Come ogni anno, dall’epoca Berlusconi in poi, la ricorrenza del 25 aprile
è motivo di discussioni, polemiche, provocazioni, falsità, assurdità
storicopolitiche e potremmo continuare.
di Paolo Bagnoli
A ben 74 anni dalla Liberazione, ogni anno occorre puntualizzare, ricordare, ammonire, rimettere in colonna tutti gli addendi storici per arrivare, ancora una volta, all’unica conclusione possibile: il 25 aprile è la festa della libertà del popolo italiano. Della sconfitta del fascismo; la data che segna la chiusura della stagione del fascismo. Da qui la nascita della Repubblica, la Costituzione, la vita della democrazia: una nuova stagione senza nome e senza qualità se si prescinde dall’antifascismo. L’Italia è una Repubblica che rimane fedele a se stessa fino a che rimane saldamente legata all’antifascismo. Appena se ne scosta – i fatti lo dimostrano – sbanda e il fascismo del tempo presente rialza baldanzosamente la testa inquinando la convivenza civile del nostro popolo. Ma perché è così?
Cerchiamo di ragionare. Sulla Resistenza e sulla guerra di Liberazione, l’Italia sconta la propria storia. È vero che non si possono condannare i popoli, ma ciò premesso bisogna anche riconoscere che quello italiano, nella sua stragrande maggioranza, aderì al Regime; tanta parte lo subì e una minoranza vi si oppose fin dall’inizio strenuamente pagando un costo altissimo di sofferenze e di sangue. La democrazia poi, come doveva essere, accolse tutti, ma nel suo complesso la Repubblica non fece da subito pubblicamente i conti fino in fondo con il fatto di essere stata per vent’anni sotto il tallone della dittatura. Diciamo la Repubblica, quale istituzione del nostro sistema; si preferì andare avanti e stare lontano da una certa italica mentalità e dal considerare, passata la guerra, l’antifascismo non come un dato politico che richiedeva una dimensione pubblica ben chiara, ma quasi esclusivamente come un dato storico. Ciò comportò, da un lato, la ritualità delle ricorrenze amministrate dagli apparati statali saldamente presidiati dalla DC; dall’altro, lo spargersi della retorica soprattutto da parte del PCI. Con questo non sono mancati spazi seri di riflessione storicopolitica grazie soprattutto a quella cultura di matrice azionista che non solo non sparì con la fine del PdA, ma rimase in piedi attiva e operante e che, a tutt’oggi, è attiva e operante. Tale schema, tuttavia, era chiaro che non poteva reggere perché, a suo modo, era insufficiente lasciando fuori il nocciolo centrale della questione: del perché i germi del fascismo non erano stati sconfitti con la vittoria sul fascismo e, quindi, del perché lo spirito repubblicano della Costituzione non aveva pervaso tutta la realtà nazionale, rendendo operativo l’antifascismo quale dato politico valoriale imprescindibile affinché la democrazia italiana fosse vissuta come avrebbe dovuto essere vissuta.
Con il crollo del partito-Stato e di quello del partito-opposizione, l’affermazione di Berlusconi si salda in un comune disegno politico con il partito motivante l’eredità della RSI; il liberarsi di tutto quanto è antifascismo viene quasi naturale. Il disegno è chiaro: passare dal paradigma storico della Repubblica antifascista a quello della Repubblica ‘a-fascista’. A tale disegno non è stata data una risposta politica seria come ci dice anche il clima che abbiamo visto in occasione dell’ultimo 25 aprile.
Il discorso del presidente Mattarella a Vittorio Veneto è stato esemplare e le manifestazioni per la festa pienamente riuscite e consolanti, soprattutto quella di Milano per la presenza di tanti, tanti giovani che hanno voluto rendere visiva e militante l’adesione alla ricorrenza e ciò che questa rappresenta; ma se, nuovamente, si deve parlare di “memoria condivisa” vuol dire che ancora non ci siamo; che l’antifascismo, quale dato politico da cui non si può prescindere per essere democratici, ancora non si è affermato. Vuol dire che c’è da fare un grande lavoro di pedagogia civile in condizioni oggi più difficili di ieri, se si pensa che i partiti dell’antifascismo non ci sono più e che si è arrivati al punto, come è successo a Savona, di impedire da parte del questore al corteo della Liberazione di passare nella strada ove è la sede di Casa Pound! Pedagogia civile, quindi, cominciando a spiegare che una significa antifascismo con il trattino e cosa senza trattino. Con il trattino significa riferirsi a un’esperienza storica, periodizzata, di lotta contro la dittatura; senza trattino, affermare in positivo i valori civili, morali e sociali che quella lotta ha affermato. Sono i valori che stanno alla base della Costituzione. Essa li costudisce e li indica a fondamento della democrazia italiana il cui inverarsi, naturalmente, è demandato alla politica. La questione, così, rimane aperta.
L’augurio è che non ci si ricordi del 25 aprile solo alla ricorrenza; altro che memoria condivisa, oggi se c’è qualcosa da condividere è il credere nella democrazia e nelle sue pratiche.
Da "NONMOLLARE" / E' uscito il quarantunesimo numero del
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