogo delle decisioni dotate di vigore normativo.

   E qui va detto che – se consentiremo ai benintenzionati di sancire un'equivalenza tra l'espressione "nuda vita" e l'espressione "vita umana" – noi allora nel nome delle buone intenzioni dell'oggi spalanchiamo le porte ai malintenzionati di domani, i quali non tuteleranno la vita nuda, ma denuderanno la vita umana. Questo la storia insegna.

   Nella storia umana è orribilmente normale che i diritti vengano revocati a intere categorie di persone e financo a interi popoli, per esempio a quelli sconfitti in guerra. La guerra, genitore di tutte le cose, rende gli uni liberi, gli altri schiavi, sentenziava già Eraclito. E si tende a dimenticare che il primo Comandamento della tradizione giudaico-cristiana racconta in realtà la storia di una liberazione:

 

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti fece uscire dal paese d'Egitto, dalla casa degli schiavi.

 

Così, il Comandamento è memoria di Liberazione – di fuori uscita dalla schiavitù. Ma proprio perciò presuppone la vicenda di un asservimento precedente, il quale (detto nei termini protofilosofici da cui abbiamo preso le mosse) avviene in forma di riduzione del 'tu' a un 'esso'.

   C'è la cosificazione. Cui, nel dramma della schiavitù, la seconda persona è stata assoggettata, senza che ciò potesse per altro incontrare un insormontabile ostacolo nella coscienza di un 'io' aduso a reificare ogni suo oggetto, come se tutto fosse una semplice 'cosa'.

   Nel 322 a.C. il luogotenente imperiale macedone, Antipatro, espulse i lavoratori ateniesi dal novero della cittadinanza perché dediti alla fatica delle braccia, considerata degna degli schiavi e non di uomini liberi, ricorda Mario Vegetti.

   La storia del pensiero è ricca di teorie tassonomiche alquanto efficienti nel sussumere certi gruppi di persone alla categoria dello schiavo e nell'attribuire poi loro una biologia sub-umana cui giustapporre la natura super-umana riservata ai lor signori. Nelle tassonomie signorili la natura biologica dello schiavo include che sia bene per lui obbedire al suo padrone e servirlo.

   Nel 71 a. C., lungo la via Appia, il proconsole Mario Licinio Crasso fece denudare per spregio e poi crocifiggere seimila persone: Spartaco e i suoi seguaci, ribellatisi alla condizione servile.

   La logica sovrana, appartenente a chi assume la potestà di classificare "schiavi" certe persone, è la stessa che può poi riqualificarle "api", "formiche" o al limite "scarafaggi", reperendo se del caso i mezzi atti a un trattamento in linea con la tassonomia prescelta. Questo è stato. La riduzione della vita umana a nuda vita, e la cosificazione della medesima, è il "ciò che era ad essere" della discriminazione, della persecuzione e dello sterminio. Questo è stato.

   Rimeditando queste gravi tematiche, Giorgio Agamben riprende la categoria dell' homo sacer, risalente al diritto romano arcaico.

   Homo sacer – uomo "sacro" secondo un'accezione secondaria che il termine possedeva in latino e che significava: "detestabile", "esecrabile", "maledetto" – era una persona non esplicitamente condannata a morte, ma che poteva essere ammazzata da chiunque, senza che tale uccisione venisse considerata un omicidio dall'autorità.

   Ecco la figura giuridica di una "vita umana" dichiarata uccidibile , spogliata di ogni sacralità, cioè della sua dignità personale, cioè dei suoi diritti, quindi ridotta a "vita nuda" ed esposta come tale all'arbitrio sovrano.

   Ecco l'archetipo della pubblica maledizione, che sottende all'antropologia del barbaro, della donna e dello schiavo, che il potere classificatorio può ridesignare 'nemico', 'strega', 'traditore', eccetera.

   L'apice abissale del disastro immane – che un Walter Benjamin insorto contro il Patto Molotov-Ribbentrop iniettò nella pupilla atterrita dell' Angelus novus e che Agamben ripercorre "da Aristotele ad Auschwitz" – culmina nel lager nazista.

   Il luogo della Shoah non si presenta soltanto come trionfo di morte assoluta per l'umano, ma anche come laboratorio di un esperimento impensato «in cui i confini fra l'umano e l'inumano si cancellano».

   Nel campo di sterminio l'arbitrio sovrano reclama la sua potestà sul discrimine tra Persona e Non-persona.

 

Cosmopolis

 

Tanto più drammatico è lo scenario che ci si apre in prospettiva cosmopolitica.

   L'ideale cosmopolita, vetusta utopia dei Lumi, attiene per noi oggi all' urgenza di governare dinamiche globali che non possiamo in alcun modo abbandonare a se stesse.

   Ma il mondo umano non è governabile senza il consenso delle persone.

   Ergo, la governabilità del nostro mondo vitale non può fondarsi che sulla mente e sul cuore di ciascun singolo 'tu' in una rivoluzione sociale mondiale improntata all'estensione di quel "sentimento di fratellanza" nel cui spirito ho esposto le presenti considerazioni.

   Per concludere vorrei ribadire tre convincimenti, in modo necessariamente negativo.

   Non sappiamo se il nostro sconfittissimo "socialismo umanista" sia anche solo lontanamente possibile.

   Non vediamo alcuna seria ragione per smettere di crederlo necessario.

   Non sarà il potere sovrano a salvarci.

 

Dieci piccole epsilon

 

Postilla del 5 marzo 2011

 

Tutti sanno che i politici romani portano su di sé responsabilità storiche. Lo afferma anche Joseph Ratzinger che, nella seconda parte del suo libro su Gesù, s'interroga sulla celebre domanda pronunciata dal "pragmatico Pilato" un tragico venerdì di circa duemila anni fa.

   Il predicatore, un nazareno barbatus, sta in piedi nel pretorio davanti al governatore. È imputato di vilipendio all'autorità civile e religiosa, reato grave ove non sacrilego. Potrebbe costargli la vita.

   Il giovane intellettuale della Galilea si mette a parlare di verità. Dichiara di essere venuto al mondo per testimoniare la "Verità". Un fanatico?

    «Che cos'è la verità?» – gli domanda a bruciapelo il prefetto, per vedere quale definizione abbia in mente quell'uomo. Sarà facile poi chiedergli perché mai la sua verità debba coincidere con la Verità con la "V" maiuscola.

   L'imputato tace. Dopo qualche istante l'intero quadro accusatorio appare a Pilato del tutto inconsistente e lo dice anche: «Non trovo nessuna colpa in lui».

   Poi, però, invece di proscioglierlo, lo spedisce sul patibolo. È per via di un mezzo plebiscito, inscenato sotto il balcone da una mezza tifoseria ululante.

   Che importa se l'innocente non è colpevole?

   Che significa innocente?

   Che cos'è la verità?

   In politica i rapporti di forza contano. E per lo più discendono da semplici quantificazioni: tanti i sostenitori, tanti gli indifferenti, tanti gli oppositori, tante le munizioni. Qui s'inserisce la domanda ratzingeriana:

 

Può la politica assumere la verità come categoria per la sua struttura?

 

Bell'interrogativo, perché o la politica è totalmente incapace di verità (e l'unica sua legittimazione sta allora nella violenza, nella corruzione e nella frode), oppure bisognerà pur poterlo sciogliere, questo paradosso di Ponzio Pilato, cioè 'mostrare' finalmente un grano di verità in politica.

   Uno schema di soluzione, si può forse provare a tratteggiarlo partendo da quella "curvatura" dello spazio interpersonale che chiamiamo Linguaggio.

   Sull'isola di Delfi – patria del Linguaggio ( Conosci te stesso! Nulla di troppo! ) – antichi scultori inscrissero la lettera greca "E", una grande Epsilon , la inscrissero nel frontone del tempio di Apollo. Questa grande Epsilon , ad ascoltare Plutarco, indicava la seconda persona del verbo essere: Tu sei. Tu esisti.

   Analogamente, in ogni parola umana è inscritto un piccolo indizio cui di solito non badiamo, ma che intende sempre e comunque l'esistenza reale di un "tu" capace di ascoltare quella parola. Ciò che vale anche per la parola "verità", e per essa anzi vale a ben maggior ragione.

   La verità della verità si svela essere un "tu" che emerge come significato sostanziale dal linguaggio umano, comunque, dovunque.

   La verità della verità s'incarna nella sostanza prima dell'altro essere umano. Fin dall'inizio della riflessione sulle categorie, già in Aristotele, la categoria di sostanza prima è regolarmente associata a un essere umano. Né questi ammette un maggiore o minor grado di sostanzialità, afferma il Filosofo. Tutti gli esseri umani sono pari in sostanzialità e umanità, cioè pari in dignità.

   Ecco, a partire da questa categoria sostanziale della dignità umana , la politica – ma non solo essa – può e deve farsi carico della verità a lei propria, una verità faticosa, priva di sfarzo. Inesauribile nella sua capacità critica. Inservibile in funzione dogmatica.

 

Nel suo Dizionario delle sentenze latine e greche , Renzo Tosi menziona un "curioso aneddoto", secondo cui alla domanda circa la definizione della verità,

 

Quid est veritas?

 

qui formulata nella traduzione latina dell'enunciato originario, Gesù di Nazareth avrebbe risposto con un arguto anagramma:

 

Est vir qui adest.

 
Che cos'è la verità? È l'uomo che ti sta davanti. Pare strano, storicamente, che i due possano aver conversato in latino, ma se non è vera è ben trovata .