giovedì 17 aprile 2014

Minsky tra Pechino e Berlino

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il modello sino-tedesco prepara il prossimo crack?

di Giovanni La Torre

A breve distanza uno dall’altro sono apparsi su autorevoli media internazionali due articoli alquanto preoccupati, e preoccupanti, sulla situazione economica cinese. Il primo è apparso il 3 aprile sul sito del New Yorker, autorevole rivista americana, con il titolo “La Cina sarà la prossima Lehman Brothers?”, il secondo sul Financial Times del 10 aprile con il titolo “La Cina è nervosa per i dati commerciali”. La preoccupazione del FT si basa sul dato relativo al commercio internazionale: a marzo le esportazioni cinesi sono calate del 6,6% e il dato fa seguito al calo del 18% di febbraio. Come è noto il commercio internazionale è stato il motore principale della tumultuosa crescita di quella che è oggi la seconda economia mondiale e si appresta a essere la prima entro un paio di decenni (ma per il Pil totale non per il reddito pro capite). Quello che però normalmente si considera meno è il contributo che la crescita cinese ha dato all’intera economia mondiale, dato che ha alimentato anche una considerevole corrente di proprie importazioni. Ebbene anche queste sono calate dell’11,3%. Nel corrente anno si prevede una crescita del Pil di solo il 7,4%. Lo so che fa ridere definire “solo” una crescita del 7,4%, visto che noi europei ci siamo abituati in questi ultimi anni a cifre molto più misere, se non addirittura negative, ma la potenza asiatica viaggiava a tassi di crescita a due cifre, tant’è che il dato di quest’anno sarà il peggiore dal 1990, e segue il già “scarso” 7,7% del 2013. Molte volte sono le “variazioni” più che i dati assoluti a determinare shock pericolosi, a invertire le aspettative e provocare pericolosi avvitamenti.

Il New Yorker invece basa la sua preoccupazione sul rischio di esplosione della bolla immobiliare e sul livello di indebitamento dell’economia cinese. L’economia cinese si starebbe pericolosamente avvicinando al “Minsky moment”, dal nome dell’economista keynesiano che ha studiato le crisi finanziarie. Cioè il momento in cui le autorità e il mercato avvertono che c’è una bolla in atto e cominciano a tirare i remi in barca, ma questo gesto diventa la scintilla per far deflagrare il tutto. Anche in Cina si è assistito alla crescita del “sistema bancario ombra”, che in gennaio ha ancora erogato finanziamenti per 160 miliardi di dollari, ma in febbraio ha praticamente azzerato il flusso. Il livello di indebitamento dell’economia cinese, l’altra faccia del boom immobiliare, che era pari al 125% del Pil nel 2008, è arrivato al 200% nel 2013 (l’indebitamento del settore pubblico sarebbe solo del 45%). Insomma la situazione cinese somiglierebbe sempre più a quella dell’Arizona, della Florida e del Nevada del 2007. Le autorità e i media cinesi si mostrano sereni e avvertono che la situazione è sotto controllo, e lo stesso livello del debito pubblico dovrebbe spingere a considerazioni più tranquillizzanti … Ma potrebbero dire altro?

Più vicini a casa nostra notiamo che la Germania nel 2013 ha registrato una stasi nelle esportazioni (nelle importazioni meno 1%) e questo ha fatto sì che il Pil sia cresciuto solo dello 0,4% (0,7% nel 2012) mentre nel 2010 era cresciuto del 4% e nel 2011 del 3,3%. Anche in questo caso è il trend che va considerato.

Entrambe le situazioni sono il frutto di sistemi economici cresciuti, scientemente, su uno squilibrio: la crescita attraverso il commercio estero, cioè attraverso un meccanismo che non rimette in circolo la ricchezza prodotta, o meglio che la rimette solo fino a quando il resto delle economie sono in grado di assorbire le loro esportazioni, cosa questa che non può avvenire in eterno…

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