giovedì 28 marzo 2019

LA BISCONDOLA NON MOLLARE

 Ci vuole ben altro per fare un partito

La vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie e la conseguente proclamazione a segretario del Pd sembra aver rimesso in circolazione il sangue del partito. In giro, il nuovo segretario riscuote buoni apprezzamenti. Crediamo gli giovi molto l’aria bonaria e il ragionamento pacato; che, insomma, riesca a trasmettere affidabilità e fiducia. La ripresa dei sondaggi, se pure a piccoli passi per volta, indica verso il Pd una nuova attenzione dopo le catastrofi elettorali lasciategli in eredità dal renzismo.

 

di Paolo Bagnoli 

 

È troppo presto per poter dire se la tendenza si rafforzerà e in che misura; certo, va dato atto a Zingaretti di aver acceso una nuova fiducia. Le elezioni europee diranno come si stanno mettendo le cose. I problemi che il neosegretario si trova davanti sono molti e di non piccola difficoltà. Il primo, e più rilevante di tutti, è riuscire a fare del Pd un partito. Finalmente poiché, fino ad oggi, il soggetto voluto dal duo Veltroni- Prodi e innestato da Parisi sulle primarie non solo non lo è stato, ma ha dimostrato di non poter mai esserlo. Le ragioni sono molteplici. Quella che svetta su tutte è costituita dall’assenza di una cultura politica vera che ne segnasse la cifra identitaria, di peso storico e ideologico; in altri termini, non è mai stato sufficientemente chiaro cosa socialmente il Pd volesse rappresentare e di quale idea dell’Italia fosse il portatore.

    È un mistero; chissà se è custodito gelosamente nella tenda di Prodi? Una soffocante vocazione governista lo ha sempre condizionato, ma, essendo nato in un clima bipolare sembrava fosse sufficiente essere il polo alternativo del berlusconismo per conferirgli delle ragioni solide di fondo. Il partito si risolveva, cioè, nell’opposizione a Berlusconi; nell’impedire che il governo del Paese andasse a Forza Italia. Un’ingenuità clamorosa poiché un partito giustificantesi su una prevalente – e nello specifico assorbente – finalità di governo non può nascere e, soprattutto, non si radica risultando solo il prodotto di una situazione.

    Tuttavia, come si dovrebbe sapere, le situazioni cambiano e per

assolvere alla funzione che ci si è dati, occorre solidità culturale, tramatura relazionale nella socialità del territorio, capacità espressiva, pensieri collettivi. Annodare se stessi intorno al solipsismo demiurgico di un leader non porta a niente. I fatti lo hanno ampiamente detto; più che confermato. Non solo, ma si è quasi creata la paura dell’influenza negativa della leadership. Basti pensare che, nel caso delle elezioni regionali di Abruzzo e di Sardegna, sia Legnini che Zedda non hanno voluto nessuno che venisse da Roma ad affiancarne lo sforzo. Un qualcosa di mai visto sotto nessun cielo politico.  Se questo è il primo urgentissimo e preminente problema, l’altro non è di minore rilevanza: dare al partito una linea politica.

    Oggi essa è condensata nel centro-sinistra, ma cosa voglia dire non si capisce. Sembra più il retaggio di un passato nel quale centro-destra e centro-sinistra si sfidavano che non un progetto di proposta, tenuta e mobilitazione, capace di coniugare istanze politiche, sociali ed economiche in un disegno vero. Al contrario, esso appare come il riproporsi di un’alleanza esclusivamente contro e, quindi, ancora un qualcosa di governista. Ma poi, da chi dovrebbe essere formato tale blocco? Dove sono le potenziali forze per formare un’alleanza? Non si vedono perché non ci sono.

    Se la fragilità del Pd, in un sistema politico bipolare, veniva occultata dal potere coalizionale che il partito aveva, in uno proporzionale le cose stanno molto, ma molto diversamente. Al massimo il Pd riesce a stringere a sé singole personalità – Calenda, Pisapia, forse Cacciari – ma quando ha provato a fare un’alleanza con + Europa ha raccolto un secco no. Inoltre, ci sarebbe da chiedersi se +Europa possa annoverarsi in un campo, se pure largo, di centro-sinistra.  Infine, un’ultima osservazione. Ogni partito necessita di un gruppo dirigente che si matura nel progetto politico che esso elabora; ossia, dal partito medesimo poiché, da sempre, è il partito il luogo da dove si sviluppa il progetto politico. In tutti questi anni i dirigenti del Pd, quelli chiamati alle responsabilità di primo piano sono tutti esponenti delle istituzioni.

    Ora, poiché il lavoro politico è assai impegnativo, non si riesce a capire come si possa fare il presidente di Regione, il parlamentare europeo o nazionale, il sindaco e così via e riuscire ad avere le energie per doppiare il proprio impegno. Forse anche questo interrogativo è nascosto nella tenda di Romano Prodi.

 

Da La Rivoluzione Democratica

https://www.rivoluzionedemocratica.it/

 

 

 


______________________________________________________________________
This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.
For more information please visit http://www.symanteccloud.com
______________________________________________________________________

martedì 26 marzo 2019

Tra il serio e il faceto

di Andrea Ermano

 

Ci dicono dall’Unesco che oggi si celebra la Giornata mondiale della poesia. Sul sito dell’ONU (vai al sito) si legge una lirica di César Vallejo (1892-1938) che inizia così:

 

Tutte le mie ossa sono d'altri;

io forse le ho rubate!

 

Sul sito Le parole e le cose Vallejo viene descritto come “il poeta della povertà fino alla miseria… il poeta del poco e del nulla, che non basta, ma che deve essere fatto bastare, perché non c’è altro”. Un poeta chiaramente “di sinistra”.

      A proposito di poesia, Alberto Asor Rosa ricorda che nel suo libro Scrittori e popolo (1964) aveva “stroncato” i romanzi di Pier Paolo Pasolini. E Pasolini una volta a un convegno gli disse: «Sei quello che nella mia vita mi ha fatto più male». E figuriamoci se poteva essere quello il più grande dolore di un grande poeta. Sublime ironia chiaramente “di sinistra”.

    L’ultimo libro di Asor Rosa è dedicato a Machiavelli che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento scrive pagine di ghiaccio bollente affinché gli “staterelli” si uniscano di fronte alla nuova costellazione geopolitica, che poi altro non è se non l’inizio della globalizzazione inaugurata con la scoperta dell’America.

    «L’Italia soggiace alla superiorità politica e militare delle grandi potenze europee. Le famiglie di Roma e Firenze, a cui Machiavelli si rivolge, potrebbero costituire embrionalmente lo Stato nazione», dice Asor Rosa in un’intervista a Luca Telese.

    Ovviamente, nessuno ascolta il Segretario fiorentino, sicché “i principi italiani vengono schiacciati dall’impero”, nota Asor Rosa ricordando che la sconfitta subita dal Bel Paese in quei trent’anni a cavallo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento è una “grande catastrofe”, una catastrofe politica “di lunga durata”, come scrive Machiavelli.

    «La storia italiana ha questo di bello: quando uno prende un qualsiasi avvenimento del passato, scopre che qualcosa di incredibilmente attuale emerge sempre», osserva Asor Rosa con un’allusione abbastanza trasparente alla situazione degli “staterelli” europei che si presentano divisi e frammentati all’alba di una nuova era.

    Oggi è giunto a Roma Xi Jinping, l’erede di Mao. E ieri in un ampio articolo apparso sul Corriere il leader cinese ha illustrato il punto di vista della grande potenza imperiale asiatica in tema di rapporti con l’Italia.

    «La Cina è disponibile per consolidare la comunicazione e la sinergia con l’Italia in seno alle Nazioni Unite, al G20, all’Asem e all’Organizzazione Mondiale del Commercio su tematiche come la governance globale, il mutamento climatico, la riforma dell’Onu e del Wto e altre questioni rilevanti, al fine di tutelare gli interessi comuni, promuovere il libero scambio e il multilateralismo e proteggere la pace e la stabilità mondiale e consentire uno sviluppo fiorente», scrive tra l’altro il Presidente della Repubblica popolare cinese.

    L’illustre ospite venuto da Pechino ribadisce più volte concetti come cooperazione, amicizia e progresso, accanto a un leitmotiv: la lunga esperienza storica delle nostre due civiltà cosmopolitiche. L’Italia è stata per ben tre volte una potenza mondiale, e sempre sotto il segno del pluralismo culturale. Xi Jinping ricorda due epoche egemoniche italiane: i tempi dell’Impero romano e quelli rinascimentali delle Repubbliche marinare. Sia detto quasi tra parentesi e con grande, laica pacatezza che ci sarebbe però anche un terzo impero mondiale storicamente domiciliato nel Bel Paese, quello che la rivista Limes ha definito “l’impero del papa”.

    Per parte sua la Cina è stata la maggiore potenza globale per la maggior parte dei secoli di cui si compone la storia umana, fino circa al Settecento. E oggi non fa molto per nascondere l’aspirazione a riprendersi quel ruolo.

    Che detta aspirazione egemonica rischi di condurre a una guerra fredda 2.0 con gli Stati Uniti è evidente. La Casa Bianca ha definito il protocollo d’intesa Roma-Pechino un «approccio da predatori, senza vantaggi per il popolo italiano». Già Obama aveva individuato nella nuova strategia cinese «una chiara sfida all’architettura nata nel 1944 a Bretton Woods per volere di Franklin Roosevelt», rimarca Federico Rampini sulla Repubblica di ieri. E si sa che quando gli americani si appellano ai valori rooseveltiani questo accade perché devono coalizzare gli alleati occidentali in clima appunto di guerra fredda.

    Dopodiché Rampini fa bene a ricordare che l’Italia quanto a cautela sulle tecnologie sensibili sembra dare ascolto ai moniti provenienti dagli USA, mentre altri paesi europei si mostrano ben più filo-cinesi di noi. D’altronde, la «disgregazione di ogni solidarietà occidentale è stata accelerata dallo stesso Trump, che con il suo approccio bilaterale al contenzioso commerciale Usa-Cina non ha mai tentato di cementare una coalizione d’interessi con gli alleati», ma è onesto riconoscere che «il fuggi fuggi in direzione di Pechino era già iniziato sotto Obama, quando i quattro maggiori paesi UE (Italia inclusa) decisero di aderire all’Aiib, la banca della Via della Seta». 

    È ovvio che siamo alle prime mosse di una partita decisiva in quest’epoca storicamente interessante.

    Un po’ di competizione va bene, tanto all’interno dell’Europa quanto nei riguardi degli alleati americani, ma anche ovviamente nei confronti degli interlocutori cinesi.

    I conflitti, invece, non sono nell’interesse di nessuno e soprattutto non nell’interesse dell’umanità, dato che occorre preservare tutti un alto grado di cooperazione sulla crisi ambientale e sulle altre emergenze globali di cui si sostanzia il tempo in cui viviamo, l’Antropocene, l’era geologica nella quale è alla stessa attività umana che si riconducono le cause delle grandi trasformazioni climatiche e tecno-scientifiche dalle quali dipenderà la nostra esistenza sul pianeta. E questa è la cosa “di sinistra” che volevamo dire nel contesto attuale.

    Per concludere tra il serio e il faceto cercheremo ora di capire se la Cina venga a trovarci con intenzioni più “di destra” o più “di sinistra”.

    Qui occorre il “sapere indiziario” di Carlo Ginzburg. E bisogna allora fare attenzione non alle dichiarazioni magniloquenti, ma a dettagli che possono parere insignificanti, occorre badare bene agli “indizi” appunto, come quando Xi Jinping, elogia il Made in Italy “sinonimo di prodotti di alta qualità” e poi aggiunge cripticamente che: «La pizza e il tiramisù piacciono ai giovani cinesi».

    Sembra niente. E anzi, dopo le tante belle parole su Virgilio e Pomponio e Marco Polo e Moravia, un esegeta superficiale potrebbe trovarsi un po’ spiazzato. Invece è proprio qui, nel rinvio alla “cultura materiale” della Pizza e del Tiramisù che a nostro parere si cela un messaggio in codice molto importante.

    La Pizza è facile.

    È napoletana. Napoli è amministrata da De Magistris. E De Magistris è uomo “di sinistra” (noi lo sappiamo bene perché quando è venuto a tenere una conferenza stampa nella nostra sede, il Coopi di Zurigo, ha voluto farsi un selfie di fronte allo storico ritratto di Carlo Marx).

    Ergo, nel riferimento alla Pizza non possiamo non leggere una chiara implicazione “di sinistra”.

    Più complessa l’esegesi del Tiramisù, a causa della paternità contesa di questo fantastico dolce fatto di mascarpone, savoiardi, amaretto, cacao e caffè.

    Con la massima imparzialità possibile noi dobbiamo domandarci se Xi Jinping si riferisca al Tiramisù quale fu legittimamente creato all’Albergo Roma di Tolmezzo, ridente città alpina guidata da un sindaco di centrosinistra, o non intenda accidentalmente quella sorta di maionese impazzita spacciata per Tiramisù a Treviso (città per altro assai cara a chi scrive benché attualmente governata da un sindaco di destra).

      Il dilemma potrebbe apparire insolubile. Ma… Ma nei giorni scorsi il leader della destra italiana Salvini non ha forse mostrato, costui, di gradire pochissimo la visita di Xi Jinping? Ed è sulla base di questo indizio che noi in fin dei conti propendiamo a favore della tesi secondo la quale il Tiramisù vada considerato un dessert di centrosinistra, anzi decisamente “di sinistra”.

 

 


______________________________________________________________________
This email has been scanned by the Symantec Email Security.cloud service.
For more information please visit http://www.symanteccloud.com
______________________________________________________________________

domenica 10 marzo 2019

TRE VOTI


Sono tre i voti che, nel giro di poco tempo, hanno segnato la 
vita del Movimento 5Stelle: due elettorali e uno parlamentare…
 
di Paolo Bagnoli

 

Sono tre i voti che, nel giro di poco tempo, hanno segnato la vita del Movimento 5Stelle: due elettorali e uno parlamentare. I primi due hanno caratteristiche di tendenza che riguardano il ritorno della contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra, quasi il riaffacciarsi di un bipolarismo pallido. Peraltro, senza partita se si vedono i risultati del primo schieramento rispetto al secondo, ma comunque si può dire ciò considerato che i grillini transitano in terza fila sia in Abruzzo che in Sardegna. Solo nel Molise sono arrivati secondi: la classica rondine che non fa primavera. Quanto è successo in Sardegna, poi, ha del clamoroso essendosi assestati a un misero 9,7%: alle politiche avevano raccolto il 42%. E' il populismo; chi ci vive lucrando alla fine ci ruina. Per essere più immediati: chi di vaffa vince di vaffa perde. È una legge inesorabile e non essendo riusciti a imbastire un ragionamento di un qualche costrutto per spiegare l'accaduto, chissà se i "governanti del popolo", ora che il popolo continua a voltare loro le spalle, non decideranno di mettere ai voti, naturalmente su Rousseau, la proposta di cambiare il popolo! Oppure, se ragionassero sull'amato schema "costi-benefici" potrebbero, una volta tanto essere sinceri, e ammettere che per l'amato popolo loro cominciano a essere più un costo che un beneficio. 
    In Sardegna nemmeno alla Lega, nonostante le violazioni di Salvini pro domo sua durante il silenzio elettorale, è andata come il signore delle felpe avrebbe voluto. Il centro-destra, però, ha vinto e, quindi, tutto bene madama la marchesa anche se, votazione dopo votazione, il problema Forza Italia si impone. Infatti, pur non brillando, il partito di Arcore sul piano elettorale, lo schieramento senza di esso non ce la fa. Le risposte smargiasse di Salvini sono solo ad uso della comunicazione – come, per altro, tutto il suo agire - ma, come dimostra la vicenda 5Stelle, il popolo populista che lo vota non sta ad aspettare a lungo e, quanto che sta succedendo ai grillini, può benissimo capitare anche alla Lega con buona pace di tutte le baracconate del suo leader. E' possibile non vedere quanto emerge dalle urne? In Sicilia, nel novembre 2017, vince Nello Musumeci con il 40%; in Lombardia, nel marzo 2018, vince Attilio Fontana con il 49%; in Molise, nell'aprile 2018, vince Donato Toma con il 43%; pochi giorni dopo, in Friuli, vince Massimiliano Fedriga con il 57%; in Abruzzo, nel febbraio 2019, vince Marco Marsilio con il 48%. Ora in Sardegna vince Christian Solinas con il 47,8%. Ogni vittoria del centro-destra è una sconfessione dell'alleanza con i 5Stelle; la richiesta di Berlusconi di prenderne atto non è campata in aria anche se, sicuramente, stando al governo con Di Maio, Salvini riscuote dei dividendi che con Berlusconi e Meloni difficilmente vedrebbe. Quanto, tuttavia, potrà resistere il signore delle felpe? E' stato osservato che in politica, spesso, come in "borsa", bisogna puntare sugli annunci; al momento delle notizie è troppo tardi. E' vero e tali annunci sono forti; se poi le elezioni in Piemonte e quelle europee confermassero ancora il trend, allora annuncio e notizia andrebbero a braccetto e Di Maio potrebbe portare Rousseau al tribunale fallimentare. 
    Del Pd c'è poco da dire. Oggi si può solo registrare che il malato non è morto; ma quando, come è avvenuto in Sardegna – ove con il 13,5% risulta il primo partito perdendo ben 29mila voti pari a quasi l'otto per cento - gli si chiede di non farsi vedere e quelli di Roma acconsentono a che ciò avvenga, come non pensare che nemmeno i romani credono in se stessi e in quanto stanno facendo, a partire da un improbabile congresso le cui fasi preparatorie sembrano foriere solo di irrisolutezza politica e di confusione?
    Infine. I grillini riescono a perdere anche quando vincono come è avvenuto nella Giunta del Senato che ha evitato in prima battuta – ancora manca l'Aula – a Salvini di andare sotto processo per il caso della Diciotti. Dopo essersi rappresentati come uomini puri e non timorosi della giustizia hanno impedito che un procedimento di giustizia, quello che riguarda Salvini appunto, si compiesse invocando un'inesistente ragione politica. Va detto, infatti, che la Diciotti era approdata al porto di Catania non per far sbarcare i migranti, bensì per fare rifornimento. Salvini, nella sua corsa folle verso il successo e tenere viva la paura verso i migranti, ha recitato lo spettacolo penoso e grave cui abbiamo assistito. E quando gli è stato contestato un reato se l'è letteralmente fatta sotto e invocato la solidarietà politica; cosa che Conte e Di Maio si sono precipitati a dare. Poi c'è stato Rousseau; ma chi in buona fede crede a quel risultato? Da tutta questa squallida vicenda se ne ricavano almeno tre cose: la prima, che Salvini recita sempre costi quel che costi indipendentemente da ciò che ne deriva al Paese; la seconda, che i parlamentari 5Stelle hanno diritto all'accompagnatore perché ritenuti incapaci di muoversi da soli; la terza, che più che a favore di Salvini i 5Stelle, a costo di perdere l'alone di purezza che si erano attribuiti, hanno votato per salvare Di Maio.
    Ci sembra che tra Rousseau che vota e il voto del popolo non ci sia connessione alcuna. Tre voti: il presidente Conte farebbe bene a riporre in un cassetto il contratto e, già che c'è, a gettare anche la chiave.

 


Casaleggio vs Gramsci

Un paragone tra l'Ordine Nuovo e il Nuovo Ordine. Il 2019 è l'anno del centenario dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Ed è anche l'anno del Nuovo Ordine di Gianroberto Casaleggio. È nel 2019, infatti, che i seguaci di Casaleggio e della sua visione rivoluzionaria si sono pienamente installati al governo. L'autore, Marco Morosini, è docente di politica ambientale all'ETH di Zurigo. Dal 1992 per lunghi anni ispiratore e ghostwriter di Beppe Grillo, è autore di articoli, libri e testi per il teatro e la televisione.
 
di Marco Morosini

 

La differenza di statura tra Gramsci e Casaleggio non lascia scampo al perdente nel confronto. Casaleggio però è rilevante storicamente perché, a differenza di Gramsci, riuscì a mandare i suoi seguaci al potere. Se si considera che egli raggiunse questo obiettivo in pochi anni, solo a colpi di "Rete", senza soldi e nell'indifferenza o l'ostilità di tutti i media, la performance di Casaleggio fu sorprendente. Il suo pensiero, invece, non ci sembra qualcosa di cui i posteri non possano fare a meno ("Un'idea non è di destra né di sinistra. È un'idea. Buona o cattiva").
    Il Nuovo Ordine Mondiale - La lunga marcia che portò i suoi seguaci al governo cominciò nel febbraio 2005 con la creazione e la redazione del sito beppegrillo.it detto "Blog di Beppe Grillo" o, più sbrigativamente, "Il Blog". Impressionato dai milioni di click che la sua azienda raccolse grazie al nome di Grillo, Casaleggio cominciò a sentirsi nientemeno che l'avanguardia di un nuovo ordine mondiale. Non sto scherzando. "Gaia, un Nuovo Ordine Mondiale" è il titolo del video del 2008 con il quale Casaleggio espresse il suo credo tecno-politico. Il filmato abbozza in sette minuti le tappe della civiltà, intesa da Casaleggio come storia di crescenti connessioni di persone, gruppi e popoli. L'umanità – asserisce il video - sta facendo un passo da gigante. Con le nuove tecnologie di connessione, verso il 2050 tutti gli abitanti della Terra "faranno rete" e dai loro computer gestiranno insieme la politica del Pianeta con la loro "intelligenza collettiva". Nascerà così una democrazia digitale, diretta e mondiale. 
    Possiamo sorridere di questa visione. Ma è da essa che partirono i seguaci di Casaleggio per arrivare in Parlamento e al governo. Ed è da costoro che oggi dipendono il benessere o il malessere di chi vive in Italia. E anche l'economia e la politica internazionale di un Paese del G7. 
    L'anti-pedagogia di Casaleggio - Dopo quasi un anno al potere i governanti digitali non sembrano all'altezza delle loro ambizioni. La modestia delle loro capacità, delle loro biografie e dei loro risultati non è casuale, ma è il frutto di uno dei cardini dell'ideologia di Casaleggio: la "anti-pedagogia" politica, ossia il rifiuto di ogni iniziativa per generare, acquisire e diffondere culture e saperi. Per "pedagogia politica" non intendo un indottrinamento dall'alto, ma la messa a disposizione di strumenti culturali a chi è socialmente subalterno per permettergli di emanciparsi. Per "strumenti culturali" intendo non le sole scienze politiche, ma anche i saperi umanistici, linguistici, scientifici, artistici. Una pedagogia politica è lo stimolo ad istruirsi, elevarsi, dibattere, acquisire cultura e competenze. È questo stimolo che permise a lavoratori umili di acquisire un livello di consapevolezza storica che li fece diventare sindacalisti e politici, malgrado la carenza di istruzione scolastica. Per pedagogia politica intendo anche l'offerta di saperi e idee da parte di coloro che dello studio, della ricerca e dell'insegnamento hanno potuto fare una passione e una professione. I grandi movimenti di emancipazione del novecento furono possibili anche perché milioni di persone umili poterono beneficiare di una pedagogia politica nelle organizzazioni d'ispirazione socialista e in quelle di ispirazione cristiana. Non può esserci democrazia, se non c'è educazione alla democrazia. Per questo vale la pena di riesaminare la straordinaria esperienza di pedagogia politica de L'Ordine Nuovo. 
    L'Ordine Nuovo e il Nuovo ordine - L'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci fu la storica rivista socialista fondata a Torino nel 1919 per stimolare un movimento politico di emancipazione delle classi popolari e renderlo capace di rovesciare l'ordine costituito. Cento anni dopo, anche Casaleggio volle suscitare un movimento popolare per rovesciare l'ordine costituito ed sostituirgli un Nuovo Ordine. I due strumenti per capacitare i senza-potere di ieri e di oggi furono due mezzi di comunicazione consoni ai tempi: nel 1919 fu una rivista di carta autoprodotta, e nel 2019 fu un "Blog" politico in internet. 
    Certo, dobbiamo aver rispetto per l'enorme differenza tra un'epoca nella quale andarono in scena tragedie, e questi tempi nei quali vanno in scena commedie politiche. Non vogliamo accostare destini umani che spesso costarono la vita, con destini digitali che oggi rischiano al massimo una shit storm(tempesta di m…..) nei social media. Eppure questa comparazione tra L'Ordine Nuovo e il Nuovo Ordine è utile perché gli epigoni di quest'ultimo ora governano un Paese del G7 e mirano, insieme alle destre estreme del continente, a smantellare l'edificio dell'Unione Europea. 
    L'unica cosa in comune tra L'Ordine Nuovo e  beppegrillo.it è la loro funzione di agitazione politica. I contenuti, invece non sono nemmeno lontanamente paragonabili. L'Ordine Nuovo di Gramsci, infatti, fu una rivista di molte pagine, che conteneva decine di articoli scritti in modo accessibile ai lavoratori ma di alto livello culturale. Il "Blog" redatto da Casaleggio, invece, pubblicava ogni giorno un solo "post" anonimo e i suoi contenuti erano quasi sempre di polemica, scherno o denigrazione del Partito democratico e dei suoi leader politici.
    La missione di Gramsci e degli altri intellettuali torinesi che scrivevano L'Ordine Nuovo - Togliatti, Terracini e Tasca - fu di acculturare e organizzare gli umili per permettergli di diventare protagonisti della storia. Il motto del giornale e del movimento era: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. (…)". 
    Sia L'Ordine Nuovo di Gramsci sia il Nuovo Ordine di Casaleggio chiamarono alla lotta, ognuno contro l'ordine sociale dei rispettivi tempi, che condannavano come ingiusto e corrotto, e che volevano spazzare via (Casaleggio: "tutti a casa!" "siamo in guerra"). Secondo entrambi i leader politici il nuovo ordine sarebbe stato migliore del vecchio, perché sarebbe stato governato dalla creatività del popolo. Le rispettive forme di auto-organizzazione del popolo sarebbero state, nel 1919 quella dei "consigli" nelle fabbriche, e dal 2005 quella dei Meet-up, ossia i gruppi locali di attivisti urbani che si coordinano in internet grazie alla piattaforma meetup.com
    Entrambi i movimenti scaturirono da turbolente transizioni della tecnica: cento anni fa, la rivoluzione industriale, oggi la rivoluzione digitale. Il progetto di Gramsci mirava alla liberazione delle classi popolari dai capitalisti, quello di Casaleggio alla liberazione dei "cittadini" dai "politici" (!). "Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza" scrisse L'Ordine Nuovo. "Organizzatevi (…) per trasformare una discussione virtuale in un momento di cambiamento" scrissero i redattori di beppegrillo.it presentando la piattaforma meetup.com, lo strumento decisivo che aggregò gli attivisti.
    Permanenza ed evanescenza - L'Ordine Nuovo fu tanto rilevante nella storia della cultura e della politica in Italia che la raccolta di tutti i suoi fascicoli (1919-1925) è tuttora acquistabile su carta e scaricabile da internet. Anche "il Blog" di Casaleggio (2005-2018) sarebbe molto rilevante per la storiografia di questi anni, ma esso sparì da internet la notte del 22 gennaio 2018, quando Beppe Grillo tolse a Casaleggio il dominio beppegrillo.it che gli aveva affidato per tredici anni. Durante tutto questo tempo fu "il Blog" realizzato da Casaleggio a plasmare e organizzare il personale del Movimento 5 stelle. Solo studiando quel corpus di decine di migliaia di pagine sarebbe possibile capire come si plasmarono l'ideologia, i discorsi e il gergo di quei politici 5 stelle che ora siedono nei Comuni, nei Parlamenti e nel governo. Un partito digitale la cui intera vita si svolge in internet, però, può far scomparire in una notte l'intera sua storia. Questo gli permette di fare una sorta di "reset" politico, e di ripresentarsi sulla scena come se esso fosse un partito nuovo. E' questo che è successo nel gennaio 2018, dopo quello che Aldo Giannuli ha definito il "colpo di stato", ossia il cambiamento di regole avvenuto senza informare nessuno né far votare gli iscritti, proprio alla fine del 2017, mentre l'Italia festeggiava la fine dell'anno (per inciso, Giannuli è un politologo della Università di Milano, oltre che un elettore 5 stelle, incaricato da Casaleggio di scrivere numerosi testi pubblicati nel "Blog" per spiegare le possibili opzioni per una eventuale legge elettorale del Movimento 5 stelle, sulle quali fu chiesto agli inscritti di votare).
    La possibilità tecnica di far scomparire in una notte tredici anni della propria storia fa parte dell'agilità e del potere di manipolazione di un partito digitale. Far scomparire con un click tutto il suo passato permette, infatti, al partito digitale di fare una sorta di "reset" politico, e di ripresentarsi sulla scena come un partito completamente nuovo.
    La anti-pedagogia di Casaleggio - Le differenze tra la vicenda dell'Ordine Nuovo di Gramsci e quella del Nuovo Ordine di Casaleggio sono enormi. Ma ce n'è una cruciale, che mi spinge a scrivere questo articolo: la differenza tra la pedagogia politica, così centrale nell'opera di Gramsci e degli "ordinovisti", e la anti-pedagogia politica voluta da Gianroberto Casaleggio e così radicata nella storia del Movimento 5 stelle.
    Il concetto stesso di pedagogia politica è agli antipodi della concezione dei saperi che fu di Casaleggio. Secondo lui, infatti, il luogo della cultura e dei saperi – così come di ogni altra cosa – è "La Rete", ossia la parola magica che risponde a quasi tutte le domande. La produzione e la fruizione di cultura saranno polverizzate e individuali, ognuno di noi davanti al proprio computer. Ogni usercomporrà il proprio canone di letture, visioni, audizioni che non sarà uguale a quello di nessun altro user. Questo non fu solo il credo di Casaleggio, ma anche la regola che egli impose al partito. Nei media del Movimento realizzati da Casaleggio furono e sono praticamente assenti recensioni, brani e citazioni di libri, rubriche culturali, riflessioni e dibattiti. Parimenti, nella struttura organizzativa del Movimento non solo non ci furono e non ci sono forme organizzate di acquisizione e di dibattito della cultura e delle esperienze, ma iniziative del genere furono stroncate sul nascere, spesso con l'emarginazione o l'espulsione dei promotori.
    Dalla sua fondazione nel 2009 il personale del Movimento ha avuto dieci anni per crescere. Dieci anni di pedagogia politica e auto-istruzione gli avrebbero permesso di presentarsi meglio alle responsabilità di governo. Gli avrebbero anche permesso di selezionare governanti più degni. Avrebbero inoltre attirato le simpatie e forse l'adesione di intellettuali e professionisti di valore. Avrebbero innalzato il livello di consapevolezza storica e il livello di cultura di quei ventimila o trentamila iscritti più attivi che sono il vivaio della classe politica 5 stelle.
    Se ci fosse stato un decennio di formazione politica, molti dei 15mila (su circa 30mila!) iscritti che si candidarono nel 2018 per diventare parlamentari avrebbero capito da soli che era il caso di lasciar posto a candidati più adatti. E' stupefacente che circa la metà degli iscritti attivi di un partito si ritenga all'altezza di fare il parlamentare e si candidi alle elezioni primarie. Questo fenomeno dà una misura di quanto il dogma di Casaleggio sia penetrato negli iscritti al partito: "uno vale uno", più spesso messo in pratica come "uno vale l'altro", ossia chiunque può svolgere qualunque funzione.
    Book or Facebook     - Conosco diversi eletti e attivisti 5 stelle. Nelle case di alcuni di loro i libri ci sono. Ma nei media del partito non ci sono momenti di condivisione, dibattito e sviluppo delle idee del nostro tempo, dei loro pensatori, dei loro libri. Considerando inoltre l'intensità e l'incalzare della lettura e della scrittura nei social media e in altre piattaforme di partito, non mi sembra probabile che il personale 5 stelle trovi il coraggio e il tempo per chiudere le connessioni digitali e leggersi un intero libro. 
    C'è stata la lodevole eccezione di qualche convegno in Parlamento organizzato da alcuni eletti 5 stelle, ma buona parte di questi convegni hanno riguardato temi specifici di attualità politica, non dibattiti sulle idee-guida del nostro tempo. Il loro pubblico, inoltre, è stato molto ristretto e di fatto limitato ai frequentatori del parlamento.
    A dieci anni dalla fondazione del Movimento 5 stelle l'assenza di qualunque arena di formazione culturale e politica fa sì che gli intellettuali di riferimento del Movimento siano personaggi del livello di Rocco Casalino, Gianluigi Paragone e Lino Banfi, ossia soggetti che si sono arricchiti di popolarità e di denaro nello show-business di grande successo commerciale e di basso livello culturale.
    "Frattaglie radical chic" - La pedagogia politica fu la principale missione dal movimento dell'Ordine Nuovo. Essa, invece, è completamente assente nel partito dei Casaleggio. Per L'Ordine Nuovo la cultura e il dibattito furono il fondamento della educazione politica. Per il Movimento 5 stelle, invece, la cultura è nel migliore dei casi un fatto privato. Più spesso, però, la stessa parola "cultura" desta nei politici 5 stelle sospetto o avversione. Gli intellettuali che criticano il Movimento 5 stelle, infatti, sono facilmente definiti "frattaglie radical chic o pseudo-intellettuali che guardano il mondo da qualche super-attico" (Alessandro Di Battista). Un intellettuale può anche guadagnare metà dello stipendio di un parlamentare 5 stelle, ma se si permette di criticare il partito diventa automaticamente un "radical chic" (un espressione tipica degli ambienti reazionari e fascisti, che i 5 stelle hanno fatto propria). Nel gergo dei politici 5 stelle e dei loro media, intellettuale e "radical chic" sono praticamente sinonimi. La frase sulle "frattaglie radical chic" è stata scritta dall'ex Onorevole Di Battista in un post intitolato "La rivoluzione culturale continua!". Con buona approssimazione il linguaggio di questo post dà un'idea di come i vertici 5 stelle concepiscono la loro "rivoluzione culturale".
    Pseudo-intellettuali - Tra gli epiteti che la centrale e i politici 5 stelle lanciano contro chi esprime idee diverse dalle loro uno frequente è "pseudo-intellettuali" . Questo termine contiene una doppia accusa. La prima è quella della falsità: "pseudo", ossia che fa finta di essere ciò che non è. La seconda accusa, ancora più disonorevole, è quella di essere un intellettuale. Non si dice espressamente che essere un intellettuale è infamante, ma lo si lascia intendere, appena nascosti dal ventaglio dello "pseudo". La prova a contrario è che tra i ranghi 5 stelle nessuno è definito "intellettuale", implicando così che non si possa essere contemporaneamente intellettuale e 5 stelle. 
     In effetti mentre in Italia perfino tra i fascisti ci sono intellettuali che nel dibattito pubblico si contrappongono ad altri intellettuali con idee diverse, tra le persone dentro o intorno al Movimento 5 stelle gli intellettuali sono rarissimi (non me ne viene in mente nemmeno uno) e gli intellettuali di rilievo praticamente non ci sono. Quei pochi che avevano curiosità o simpatia per il Movimento se ne sono allontanati dopo la sua collusione con la Lega.
     Frequentemente la prosa 5 stelle definisce le voci critiche con espressioni come "sinistra frou frou", "piccole ridicole ideuzze", "bempensantismo" o "cervelli che fiancheggiano la sinistra". Questa frase è eloquente per il suo multiplo disprezzo: "fiancheggiare" è deprecabile, fiancheggiare proprio "la sinistra" (invece della destra) lo è ancora di più, ma il massimo del disonore è essere "un cervello", una condizione che i 5 stelle più in vista cercano ogni giorno di evitare.

(1/2 – Continua)

domenica 3 marzo 2019

Élites e popolo: l’età dell’odio

FONDAZIONE NENNI 

 


È fin troppo chiaro a tutti che a scompaginare gli assetti politici e democratici nazionali e internazionali, diremo pure mondiali, siano stati, innanzitutto…

 

di Maurizio Fantoni Minnella 

 

È fin troppo chiaro a tutti che a scompaginare gli assetti politici e democratici nazionali e internazionali, diremo pure mondiali, siano stati, innanzitutto, la fine del comunismo e la "lunga marcia" della globalizzazione. Un terzo elemento di non minor importanza è certamente costituito dall'esplosione del mondo digitale e dei cosiddetti social network intesi quali tribune popolari o, se si preferisce, casse di risonanza della rabbia, della frustrazione e dell'odio di massa. L'asse economico, politico e culturale su cui poggiano i tre elementi può definirsi a pieno titolo l'esatta rappresentazione di un presente che talora fatichiamo a comprendere per una serie di ragioni che andremo a chiarire. Partiamo dal primo elemento: con la caduta del Muro di Berlino e il tramonto del comunismo, si è creduto legittimo teorizzare una presunta fine della storia e dei suoi conflitti (essendo venuto meno quello rappresentato dalle due opposte concezioni del mondo, il comunismo e il capitalismo) quando, invece, ne sarebbero di li a poco riesplosi altri ben più cruenti voluti dalle grandi potenze e dalle lobbies del petrolio. Dunque, la prospettata fine delle ideologie si era rivelata subito come un inganno. In realtà, alla vecchia ideologia marxista leninista protagonista di gran parte della storia novecentesca, verrà prontamente sostituita (un primo, tragico segnale ci viene dato dall'esplodere del conflitto nei Balcani) da un ritorno regressivo alle logiche dei nazionalismi, alla difesa dei confini nazionali, al sovranismo come diretta risposta al modello economico globale. E qui entra in gioco il secondo elemento: quel sistema di mercato globale basato sulla liberalizzazione delle merci e al tempo stesso sulla dislocazione e la precarizzazione del lavoro, ha disatteso le speranze di milioni di persone, dimostrando la propria incapacità di affrontare le contraddizioni della sfera sociale ed economica. Così, mentre una sinistra liberaldemocratica, sempre più sbiadita e in crisi di identità, si allea con le politiche del mercato globale, mostrandosi dunque sostanzialmente incapace di interpretare i reali bisogni dei cittadini, nel mentre le destre sovraniste, nazionaliste e xenofobe di tutta Europa resuscitano un'ideologia che, forse, troppo ingenuamente si era creduto davvero fosse stata definitivamente sconfitta. E invece eccola dunque riapparire tra le pieghe di una democrazia sempre più fragile e indecisa nel non comprendere l'urgenza di ipotizzare una terza via che dovrà necessariamente tener conto dei reali bisogni e dei diritti delle persone. L'involuzione che abbiamo sotto gli occhi non si può certamente spiegare senza il fenomeno recente delle migrazioni dal continente africano, la cui massiccia presenza ha letteralmente diviso l'opinione pubblica e i partiti politici nei termini che ci sono ben noti.
    Da un simile brodo di coltura viene progressivamente formandosi l'odio verso le élites. Ma qui il discorso si complica. Di quali élites, infatti, stiamo parlando? Di quelle economiche e finanziarie, di quelle politiche o di quelle culturali?. Va detto, innanzitutto, che nell'immaginario collettivo del nostro paese si suole spesso identificare la figura dell'intellettuale con quella del comunista, anche in virtù dell'egemonia che la sinistra comunista esercitò per decenni nella cultura, venendo così a saldare l'insofferenza se non perfino l'odio per le elites culturali con l'anticomunismo come pratica e ideologia.
    Durante il XX° secolo erano il proletariato urbano e i suoi partiti di riferimento a identificare nella borghesia capitalista il proprio nemico di classe. Mentre oggi in una società senza più classi ma con una massa indifferenziata che preme contro tutto ciò che le si oppone, perfino la stessa democrazia, viene sempre più naturale immaginare il più tetro degli scenari. Ma attenzione, la cosiddetta "ribellione delle masse", di cui parlava il filosofo spagnolo Josè Ortega Y Gasset in un celebre saggio del 1930, oggi ha uno strumento inedito, liquido, tra le mani, la Rete, il "Game" evocato da Alessandro Baricco in un suo recentissimo volume edito nel 2017, capace di creare vite irreali, virtuali, pratiche illusorie entro una sorta di ossimoro: l'individualismo di massa. Dove ciascun utente, più che individuo o cittadino è una monade autolegittimatasi e autoalimentatasi a dare contro tutto e tutti, politici e intellettuali compresi. Si è davvero smarrito l'obiettivo della lotta, anzi, lo si è voluto invece orientare verso tutto ciò che è diverso, o che si stacca dal pensiero comune, anziché individuare i veri nemici in quei poteri, talvolta invisibili, ossia senza volto, che decidono delle nostre vite, oppure in coloro che hanno abbattuto i vecchi muri per crearne di nuovi e più insidiosi o, infine, coloro che, credendo di migliorare la condizione economica del pianeta, hanno invece spalancato una voragine tra la povertà e la ricchezza (nelle mani di una sempre più ristretta minoranza). Non ha quindi alcun senso parlare di "dittatura del proletariato" mediatica, come ha fatto di recente sulle pagine di un grande quotidiano il filosofo Maurizio Ferraris, secondo il quale, con la rete e i social network saremmo finalmente in grado, e senza colpo ferire, a suo dire, di influenzare il potere politico semplicemente premendo un pulsante e dicendo mi piace o non mi piace. Si riprodurrebbe al suo interno il medesimo rapporto tra capitale e lavoro che vi era nel secolo passato con la differenza che qui il lavoro (la somma dei milioni di dati e informazioni prodotti dagli utenti), di fatto non ottengono alcun compenso mentre le società come Facebook, Amazon e altre, su quegli stessi dati moltiplicano i propri profitti. Quanto alle odiate élites culturali, è piuttosto in atto una destabilizzazione del pensiero critico, dell'arte come principio di libertà creativa, da parte delle stesse, fraintendendo il concetto gramsciano di cultura nazional popolare, con il preciso intento di operare una semplificazione assecondando il gusto di massa e facendolo coincidere con quello del mercato. Del resto è assai più concreto e redditizio il successo di un best-seller del più autorevole giudizio critico. E' molto più comodo, infatti, alimentare il culto dei classici, di cui, peraltro, non si intende discutere la lezione di umanità, piuttosto che il confronto diretto con la contemporaneità. Dunque, è la cultura a modellarsi sul gusto di massa e non il contrario come invece avrebbe inteso Antonio Gramsci nei suoi scritti. In altre parole viene così realizzandosi quell' "infinito intrattenimento" che equipara una merce o un'opera ad un'altra. Una vera e propria fabbrica del consenso o, se si preferisce, una dittatura del gusto che elimina o sottostima tutto ciò che interferisce nel patto di ferro tra produttore e consumatore, ossia ciò che chiamiamo ricerca stilistica, spirito critico e complessità intellettuale (solamente consentita in ambito accademico dove il mercato riduce la propria influenza e dove si preparano le future classi dirigenti, funzionali al mercato stesso!…). Si tratta dell'ultimo atto di una mutazione antropologica del gusto che l'industria culturale, per effetto del globalismo, non fa che alimentare con la complicità di quelle élites liberaldemocratiche verso le quali prevarrebbe un ostinato quanto risentito rancore di massa.


Tanto peggio, tanto meglio?

EDITORIALE

 

 

Molti commentatori si domandano se il governo italiano dura o non dura, 
se Di Maio va o rimane, se la TAV si fa o si disfa, se Salvini torna con 
Berlusconi oppure no…
 
di Andrea Ermano

 

Oggi parliamo di un'analisi della situazione economica svolta a prescindere dai risultati in Sardegna, autore Enrico Morando, ex viceministro all'economia nel Governo Renzi e nel Governo Gentiloni. 
    I penta-leghisti, sostiene Morando, staranno insieme e tenteranno di uscire dall'Euro perché non sanno come affrontare la situazione economica, cioè i pagherò a babbo morto finora contratti nella loro avventurosa gita a Palazzo Chigi e dintorni. 
    Per parte sua Palazzo Chigi informa la nazione che non bisogna preoccuparsi perché c'è un "tesoretto" di circa due miliardi (due) appositamente accantonati in caso d'imprevisti. La parola "imprevisti" intende qui una situazione nella quale gli sviluppi economici messi a preventivo nella manovra finanziaria di dicembre vengono via via confutati da una realtà fatta di recessione invece che di crescita.
    Ma due miliardi (due) non basteranno minimamente. 
    Morando parla di almeno una quarantina di miliardi. 
    Da un punto di vista economico la maggioranza penta-leghista non sarà in grado di affrontare una manovra aggiuntiva con quelle dimensioni, concordano tutti. Ma, a differenza degli altri commentatori, la conclusione di Morando non è che, allora, cade il governo. La sua conclusione è che, allora, il governo tenterà di far saltare il banco.
    Da un punto di vista politico sarebbe incauto reputare che questa maggioranza stia insieme solo per il "collante del potere". Quello è il contorno. La pietanza principale sta nella concordanza nemmeno poi tanto misteriosa dei penta-leghisti con le attuali strategie sovraniste messe in campo dalle grandi potenze. 
    Di recente L'Espresso ha pubblicato un dossier sui finanziamenti moscoviti a favore della Lega. Ovviamente, Salvini nega e smentisce passaggi di denaro, ma anche al di là di ciò sussiste un patto scritto e sottoscritto con Putin (ben prima e ben più che con Di Maio).
    L'inquilino della Casa Bianca, come quello del Cremlino, osteggia un'Europa unita e forte. La prima potenza economica mondiale rappresenta ai loro occhi un partner commerciale poco maneggevole. Secondo i due leader sovranisti e i loro alleati europei, meglio sarebbe spezzettarla, questa UE, costringendo poi ciascuno "staterello" a trattative bilaterali con gli USA e la Russia nella parte del leone. 
    Da ciò consegue un evidente difetto logico "desiderante" nei ragionamenti del tipo: "Se fanno così, vanno a sbattere, dunque non faranno così". Il difetto sta nella possibilità alternativa: che dentro a questa maggioranza ci sia cioè gente determinata ad andare a sbattere, secondo la celebre parola d'ordine moscovita degli anni Venti: "Tanto peggio, tanto meglio".
    Si ribatterà che l'avverarsi di questo scenario non converrebbe a nessuno, ma non è vero. A parte ogni considerazione sulla "La prevalenza del cretino", sempre incombente nelle umane vicende, una prospettiva di crisi dell'UE per causa sovranista italiana potrebbe possedere una sua, per quanto perversa, "razionalità". Corrisponderebbe per esempio ai desideri di Trump e di Putin, senza contare il gigantesco polverone propagandistico che Salvini e Di Maio saprebbero sollevare. In tal modo butterebbero la croce di una eventuale fuoriuscita italiana dall'Euro sui partner europei tentando un forte consolidamento di regime dentro ai confini nazionali. 
    Siete convinti che questa prospettiva sul medio periodo ci porterebbe alla catastrofe? Siamo completamente d'accordo. Ma proprio per questa ragione dobbiamo tenere ben presente tutti i possibili scenari politici attuali e batterci con molta determinazione per evitare il peggio.


Prodi per le primarie Pd: “Votiamo in tanti”

L'appello neo-ulivista

 
«Il Pd ha tardato troppo a fare il congresso, 
ma adesso finalmente ci siamo».
 
di Romano Prodi

 

Dobbiamo andare in tanti a votare, per dare forza, per dare sicurezza a colui che sarà eletto nuovo segretario del Pd. E lui certamente sarà in grado di scegliere le persone che portino finalmente verso il cambiamento. 
    Perché andare a votare? 
    È semplice. L'Italia non va bene, i due partiti di governo non fanno altro che litigare e ci hanno diviso da tutti gli altri amici europei.
    Adesso si è visto dalle ultime elezioni che l'unica alternativa, l'unico cambiamento può essere dato dal Pd.
    Il Pd ha tardato troppo a fare il congresso, ma adesso finalmente ci siamo. E dobbiamo riunirci per poter cambiare la situazione politica del Paese.

 

Vedi il video dell'appello su Agenzia ANSA

Democrazia e populismo: il nero che avanza

FONDAZIONE NENNI 

 


Coloro i quali, oggi, dichiarano apertamente la propria fede fascista o piuttosto alludono ad una qualche appartenenza a una destra che si richiami all'ideologia propria del ventennio fascista, traggono la loro forza non soltanto dal clima politico generale formatosi nell'ultimo decennio…

 

di Maurizio Fantoni Minnella 

 

Coloro i quali, oggi, dichiarano apertamente la propria fede fascista o piuttosto alludono ad una qualche appartenenza a una destra che si richiami all'ideologia propria del ventennio fascista, traggono la loro forza non soltanto dal clima politico generale formatosi nell'ultimo decennio, ma da una serie di convinzioni e da un insieme di dati storici inconfutabili. Proviamo almeno ad enunciarli, senza tuttavia dimenticare che accanto all'antifascismo inteso quale premessa della nuova Costituzione e del nuovo assetto democratico, vi fosse l'anticomunismo come colonna portante e come prassi politica trasversale, ovvero comune a tutte le forze politiche non comuniste, ad eccezione dei socialisti con i quali vi fu dialogo ma anche dissenso. In quanto paese saldamente ancorato al Patto Atlantico, oltre che debitore del fiume di denaro relativo al Piano Marshall, l'Italia dell'immediato dopoguerra presentava tutte le dinamiche di un'insanabile contraddizione e le ambiguità politiche e morali che sarebbero esplose nella seconda metà del XX° secolo e successivamente (nel nuovo secolo) incanalate nell'assetto politico attuale in cui i molteplici fili tessuti per almeno mezzo secolo trovano dei punti nodali nell'insorgere di un nuovo nazionalismo sovranista condito di elementi razzisti, xenofobi e antisemiti che se nel nostro paese si richiama almeno in parte al ventennio fascista, in altre parti d'Europa, ad est come ad ovest, all'esperienza nefasta del nazionalsocialismo germanico. In Italia l'anticomunismo si è sempre ammantato di coloriture sia laiche che cattoliche, soprattutto mostrando una connotazione distorta, sovranazionale, facilmente identificabile con il comunismo sovietico, simbolicamente rappresentato dalla figura onnipotente e onnipresente di Josip Stalin e dunque inteso come il "male assoluto". Ancora oggi vi è, infatti, la tendenza ad ignorare (per ignoranza o per opportunismo), quello che effettivamente è stato il contributo dei comunisti italiani nella stesura della Costituzione democratica e nello sviluppo della società italiana per buona parte del XX° secolo. Vi è dunque, una retorica che per decenni ha alimentato l'anticomunismo come un'invisibile barriera di sicurezza da innalzare tra coloro che auspicavano il cambiamento verso una società egualitaria, pur tuttavia all'interno di un sistema di libero mercato e quanti invece, da differenti posizioni e visioni, ribadivano che quel sistema, per quanto non infallibile, fosse l'unica opzione possibile. Ora, l'anticomunismo entra in una nuova fase della sua storia, aiutato dalla stessa società liberale o liberista a sbarazzarsi perfino di quelle garanzie liberaldemocratiche o cattolico sociali che non potrebbero che intralciare il proprio superamento a favore di una società non solo finalmente liberata dai comunisti, ma pronta ad accogliere a livello di massa, come sta avvenendo in altri paesi europei, le istanze di un populismo reazionario e autoritario. Coloro che oggi si autodefiniscono fascisti hanno una storia che dopo la caduta del fascismo, paradossalmente, ha permesso, fin dal 1948, una sorta di autorigenerazione e uno sviluppo parallelo a quello delle forze politiche nate dalla lotta di Resistenza, proprio grazie ad un acronimo che inneggiava all'onnipresenza della figura di Benito Mussolini. Questo è dovuto principalmente a due ragioni. La prima, di carattere politico e giuridico, riguardava per un verso la non reale applicazione delle leggi (Scelba e Mancino) sulla ricostruzione del partito fascista e per altro verso il persistere di una complicità tra neofascismo e organi dello Stato (i cosiddetti Servizi deviati) che non poco contribuì all'insabbiamento della verità sulle stragi fasciste. La seconda, di natura antropologica, rivela più di un legame profondo con quel regime, o almeno, con quella mentalità che diremo autoritaria, incline all'esaltazione di un capo carismatico, laddove i vincoli democratici risulterebbero stretti per un

Beste Grüsse
 
Gregorio Candelieri
 
Im Feldtal 2, 8408 Winterthur
T  +41 (0)76 498 09 20