martedì 3 ottobre 2017

Votare a 18 anni per il Senato.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

I 945 parlamentari di questa legislatura sono ancora in tempo a fare la più grande riforma elettorale con il più piccolo intervento: scri­ven­do “diciottesimo” invece di “venticinquesimo” nell’articolo 58 della costituzione.

di Marco Morosini

“I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età.” Ancora oggi, dopo 70 anni di Repubblica, i pieni diritti elettorali sono negati in Italia a quat­tro milioni e mezzo di cittadini, quelli che, hanno tra i 18 e i 24 anni di età e che non possono eleggere i senatori. L’Italia è quindi l’unico Paese al mondo nel quale solo la parte più anziana della popolazione elegge metà del Parlamento e quindi determina il Governo (che non può essere in carica senza la fiducia del Senato). Quasi ovunque nel mondo, invece, si eleggono i parlamenti da quando si compiono 18 anni. Inoltre in 11 Paesi 300 milioni di cittadini votano già dall’età di 16 o 17 anni, mentre in 16 Paesi si vota dai 19, 20 o 21 anni.

Lo sbarramento del “venticinquesimo anno” è ingiusto, diseducativo e dannoso. È ingiusto perché nega i pieni diritti civili proprio a quei milioni di giovani che più patiscono le conseguenze di un sistema politico e economico dominato dagli anziani. È diseducativo perché diminuisce proprio nei giovani la fiducia nel parlamentarismo e la partecipazione politica. Infine la soglia del “venticinquesimo anno” è dannosa perché contribuisce alla instabilità politica. L’Italia, infatti, è il Paese europeo con il più forte “voto generazionale”, ovvero con preferenze elettorali molto diverse secondo l’età degli elettori. Insistere a far eleggere Camera e Senato da due corpi elettorali in parte diversi rende più probabili maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento. In tal caso è difficile o impossibile formare un governo, la formulazione e approvazione delle leggi diventano più lente e a volte impossibili, alcune proposte di legge vanno avanti e indietro tra le due camere, e tutto il lavoro è volte gettato via perché la legislatura finisce. Inoltre la precarietà dei governi con maggioranze risicate aumenta, e con essa anche il prezzo politico e quello “commerciale” dei parlamentari disposti a cambiare partito, attirando in Parlamento più persone senza scrupoli.

Certo, dare i pieni diritti elettorali ai diciottenni non basta a curare questi mali. Eppure, se su di essi la riforma del “diciottesimo anno” avesse qualche effetto, ne varrebbe sicuramente la pena, visto che si tratta di cambiare una sola parola nella Costituzione. Ciò richiede una procedura speciale e più lunga, che però è ancora praticabile prima delle elezioni, se avviata subito. La maggioranza necessaria è di due terzi. Ma quale partito avrebbe il coraggio di negare il diritto di voto per il Senato a quei quattro milioni e mezzo di giovani dei quali cerca il voto per la Camera? E il primo partito che in Parlamento, nei media e nei talk-show televisivi si facesse paladino del pieno diritto di voto a 18 anni, non guadagnerebbe simpatia tra gli elettori più giovani?

L’anacronismo del “venticinquesimo anno” è insieme effetto e parziale causa del dominio degli anziani nel nostro Paese. L’Italia spicca infatti nelle classifiche internazionali come il secondo Paese al mondo per percentuale di anziani e come la più radicata gerontocrazia tra i Paesi industrializzati. Con un'età media di 59 anni gli uomini di potere italiani sono i più vecchi d’Europa. L'età media dei banchieri e dei vescovi è 67 anni e quella dei professori universitari 63, rileva uno studio dell'Università della Calabria. 79 e 69 anni è l’età dei due politici extraparlamentari che dominano ancora due delle maggiori forze politiche, il centrodestra e il Movimento cinque stelle. L’Italia è ventisettesima su 29 (ora 35) Paesi dell’Ocse nell’ultimo “Indice di giustizia generazionale” di Pieter Vanhuysse del European Centre for Social Welfare Policy. L’indice consta di quatto indicatori: debito pubblico nazionale pro capite dei minorenni, povertà infantile, rapporto tra la spesa sociale pro capite per gli anziani e quella per il resto della popolazione, impronta ecologica pro capite.

L’Italia è un caso estremo di una tendenza generale. In quasi tutti i Paesi dell'Ocse, infatti, il potere e la prosperità degli anziani crescono a scapito dei giovani. Dal 1990 al 2005, l'età mediana dell'elettore in questi stessi Paesi è cresciuta tre volte più velocemente che nei trent'anni precedenti. Nei Paesi più ricchi una percentuale sempre maggiore di anziani e una loro maggiore partecipazione al voto, rispetto ai giovani, causano uno squilibrio politico generazionale. Per controbilanciare questa tendenza, e quella mondiale dei giovani a votare sempre di meno, in molte nazioni si moltiplicano le iniziative per dare i pieni diritti elettorali a partire dai 16 anni. Buoni argomenti per questa riforma sono esposti per esempio da Tommy Peto, dell’Università di Oxford, dal settimanale The Economist, e dal giornale britannico The Guardian. Il voto ai sedicenni è però un tema controverso. Per questo è curioso che il Movimento cinque stelle, il partito italiano più giovane, con i deputati più giovani, e il più votato dai giovani, abbia espresso solo quest’anno una generica posizione per il diritto di voto a 16 anni, mentre in quattro anni i suoi 160 eletti non hanno fatto nulla di efficace in Parlamento e nei media per una riforma meno controversa e più semplice: il voto a 18 anni per il Senato.

Gli italiani anziani sono in proporzione più numerosi e hanno più potere, occupazione, reddito, patrimonio e privilegi dei più giovani. Per questo molti giovani si sentono sempre più esclusi dal tessuto sociale e dalla partecipazione politica. In Italia la disoccupazione e l’emigrazione giovanile sono tra le più alte nei Paesi industrializzati. Ogni anno decine di migliaia di giovani, spesso laureati o dottorati, si trasferiscono all’estero. Ma proprio costoro non hanno diritto di eleggere tutti i legislatori né di contribuire a determinare i governi che potrebbero cercare di rimediare. È per questo che, promossa da Oliviero Toscani, Elda Lanza, Vitaliano Damioli, Wolfgang Gründiger , oltre che da chi scrive (la nostra età media è 73 anni), è in corso la petizione “Voto a 18 anni per il Senato” , indirizzata alle massime autorità della Repubblica e ai Parlamentari.

Il lungo e umiliante mercanteggiare sulle “grandi riforme” elettorali non ha prodotto niente di buono. Inoltre ha gettato discredito sul parlamentarismo, convincendo molti che ogni nuova proposta di riforma volesse solo favorire l’uno o l’altro partito. Se gli attuali parlamentari attuassero una “piccola riforma” dalle grandi conseguenze, che va davvero a beneficio di tutti i cittadini, forse riguadagnerebbero un po’ della loro stima. Prima della fine della legislatura si può e si deve finalmente dare i pieni diritti elettorali a tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni.

martedì 26 settembre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (17) - Un internazionalismo al di sopra di ogni sospetto

L’ADL del 14.7.1917 comunica che la Commissione d’inchiesta istituita dall'Internazionale socialista sul parlamentare svizzero Robert Grimm «ha emesso il suo definitivo giudizio, dopo accurate e rapide indagini», concludendo che «nel suo tentativo di spianare la via alla pace o di sondare il terreno per una pace fondata su un accordo reciproco, Grimm fu guidato soltanto da nobili intenzioni».

    Di conseguenza, questo compagno sta “al di sopra di ogni sospetto” e, se a San Pietroburgo risulta avere intavolato trattative segrete per una “pace separata” tra Russia e Germania, egli certo non intendeva agire "nell’interesse dell’imperialismo germanico o come suo agente". Sicché, così come è fuori discussione «l’onore personale di Grimm, così è fuori di ogni dubbio il suo carattere di socialista e di zimmerwaldista» (ADL 14.7.1917).

    Tutto a posto, dunque?

    Non proprio tutto. La Commissione ha trovato, infatti, «incauto e impolitico che Grimm abbia fatto, sotto la propria responsabilità, un passo il quale ha porto occasione agli avversari di dipingere come malfido il movimento zimmerwaldiano» (ADL 14.7.1917). In realtà, tra i critici più ostili a Grimm si annoverano i suoi stessi compagni socialisti svizzeri di lingua francese: i romand, tradizionalmente schierati a sinistra, che però si sentono anche vicini ai socialisti francesi e cioè, in ultima analisi, alle forze dell'Intesa.

    Enumerazione dei principi violati da Grimm: «Siamo contro la collaborazione di classe, siamo contro la diplomazia segreta, siamo per l’azione aperta a visiera alzata, e Grimm ha errato nello stringere rapporti con un Ambasciatore borghese, nel valersi della diplomazia segreta, nell’agire segretamente all’insaputa dei compagni di lavoro». Certo, l’uomo Grimm «resta al di sopra d’ogni accusa… Ma il socia­lista ne resta toccato… e non potrà più svolgere quel rôle che lo aveva posto primo, tra i primi, a capo del movimento zimmerwal­diano» (ADL 14.7.1917).

    Il rôle di Grimm, nella direzione della Commissione socialista internazionale impegnata nelle trattative per la pace, viene ora assunto da Angelica Balabanoff. La quale a tale scopo si trasferisce a Stoc­colma. E, nel mentre assume le sue funzioni, Angelica invia alla Direzione nazionale del PSI, di cui fa parte, questa dichiarazione: «Non potendo seguire da qui la stampa italiana, autorizzo voi, cari compagni, di smentire nel modo più energico e di ricorrere eventualmente alle vie giudiziarie contro chiunque insinuasse che io personalmente o la Commissione socialista internazionale avesse comunque partecipato ai passi che si attribuiscono a Grimm» (ADL 14.7.1917).

    La Dottoressa Angelica concede anch'ella a Grimm una buona fede più che perfetta, ma ha nondimeno “approvato” le dimissioni di questo bravo compagno svizzero, come pure l’avvio dell’inchiesta su di lui, di cui s’è accennato più sopra. Quanto alle conclusioni di detta inchiesta, queste «sono state trasmesse dal telegrafo in tutti i paesi» onde puntualizzare l’estraneità più completa della Balabanoff come pure “degli altri zimmerwaldiani residenti a Pietroburgo” rispetto alle trattative per la “pace separata”.

    «Superfluo dire a voi, compagni, che mi conoscete da molto tempo e molto bene, che se io avessi avuto la minima idea che Grimm volesse fare ciò che ha fatto… io avrei fatto ogni sforzo… per trattenerlo da un passo che io ritengo contrario ai nostri principî, puerile in sé stesso e che, sfruttato dai nemici del nostro movimento, avrebbe potuto assestare un colpo orribile» alle finalità degli internazionalisti zimmerwaldiani. Questo “colpo orribile” avrebbe orribilmente danneggiato, infatti, le possibilità stessa di «servire la causa della rivoluzione russa e della pace mondiale» (ADL 14.7.1917).

    Ciò premesso, alle accuse di “un grande giornale italiano”, secondo il quale la Balabanoff a San Pietroburgo «non poteva non sapere» (testuale), la Dottoressa Angelica risponde dichiarando che, pur in una faccenda decisamente dolorosa: «io ho dovuto ridere».

    Come si vede, mostra la corda, la tattica distillata a Berlino di trarre un corposo vantaggio strategico dalla rivoluzione russa e dalla eventuale chiusura del fronte orientale che da essa si vorrebbe fare conseguire. In molti ormai dubitano delle possibilità di vittoria austro-germaniche, a prescindere dalle decisioni del Governo provvisorio russo, la cui guida il 21 luglio 1917 viene affidata ad Aleksandr Fëdorovič Kerenskij.

    Il “vantaggio meccanico” della bilancia della storia a favore dell’Intesa si può ormai desumere agevolmente, anche all’interno del movimento progressista e pacifista, dal combinato disposto di quanto abbiamo letto sopra. Ma c’è un articolo di spalla sull'ADL del 14.7.1917, firmato da I. M. Schweide, che fin dal titolo chiarisce questo tema al di sopra di ogni sospetto: “Ostacolo di pace: Germania!”.

    Nel testo si cita, per iniziare, un fondo di Carlo Marx apparso sulla New York Tribune del 2 febbraio del 1854. In esso il filosofo di Treviri affermava che la «politica conquistatrice della Prussia… sarà vinta, e alfine aggiudicata al minore offerente, che in questo, come in tanti altri casi, sarà la Russia».

    La profezia marxiana "nell’anno di grazia – o di disgrazia – 1917", chiosa Schweide, vuol dire che la «Russia degli Zar è stata divorata dalla Russia rivoluzionaria» e che ora «il colpo mortale ricevuto dalla dinastia Romanoff deve assolutamente ripercuotersi sulla dinastia degli Hohenzollern… Così vuole la logica delle cose… Ogni giorno che passa rende sempre più impellente la necessità di una Germania democraticamente libera» (ADL 14.7.1917).

    La necessità di una rivoluzione democratica in Germania discende dal carattere “militarista e reazionario” e dagli "interessi espansionistici dell’imperialismo tedesco", che altrimenti non consentiranno mai la pace in Europa, afferma Schweide: «Appunto perciò i socialisti internazionalisti fanno di tutto perché la dinastia più reazionaria e forse la più responsabile di questa guerra… non sfugga alla catastrofe rivoluzionaria» (ADL 14.7.1917).

    D’altro canto, se la Germania avesse veramente voluto la pace, non avrebbe dovuto far altro che aderire all’offerta del Soviet di Pietrogrado e del Governo provvisorio russo, accettando «l’immediata necessità della pace senza indennità e senza annessioni». E invece la Germania che fa?! Sul fronte orientale innalza sì cartelloni «invitando i russi all’affratellamento delle armi», ma all’interno del Reich essa «arresta e perseguita i più fedeli socialisti del paese» (ADL 14.7.1917). In tal modo si dimostra essere il maggior ostacolo per la pace. E allora, ciò che occorre è la pace universale, non la pace separata! Cioè anzi­tut­to l'abbattimento del Kaiser.

    Il vantaggio meccanico della bilancia della storia fa sì che l’op­posi­zione universalistica alla “pace separata” appaia una posizione ormai consolidata tra tutti gli internazionalisti. Tra quasi tutti, in realtà: perché i bolscevichi continuano a puntare proprio sulla pace separata. Ma, al momento, i bolscevichi si trovano nelle patrie galere russe. O si sono dati alla macchia. Oppure sono di nuovo riparati in esilio.

    Il vantaggio meccanico nella bilancia della storia fa però apparire del tutto irrealistico assumere che nel giro di tre mesi e mezzo Lev Trockij sarà uscito di galera, Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin sarà rientrato dall'esilio e persino Stalin non si darà più alla macchia… Nella notte tra il 7 e l'8 novembre 1917 (25 e 26 ottobre del calendario giuliano) essi prenderanno il Palazzo d'Inverno, profittando a man bassa della perseveranza di Kerenskij nell'impopolarissimo impegno bellico a fianco dell'Intesa.

(17. continua)

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

venerdì 15 settembre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (16) - Hanno addentato un nome

In prima pagina, sull'ADL del 7 luglio 1917, si legge che «hanno addentato un nome: Grimm. E lo hanno lacerato». Trasparente il riferimento al tentativo che il parlamentare socialista a Berna, Robert Grimm, ha intrapreso (d'intesa con il ministro degli esteri svizzero Hoffmann) affinché il Governo Provvisorio del principe L'vov stipuli una “pace separata” con il kaiser Guglielmo II.

Grimm arriva a San Pietroburgo in maggio, sul treno speciale degli esuli russi sul quale viaggia anche Angelica Balabanoff. La via della “pace separata”, che egli imbocca con convinzione, sembrerebbe, di fatto e di diritto, una strada obbligata per la nuova repubblica russa. La deposizione di Nicola II è avvenuta sotto l'impetuosa spinta contro la guerra. Di lì passa la vena legittimatoria del Governo Provvisorio. E di lì può riemergere, ed effettivamente riemergerà, la rabbia popolare.

Ma la “pace separata” rappresenta un soccorso strategico a favore delle “potenze centrali”. La Germania e l'Austria-Ungheria rappresentano, però, agli occhi del mondo progressista le nazioni maggiormente responsabili della conflagrazione bellica. Né depone a loro favore l'apparire puri residuati di un ancien régime autocratico-imperiale, nemico di ogni libertà politica oltre che, ovviamente, del movimento operaio internazionale.

Non a caso, sullo stesso ADL del 7 luglio 1917 appare questo appello anti-tedesco: «Leggiamo sui quotidiani che Carlo Liebknecht sia ammalato, e che abbia tentato diverse volte di suicidarsi in prigione». Queste le miserrime condizioni, dunque, in cui versa il nostro compagno nella Germania guglielmina: «Cresce per lui il nostro affetto e la nostra ammirazione. Cresce per i suoi carnefici, per i tiranni di Berlino, per gli Scheidemann traditori, il nostro odio. Che non maturi anche in Germania lo sdegno popolare fino a tal punto da sommergere il mondo turpe dell'imperialismo e della guerra?» (ADL 7.7.1917).

L'“odio” protestato in queste righe al vetriolo, attribuibili alla responsabilità del direttore Misiano, ha un contenuto complesso. Esso scaturisce dalle profonde lacerazioni all'interno del movimento operaio. Il citato “traditore” Scheidemann sta qui per gli esponenti socialdemocratici (in Germania, Francia, Italia, Russia e Inghilterra) schieratisi dalla parte dei rispettivi governi nazionali e, quindi, corresponsabili dell'incarcerazione di militanti pacifisti come Liebknecht.

Qui inizia la “guerra civile a sinistra”, tra socialisti e comunisti, che segnerà tutto il secolo breve, con fasi alternanti di scontri frontali e alleanze frontiste. Di lì a pochi mesi, Francesco Mesiano e Karl Liebknecht, armi alla mano, combatteranno fianco a fianco nella rivolta spartachista d'inizio 1919. Misiano, finirà in carcere fino all'estradizione. Liebknecht sarà ammazzato, insieme a Rosa Luxemburg, dalle squadre speciali della neonata Repubblica di Weimar, della cui nascita Scheidemann è uno dei principali protagonisti.

Ma il barbaro assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht accade appunto dopo la sconfitta austro-tedesca e dopo la deposizione di Guglielmo II. Nulla c'entra con lo Scheidemann del 1917. Il quale, pur avendo (tiepidamente) avallato nel 1914 i crediti di guerra, si batte però a favore di una "pace d'intesa" senza cessioni e annessioni: «Ciò che è francese, deve rimanere francese, ciò che è belga, belga, ciò che è tedesco, tedesco», afferma l'esponente socialdemocratico. Non è questa la stessa richiesta degli internazionalisti zimmerwaldiani?

Il “traditore” Scheidemann viene accusato di “alto tradimento” dalle destre della “Vaterlandspartei”, che ne chiede addirittura la condanna a morte.

Tutto ha il suo peso sulla bilancia della Storia: pesa il trattamento carcerario riservato al transfuga della SPD Liebknecht, ma pesa anche lo scatenamento nazional-sgangherato contro Scheidemann. Soprattutto pesano i segni ormai evidenti di debolezza austro-tedesca circa l'esito del grande conflitto dopo l'entrata in guerra degli USA. Senza dire dell'aspettativa generale di vedere replicata, dopo San Pietroburgo, la “caduta degli dei” anche sui palchi di Vienna e di Berlino. In effetti, la “caduta degli dei” verrà, nell'autunno del 1918, con la sconfitta dell'Asse e i rivolgimenti democratici di Germania e Austria-Ungheria.

In questo contesto, il braccio filo-francese della bilancia accumula un notevole vantaggio meccanico rispetto al braccio filo-tedesco. Non deve dunque stupire che parte dei movimenti liberaldemocratici e socialdemocratici veda come fumo negli occhi una “pace separata” tra Russia e Germania, a tutto favore di quest'ultima. Per i pacifisti sarebbe difficile sostenere all'improvviso che, se una pace è possibile, essa debba assumere non i tratti idealizzati di una cessazione di tutte le inimicizie tra i popoli “senza cessioni e senza sanzioni”.

Per gli strateghi dell'Intesa i russi debbono continuare a tenere occupate le forze dell'Asse, in attesa che gli USA abbiano finito di “traghettare” il loro poderoso esercito su questo lato dell'Atlantico.

A nessuno passa per la testa che Pietroburgo partorirà una seconda rivoluzione, “the big one”, quella capace di terremotare l'assetto geopolitico planetario. Nessuno ci pensa. Tanto più che, al momento, i dirigenti bolscevichi si trovano in galera come Trockij, o sono costretti alla macchia e all'esilio come Stalin e Lenin.

Ma che cosa fa e pensa, in questa situazione, la Dottoressa Angelica?

Sul di lei «in Italia il clamore dei giornali è quotidianamente assordante», riferisce l'ADL del 7 luglio 1917: «Che fa in Russia? Che pensa di fare a Stoccolma? Che tranelli prepara la terribile donna contro l'Intesa? Che cova nell'anima? Perché il Partito Socialista Italiano, alla cui Direzione appartiene, non se ne libera?» (ADL 7.7.1917).

Le “affannose domande” della borghesia italiana, come le chiama Misiano, palesano il desiderio di addentare “un altro nome”, dopo quello di Robert Grimm. È il nome di Angelica Balabanoff. Si teme che la Angelica, ben più sottile e consapevole delle dinamiche storico-politiche, riprenda a Stoccolma il filo delle trattative per la “pace separata”, giungendo al traguardo laddove gli svizzeri hanno sbarellato.

 

(16. continua)

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

Freschi di stampa, 1917-2017 (15) - Dalla terra redenta

Finalmente, giunge dalla Russia "con grande ritardo" la lettera della Dottoressa Angelica…

Due “fenomeni” dominano per Angelica Balabanoff la vita pubblica nella nuova Russia: 1) “Il grande disastro finanziario” e 2) "Il tra­di­men­to della borghesia". La lettera della Balabanoff appare sull'ADL il 30 giugno del 1917, ma è stata scritta in maggio, cioè prima degli "ul­ti­mi incidenti", c'informa la redazione con (pudico) riferimento al grande scan­dalo diplomatico che ha investito il ministro degli esteri svizzero Ar­thur Hoffmann, frattanto costretto a dimettersi.

Hoffmann aveva se­gre­tamente tentato di mediare una “pace separata” tra Russia e Ger­ma­nia, e della mediazione egli aveva incaricato il parlamentare socialista, Robert Grimm, in viaggio sullo stesso treno della Balabanoff, uf­fi­cial­men­te per dare sostegno agli emigrati nel loro rientro in Russia.

Angelica stessa, le cui antenne parlano di un'instabilità ben lungi dall'essere superata, non ha peli sulla lingua nell'allineare gli indizi che da San Pietroburgo preludono alla grande crisi incombente.

Il 4 luglio 1917, fallisce una sollevazione popolare dell'ultrasinistra. I bolscevichi, che pure avevano tentato di “controllarla” giudicando del tutto “prematura” ogni forma di rivolta contro il “governo borghese”, ne escono con le ossa rotte. Ottocento di loro, tra cui Trockij, sono imprigionati; Lenin fugge in Finlandia; Stalin si dà alla macchia.

La guida del governo provvisorio passa, a metà luglio, nelle mani del social-rivoluzionario Kerenskij. Di lì a poco, di conserva con il nuovo premier, il capo di stato maggiore, generale Kornilov, metterà in atto un tentativo di “normalizzazione” neo-conservatrice, un mezzo golpe. È il 2 set­tembre del 1917. Kerenskij lascia fare Kornilov per un paio di giorni. Poi, il 9 settem­bre, ne ordina improvvisamente l'arresto. E libera i bol­scevichi, quel­li stessi che lui medesimo aveva fatto imprigionare due mesi prima.

Inizia a stagliarsi l'Ottobre rosso, sullo sfondo del gran valzer che Pietro­bur­go sta danzando intorno al cratere della Prima Guerra mondiale. Ma torniamo ai due “fenomeni” di cui parla la Dottoressa Angelica nella lettera all'ADL: 1) “Il grande disastro finanziario” e 2) "Il tra­di­men­to della borghesia".

1) “Il grande disastro finanziario” - «Le razioni di zucchero sono ridotte a mezza libbra al mese [circa 225 grammi, ndr], il latte manca molto spesso, per ottenere un po' di pane di qualità pessima si aspetta molto spesso 5-6 ore e non di rado si torna a casa colle mani vuote. E le "code "! La “coda” è il flagello della Russia… Figuratevi che per comprare un paio di scarpe ci si mette in fila alle 3 del mattino per ricevere verso le 10-11… non già un paio di scarpe, bensì soltanto una tessera che vi autorizzi all'acquisto di qualche oggetto di calzatura… Così pure i biglietti ferroviari. Chi vuole andare a Mosca, per esempio, deve aspettare delle giornate intere per entrare in possesso di una tessera che gli dia il diritto di partire, dopo aver partecipato ad altre “code”, fra quattro o sei settimane, passando non di rado tutto il tempo del viaggio in piedi» (ADL 30.6.1917).

L'elencazione insiste poi sulla penuria di tabacco e sulle difficoltà nel trasporto pubblico, enormemente complicate dallo stato fatiscente dei tramvai: «Dicono bensì le targhette: "Posti a sedere 20, in piedi sulla piattaforma 6 o 8", ma in realtà sono 100-120 poiché la gran parte si arrampica al tram e si fa trascinare così, con evidente pericolo di vita» (ADL 30.6.1917).

Questa insistenza balabanoffiana sulle miserabili condizioni di vita delle masse in Russia anticipa di decenni le narrazioni del dissenso antisovietico, senza per altro che il leninismo sia nemmeno ancor giunto alle soglie del potere.

Mentre scrive, il governo provvisorio è ancora guidato dal principe Georgij L'vov, al quale succederà il conte Kerenskij. Che solo all'inizio di novembre verrà scalzato dal leader bolscevico Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin.

2) Il tradimento della borghesia. – Sul fronte russo-tedesco regna «la più assoluta anarchia… contro la quale invano lotta il ministro Ke­rensky coll'abbondanza dei suoi viaggi e dei suoi discorsi», che però non bastano certo a compensare "la mancanza del più necessario per poter sfamarsi", annota la Balabanoff, elargendo così un mezzo elogio al volenteroso “menscevico”, ministro della guerra, che sta pre­di­spo­nen­do per altro la celebre e catastrofica “Offensiva Kerenskij”.

Nello stesso contesto, Angelica tesse altresì una mezza apologia dei “bolscevichi”, cui la stampa borghese va addossando ogni colpa: «esclusivamente ai sovversivi ed in particolare a Lenine. La stampa borghese è unanime in questo; la catastrofe preparata da secoli di dominio autocratico viene attribuita ai rivoluzionari e la reazione s'invoca e si prepara. È un lavoro preparatorio che la stampa adempie magistralmente, l'ipnosi e l'autoipnosi del pubblico cresce ogni giorno, ogni ora» (ADL 30.6.1917).

Prima di chiudere “queste affrettate note”, che documentano però una grande consapevolezza storica e politica («in nessun paese, in nessun momento della storia il cammino delle nostre idee è stato irto di tanti e tali ostacoli quanto ora in Russia»), la Balabanoff racconta ai vecchi compagni dell'emigrazione italiana in Svizzera del treno verso San Pietroburgo al quale essi l'avevano accompagnata, con tanto entusiasmo e affetto, in una radiosa giornata zurighese, che le deve apparire ormai remotissima.

«Durante il viaggio tutti i gruppi politici – i “menzchewiki”, i “bolschewiki”, i social-rivoluzionari, le diverse frazioni del partito socialista polacco, il Bund, i socialisti del Caucaso – stanno confezionando fiammanti bandiere rosse. E la bandiera delle bandiere è “Zimmerwald” – mi dico io con rincrescimento di non aver provveduto in tempo». Scatta nel convoglio una gara di solidarietà: «Un compagno mi offre un enorme pezzo di stoffa rossa, una compagna cuce e rica­ma… un compagno polacco ne fa il disegno e… il gigante della co­mi­ti­va approfitta di una fermata del treno in una stazione della Fin­lan­dia per correre in un bosco vicino in cerca di bastoni» (ADL 30.6.1917).

All'arrivo degli esiliati «benché pochissimi di noi abbiano potuto o voluto avvertire i propri parenti e amici…, la stazione di Pietroburgo e la grande piazza sono zeppe, oltre che di rappresentanti di diversi partiti socialisti e di operai, anche di altro pubblico». Nella piazza vari oratori arringano la folla, mentre all'accoglienza ufficiale di Angelica Balabanoff e di Robert Grimm, che arrivano reggendo a quattro mani la grande bandiera zimmerwaldiana, è stata riservata un'ampia sala.

«Entrando nella sala m'imbatto in Tschernoff – social-rivoluzionario diventato purtroppo ministro…

“Avete fatto presto”, gli dico, “il viaggio da Zimmerwald al ministero”.

Ed egli, alquanto impacciato: "Era necessario, compagna!"

Pochi minuti dopo, egli sale sulla tribuna… Non so che cosa abbia detto il neo-ministro; non lo sto a sentire, ché il suo tentativo di conciliare Zimmerwald colla partecipazione al governo… è condannato al completo insuccesso» (ADL, 30.6.1917).

Qui “terra redenta”, a voi la linea telefonica, passo e chiudo.

 

(15. continua)

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivolu­zio­ni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "co­prir­le" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad An­ge­lica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e i russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

martedì 4 luglio 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (14) - Evviva Zimmerwald

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

“Evviva Zimmerwald” titola l'editoriale del 23 giugno 1917 dedicato al “Caso Grimm-Hoffmann”, nato dalle dimissioni del ministro degli esteri svizzero, Arthur Hoffmann, avvenute il 19 giugno 1917 su pressione delle Potenze Occidentali. Queste accusavano Hoffmann di avere tentato di negoziare una pace separata tra l'Impero germanico e la nuova Repubblica russa, nell'interesse delle Potenze Centrali, in violazione dello status neutrale della Confederazione.

All'indomani della Rivoluzione di Febbraio il consigliere federale Hoff­mann decide di mediare tra Russia e Germania ma, per evitare un coin­volgimento formale e diretto del governo di Berna, attiva il parla­mentare socialista Robert Grimm nelle trattative con l'ambasciata del Reich a Berna, in preparazione del rientro di Lenin, che avviene con il primo treno, quello “piombato”, che partirà da Zurigo il 9 aprile e giungerà il 16 a Pietroburgo.

Grimm stesso entrerà poi in Russia sul secondo convoglio, il treno di maggio, in compagnia di Angelica Balabanoff. All'arrivo a Pietroburgo, gli “immigranti” sono accolti con festa solenne da «molte decine di migliaia di operai plaudenti». E qualche giorno dopo, i due visitano Kronštadt: «I giornali annunciano che la nostra compagna e maestra Angelica Balabanoff ed il deputato socialista svizzero Roberto Grimm sono stati portati in trionfo nella città di Kronstadt, dopo di aver parlato davanti a trentamila cittadini russi» (ADL 2.6.1917).

Ufficialmente Grimm è impegnato ad aiutare gli “immigranti”, ed egli pubblicamente si pronuncia a favore di una pace “senza annessioni e riparazioni”, ligio alla linea zimmerwaldiana. In realtà lavora a una pace separata. In un telegramma cifrato informa Hoffmann della Conferenza di Stoccolma convocata dal Soviet e chiede al ministro d'informarlo «se possibile, circa gli obiettivi di guerra dei governi, poiché per tal tramite le trattative verrebbero facilitate. A Pietrogrado mi fermerò ancor circa dieci giorni» (Stauffer, 1972, p. 6).

Il consigliere federale Hoffmann gli assicura che i tedeschi si asterran­no da offensive contro la Russia fintanto che rimarrà sul tavolo la pos­sibilità di una pace separata. Il Reich e i suoi alleati – prosegue Hoff­mann – sono pronti a negoziare la pace subito, senz'avanzare richieste di estensione territoriale (Stauffer, p. 13).

Il 3 giugno entrambi i telegrammi vengono pubblicati decifrati sul quotidiano svedese Socialdemokraten scatenando grandissimo scan­dalo tra gli Alleati. A Pietroburgo il deputato socialista svizzero viene espulso del territorio della nuova Repubblica. A Berna il ministro liberale è costretto a lasciare la poltrona.

La “sventura” che colpisce Hoffmann – commenta L'ADL – consi­ste semplicemente nel fatto che le manovre della diplomazia segreta, tipiche in un Ministro degli esteri borghese, non sono più segrete: peggio per lui. «Ma quello che più preme a noi, è Roberto Grimm. Non daremo noi un giudizio definitivo prima di avere ascoltata la sua parola di chiarimento e di difesa. (…) Certo è che egli, Grimm, si presenta oggi agli occhi nostri in veste di imputato. Noi abbiamo deprecata la guerra; noi vogliamo che la pace sia ridata all'Europa ed al mondo. Ma noi siamo contro ogni collaborazione coi Governi borghesi. Noi siamo per una pace generale» (ADL 23.6.1917).

Riecco la contrapposizione – ideologica e astratta – tra la purezza zimmerwaldiana di una “pace generale” e un esecrabile deviazionismo di destra a favore della “pace separata”. L'ADL fa mostra di reputare inconce­pibile che proprio Grimm, “vessillifero di Zimmerwald”, si sia avven­tura­to sulla strada dell'eresia. Perciò assume che egli «abbia agito con nel cuore il bisogno, l'ansia, anzi di contribuire alla pace generale». E a sua discolpa vengono prese per buone financo le vuote formule diplomatiche tedesche secondo cui Berlino sarebbe disposta «ad entrare in trattative con le potenze dell'Intesa, se queste manifestano il medesimo desiderio». (ADL 23.6.1917).

Giudizio sospeso, dunque, sull'eresia separatista. Ma Grimm ha peccato, e gravemente, nel lasciarsi coinvolgere in intrighi di questa o quella diplomazia borghese, sempre inimica d'ogni vero internazio­nalismo proletario.

Vero è che Grimm ci rivela «le gravi condizioni in cui la Rus­sia si dibatte, mettendoci sotto gli occhi il pericolo grave di una con­tro­rivo­luzione se la Russia non arriva presto alla pace». Vero. Ma an­che se ci dimostrasse «come fosse indispensabile, per salvare la rivo­lu­zione russa e quella europea, di ricorrere ad “ogni mezzo”, noi direm­mo che come pacifista egli può anche stare a posto, ma non come so­cia­lista internazionalista, non come Zimmerwaldiano» (ADL 23.6.1917).

In conclusione, l'editoriale rassicura e rilancia: «Per ora apprendia­mo che i 121 voti, dati a Pietrogrado contro la di lui espulsione dalla Russia, sono quelli dei rivoluzionari più estremi, leninisti e Zimmer­wal­diani. Il che depone già a favore della onestà personale di Roberto Grimm, anche se dal punto di vista politico non moralizza completa­mente il suo atto» (ADL 23.6.1917).

Perciò, noi restiamo saldi e sicuri. Ché gli uomini possono anche sbagliare. Ma non la nostra linea universal-pacifista. E succeda in Russia quel che vuole, sia pure una controrivoluzione.

«Evviva Zimmerwald!». Vabbè. Ma la Storia non sarebbe stata un po' più clemente con la Russia, l'Europa e il mondo tutto qualora i socialisti del "cen­tro marxista" alla Grimm fossero riusciti ad antici­pare un po' di pa­ce prima e invece del­la Presa del Palazzo d'Inverno, e sia pure grazie al­l'aiuto di "ministri bor­ghesi" tipo Hoffmann? Di sicuro, meno ragazzi sarebbero morti am­mazzati sul fronte orientale. Se tedeschi e rus­si nel­la prima­ve­ra 1917 avessero cessato i combat­ti­menti, oggi salute­rem­mo quella “pace separata” come una vittoria umanitaria. L'universalismo etico, in cent'anni, ha assunto una curvatura in senso “personalistico”.

Ma, torniamo al giugno del 1917: Come batte il cuore di Pietro­grado? Il compagno Vogel ce lo spiega in un'ampia intervista, dalla quale apprendiamo che il conflitto rivoluzionario ha finora causato alcune migliaia di morti. Le vittime «cadute da ambedue le parti ammontano ad oltre 2000 nella sola Pietrogrado. Ed oltre 6000 in tutta la Russia. Si suppone che la maggior parte delle vittime appartengano ai difensori del vecchio regime» (ADL 23.6.1917).

Ma Lenin che cosa fa? L'intervistatore domanda: «È vero che lui abita nel palazzo della celebre ballerina dello Zar? Eppure qui a Zurigo egli abitava una stanzetta tanto modesta e povera. È vero che ora ha a disposizione un palazzo e un'automobile?» (ADL 23.6.1917).

Le risposte sul futuro fondatore dell'Unione Sovietica si trovano sul numero successivo dell'ADL, dove apprendiamo che: «Lenin è dunque – dichiarò con fermezza Vogel – quel che fu». Non è cambiato, gran lavoratore: «un'organizzatore senza pari, perciò è temuto da tutti coloro che dissentono da lui, dalle sue teorie. Le frottole della stampa borghese lo confermano. Si insinua sui mezzi finanziari della sua propaganda, e si nasconde la solidarietà tangibile del proletariato che lo segue e che in una settimana raccolse un contributo di 75'000 rubli (…). Lo si fa passare per inquilino aristocratico di un palazzo maestoso ove egli dovrebbe passare la sua vita fra la morbidezza dei canapè e magari fra il canto e le risa di un'allegra società femminile. Mentre in realtà Lenin occupa una sola camera, assai semplice, a casa della propria sorella, che risiede a Pietrogrado» (ADL 30.6.1917).

Gossip a parte, Hans Vogel riferisce che la Russia, com'è messa, non può reggere a lungo. Tutti dicono: «Bisogna uscire da questa situazione! Ma come, ma con quali mezzi? La guerra non la possiamo efficacemente continuare – affermano i russi – e la pace non possiamo concluderla contro il desiderio degli alleati» (ADL 30.6.1917).

L'intervistatore domanda a questo punto della pace separata: «È un assurdo – soggiunse Vogel – che nessun gruppo politico ha osato proclamare finora». Tutti sono persuasi che «è indispensabile che la pace sia “generale” e non separata. I russi vorrebbero dare non solo la pace a tutti i popoli, ma anche la rivoluzione in quegli stati in cui le borghesie si opponessero alla pace sociale» (ADL 30.6.1917).

Ognuno è libero di pensare ciò che gli pare su quel che il generoso popolo russo “vuol donare” a tutti i popoli. Senonché, l'intervistato ritorna, non richiesto, su Vladimir Il'ič Ul'janov, con queste ultime parole famose: «Puoi essere dunque certo che né Lenin, né altri, si è mai fatto partigiano in Russia della pace separata» (ADL 30.6.1917). Insomma, Kerenskij stai sereno.

                                                                                                   (14. continua a settembre)