lunedì 1 febbraio 2016

"Senza Schengen fallisce l’Europa"

Da l'Unità online

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Martin Schulz: "Essere critici con Bruxelles non dev'essere considerato come una forma di euroscetticismo".  A colloquio

con il Presidente del Parlamento Europeo. No a una Schengen "mutilata o debilitata", ma gli Stati membri devono mantenere le promesse su ricollocamenti, controllo delle frontiere e condivisione delle risorse. E' questo l'appello ai Governi dell'Ue del presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz.

 

di Marco Mongiello

 

Come giudica l'esito della riunione dei ministri dell'Interno ad Amsterdam? Si parla di una reintroduzione dei controlli alle frontiere interne per due anni e si minaccia di espellere la Grecia da Schengen…

    "Ciò di cui l'Unione europea ha bisogno non è un'area Schengen mutilata o debilitata. Non abbiamo bisogno di un'area Schengen con il segno meno, dobbiamo invece rafforzare e difendere strenuamente questo spazio di libertà e di prosperità. Se Schengen dovesse fallire, sarebbe il mercato unico la prima vittima di questa sconfitta politica. Credo che i ministri e i governi ne siano consapevoli e credo che gli Stati Membri stiano finalmente capendo che non è più possibili rinviare le decisioni difficili, ma necessarie. La presidenza olandese è orientata a trovare soluzioni e non alibi. Gli stati membri devono mantenere gli impegni presi, che si parli di ricollocamenti, di controllo delle frontiere esterne, di condivisione degli strumenti e del personale per aiutare i paesi più esposti o degli impegni finanziari nei confronti della Siria e dei suoi vicini. Per l'Unione non c'è decisione peggiore di una decisione non messa in pratica".

    Secondo lei oggi l'Europa deve scegliere tra la libera circolazione e il mantenimento dell'ordine pubblico?

     "Questo è un falso dilemma. L'Unione è e dev'essere per la libera circolazione, ma questo non vuol dire farsi travolgere dall'afflusso massiccio di rifugiati. L'Unione deve procedere, e velocemente, per superare Dublino, per europeizzare il suo sistema d'asilo in modo tale che la pressione venga distribuita in maniera intelligente, trasparente, prevedibile e sostenibile su tutta l'area Schengen e non solo su due o tre stati. Le regole devono essere applicate uniformemente dagli Stati e il diritto d'asilo garantito a chi ne ha veramente bisogno: questo vuol dire anche che chi non si qualifichi come rifugiato dev'essere rimpatriato, attraverso procedure rapide e sistematiche. Se non lo facessimo, rischieremmo di inviare un messaggio sbagliato: che chiunque può venire in Europa. Con un sistema efficace di rimpatri invece i numeri si ridurrebbero drasticamente. Ma finora vediamo nell'Unione pochi ricollocamenti, pochi rimpatri e pochissima solidarietà".

    La Cancelliera Angela Merkel ha sbagliato nell'aprire le porte ai rifugiati senza voler mettere un tetto al numero di ingressi? Non era meglio selezionare i richiedenti asilo nei campi profughi?

     "L'obiettivo è che i rifugiati non s'imbarchino in viaggi disperati, incontrollati e ingestibili: questa è l'obiettivo per l'Unione, ma è soprattutto nell'interesse dei rifugiati stessi. È stato utilizzato più inchiostro per parlare delle responsabilità di Angela Merkel che nel pensare a come risolvere la crisi. Nonostante in tanti ambiti io la pensi diversamente dalla Cancelliera, il suo intervento nella crisi dei rifugiati è stato in primo luogo motivato da un principio di responsabilità. Ora però abbiamo bisogno di un'Europa che ritrovi coraggio, solidarietà ed efficacia".

    Nei giorni scorsi ci sono state polemiche tra Roma e Bruxelles. Come fa un governo a essere "eurocritico" senza essere scambiato per "euroscettico"?

     "Non ho mai pensato che a Roma ci fosse euroscetticismo. Mi sembra che la polemica sia stata gonfiata a dismisura, in gran parte con un contributo dei media e della stampa. È proprio come sottolinea lei nella sua domanda: essere critici con Bruxelles non dev'essere considerato come una forma di euroscetticismo. I dossier comunitari sono assolutamente centrali per molti governi ed è quindi legittimo che i governi rilevino, anche con chiarezza, quando si trovano in disaccordo con Bruxelles. Questa è una Commissione europea che si definisce con forza come una Commissione "politica", questo vuol dire che non si nasconde dietro ai trattati per difendere le decisioni prese. Un dibattito politico acceso tra Bruxelles e le capitali degli Stati Membri è quindi un elemento nuovo, ma non dovrebbe sorprendere. L'importante, a mio avviso, è la volontà della ricerca della sintesi sulla sostanza".

 

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