LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it
Si torna a parlare, tra gli studiosi e ora anche nel documento unitario sulle relazioni industriali, del diritto dei lavoratori “a collaborare alla gestione delle aziende”. Una delle chiavi per un’uscita qualificata dalla lunga stagione di crisi
Un po’ a sorpresa si torna a parlare di partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Strano, perché nella storia questo argomento ha goduto di qualche attenzione solo quando le rappresentanze dei lavoratori vivevano un momento di grande forza e capacità espansiva, oppure (ma spesso le due cose coincidevano) quando il governo in carica era particolarmente interessato a costruire qualche norma di favore per il mondo del lavoro. Due circostanze che oggi non sembrano proprio date, tant’è che il diritto dei lavoratori, previsto dall’articolo 46 della Costituzione, “a collaborare alla gestione delle aziende” rischierebbe di rimanere ancora a lungo – se guardiamo solo a questo – una bella petizione di principio, priva purtroppo di qualsiasi concreta ricaduta.
Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, qualcosa ha cominciato a muoversi. Non tanto per effetto di una previsione pure contenuta nella legge 92 del 2012 (la famigerata legge Fornero), che delegava il governo a regolare – tramite decreto – “le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa”. Certo, “coinvolgimento” non è esattamente “partecipazione”, ma comunque quella delega non ha poi avuto alcun seguito. La ritrovata fortuna delle tematiche partecipative sta forse piuttosto in una crescente consapevolezza della loro correlazione con la qualità e l’efficacia del sistema economico e produttivo. Spesso – anche se non sempre – una maggiore partecipazione di chi lavora è la condizione per trarre il massimo dalle potenzialità insite in nuove e sempre più diffuse innovazioni di carattere tecnologico.
Paradossalmente, è proprio la debolezza e la limitatezza delle applicazioni avute negli ultimi anni a riproporre l’attualità di questo tema, nel quale viceversa si individua una delle chiavi per un’uscita qualificata e avanzata dalla lunga stagione di crisi che stiamo attraversando. Comunque sia, il dato certo è che se ne torna a parlare, tanto che un intero capitolo sulla partecipazione è stato inserito anche nel testo recentemente condiviso da Cgil, Cisl e Uil dal titolo “Un moderno sistema di relazioni industriali”. Correttamente, il documento unitario distingue tra tre diverse forme della partecipazione: alla governance, organizzativa ed economico-finanziaria.
Rispetto alla governance, si fa esplicitamente riferimento al modello duale di derivazione tedesca e alla presenza nei Consigli di sorveglianza che esso prevede. Un riferimento che al momento può valere soprattutto in termini di ispirazione, vista la quasi totale assenza, in Italia, di imprese che abbiano adottato questo modello societario e considerati oltretutto gli ostacoli che la legge italiana frappone alla presenza di lavoratori in quei Consigli. Il campo della partecipazione organizzativa è certamente – nell’esperienza del nostro paese – più conosciuto e frequentato, riguarda sostanzialmente la proceduralizzazione di momenti e modalità attraverso i quali concretizzare, e magari allargare, i diritti di informazione e consultazione sanciti dalla legislazione e dalle direttive comunitarie. Su questo la contrattazione nazionale e di secondo livello si è già ampiamente esercitata in passato, meno negli ultimi anni, vissuti sotto il ricatto permanente della crisi.
La partecipazione economico-finanziaria è infine quella che in vario modo lega quote retributive del lavoratore all’andamento economico e/o al raggiungimento di determinati obiettivi produttivi dell’impresa. In tale ambito, il documento si limita ad affermare i principi della volontarietà dei singoli e della valorizzazione del ruolo delle rappresentanze sindacali in azienda. Su tutte e tre queste forme partecipative è in ogni caso utile fare tesoro delle esperienze già fatte e, in questo senso, può essere di grande interesse il volume recentemente pubblicato a cura di Mimmo Carrieri, Paolo Nerozzi e Tiziano Treu, dal titolo “La partecipazione incisiva” (edizioni Il Mulino). Si tratta di una sorta di catalogo critico delle migliori esperienze compiute su questa materia in Italia e negli altri principali Paesi europei.
È interessante notare come sia i curatori del volume, sia la grande maggioranza degli studiosi ritengano comunque indispensabile un preciso intervento di sostegno normativo in materia. Non perché non siano consapevoli dei rischi insiti nel mettere la questione nelle mani di organi legislativi o ancor peggio esecutivi, che hanno spesso dimostrato scarsa competenza e acritica adesione al punto di vista del sistema delle imprese. Ma perché ritengono che senza un intervento normativo capace di mettere in relazione il tema della partecipazione con quelli – strettamente connessi – della rappresentanza e della contrattazione, è impossibile che nelle condizioni date maturi solo per via negoziale il salto di qualità e anche di diffusione quantitativa che sarebbe oggi indispensabile e persino urgente.
Uno dei punti chiave del dibattito riguarda il rapporto tra forme partecipative e contrattazione tra le parti. Anche qui la scelta degli studiosi è largamente orientata a una chiara distinzione tra i due canali, quello partecipativo e quello contrattuale, anche se un intreccio appare comunque auspicabile e forse persino inevitabile nel caso italiano, nel quale il peso della rappresentanza sindacale è storicamente molto più forte che altrove. In definitiva, non può che essere positivo che un tema come quello della partecipazione dei lavoratori nell’impresa e delle possibili concretizzazioni dell’articolo 46 della Costituzione torni a essere affrontato. Ma certo c’è ancora bisogno di approfondirlo e soprattutto di attualizzarlo. In particolare, mettendo meglio a confronto le esperienze fin qui sviluppate in Italia e in Europa con le trasformazioni oggi concretamente in atto nel sistema delle imprese, trasformazioni che spesso, non a caso, rendono più sfuggenti e nascosti i luoghi veri del potere e della decisione, andando così in una direzione opposta a quella della partecipazione.