FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Il leader Massimo, “rottamato” da Renzi, torna ora in campo alla testa del PD che non si riconosce nel suo segretario… di Giuseppe Tamburrano Il leader Massimo “rottamato” da Renzi torna in campo alla testa del PD che non si riconosce nel suo segretario. E rimprovera a Renzi di non capire che si trova alla testa di un partito che non è nato dal nulla, che ha una storia, ha avuto una identità, dei valori. E sembra che con Bersani e Cuperlo vogliano far nascere una corrente antirenziana che dovrebbe attingere al patrimonio della sinistra Certo il governo del segretario del PD che sta in piedi grazie alla fiducia di Berlusconi fa impressione e dimostra la volubilità menzognera della politica “arte del possibile”. Certo, questo D’Alema che definì tempo addietro Gramsci un “liberista”, manager superpagati “capitani coraggiosi”, questo D’Alema che riscopre le proprie origini, il patrimonio della sinistra di cui è stato il principale liquidatore, si rivela un allievo più che del Machiavelli, del machiavellismo. Lui che spiega al suo segretario che il PD non è res nullius, un contenitore, ma un insieme di valori ed esperienze ha sulla coscienza di non aver fatto quel che cominciò appena a fare, e cioè di rifondare tutta la sinistra in una “cosa due”, sintesi e rinnovatrice dei valori della sinistra ex comunista e socialista. Ricordo quel che disse D’Alema alla presentazione promossa dalla Fondazione Nenni dell’ultimo libro dell’indimenticabile compagno De Martino: certo la mia, la nostra posizione è singolare: in Europa siamo socialisti, ma quando l’aereo attraversa le Alpi, in Italia siamo un’altra cosa. Vuole D’Alema, il cui partito va alle elezioni europee col simbolo del Partito socialista europeo, tornare alla “cosa due”? La prima volta io non vi entrai e i socialisti rimasti tali vi restarono ben poco. Questa volta sarei il primo a prendere la tessera. Per favore, non definitemi ingenuo, ma sognatore. |
Da MondOperaio Riformismo polisemico di Danilo Di Matteo Dall’assemblea romana della minoranza Pd sono emerse delle parole d’ordine: “sinistra”, “pensiero”, “riformisti”, “territorio”. Il termine “riformista”, in particolare, va accentuando una sua caratteristica riscontrabile ormai da decenni: la polisemia. Secondo l’accezione di Cuperlo, D’Alema, Bersani, Fassina e altri, ad esempio, esso sembra indicare un approccio volto al cambiamento graduale nell’ambito di una “tradizione” di sinistra. Tante volte e in vari contesti ho sottolineato l’importanza della tradizione proprio al fine dell’innovazione, citando ad esempio il Labour britannico. Secondo la declinazione di quegli esponenti dem, però, il riformismo parrebbe indicare un modo di procedere secondo metodi, forme e tempi a loro modo interni a una prassi consolidata. L’innovazione perseguita dal nuovo corso di Renzi vorrebbe invece adeguare i ritmi della politica a quelli della società e dei problemi. Non si tratterebbe di una “fuga”, bensì di porre rimedio al cronico ritardo dei gruppi dirigenti e della sinistra rispetto alla realtà. Riguardo poi alla proposta della minoranza Pd di dar vita, dal “basso”, a “circoli della sinistra”, un’occhiata superficiale porta a scorgervi un margine di ambiguità. Da un lato si pone l’accento sull’esigenza di rivitalizzare il partito sul territorio, di organizzarlo meglio; dall’altro viene forse evocata un’atmosfera già nota: quella dei “cantieri” e della “sinistra dei club”. |
Da Avanti! online Kiev a un passo dal baratro L’Ucraina si avvicina, pericolosamente, alla guerra civile. Dopo gli ultimatum degli scorsi giorni lanciati dal governo di Kiev nei confronti degli insorti filorussi che occupano i palazzi del potere in varie aree del paese, passati inascoltati e senza conseguenze, questa volta il presidente Oleksandr Turchynov ha deciso di fare sul serio. Già dalle prime ore di martedì, le autorità ucraine hanno lanciato un’operazione antiterrorismo nel nord della regione orientale di Donetsk. Colonne di blindati si sono mosse in direzione della di Sloviansk circondando la città dove insorti filo Mosca, che si dice siano coordinati da un ufficiale russo, sarebbero barricati nelle stazioni di polizia intenzionati a resistere. Sono ben nove le città dell’est dell’Ucraina ancora controllate dalle milizie filorusse, dopo che i manifestanti hanno preso il controllo di edifici amministrativi e della polizia. Nonostante gli avvertimenti di Kiev, i dimostranti hanno fortificato le loro posizioni erigendo nuove barricate. E non sono mancate le prime vittime: le forze ucraine, infatti, hanno attaccato l’aeroporto militare di Kramatorsk, preso pochi giorni prima, e quattro esponenti filorussi sono morti, mentre altri due sono rimasti feriti. Un escalation che secondo il premier russo, Dmitri Medvedev, è da interpretare come il segnale che l’Ucraina «è sull’orlo di una guerra civile». Secondo Medvedev «l’unica via per andare avanti è quella del dialogo con tutte le regioni ucraine», dialogo che deve vedere, secondo il leader russo, un maggiore coinvolgimento da parte della comunità internazionale rispetto alla soluzione dei problemi economici dell’Ucraina, soprattutto per quello che riguarda il saldo dei debiti energetici di Kiev verso Mosca che ammonta a circa 2,2 miliardi di dollari. Proprio la difficile situazione dell’economia si somma allo scenario già difficile dal punto di vista politico e della sicurezza: a causa dell’incertezza, infatti, molti ucraini hanno svuotato i propri depositi bancari per assicurarsi disponibilità di contante in caso di necessità. La banca centrale, in risposta, si è vista costretta a alzare i tassi di interesse dal 6,5 per cento al 9,5 per cercare di rallentare la galoppante svalutazione della moneta nazionale causata dalla conversione di massa in valuta forte come il dollaro e l’euro. Un meccanismo perverso che ha innescato una inflazione in rapida crescita con il conseguente aumento del costo delle merci di importazione, ulteriore elemento di critica da parte dei residenti filorussi che accusano il neo-governo di Kiev di incapacità nella gestione dell’economia. Insomma, nonostante le rassicurazioni del presidente Oleksandr Turchynov, che in parlamento ha parlato di una manovra per la ripresa del controllo delle aree insorte condotta «gradualmente» e «in maniera equilibrata e responsabile», l’Ucraina sembra inesorabilmente incamminata sulla strada della guerra civile. Con l’aggravante che, se ad appoggiare i filorussi c’è Mosca, dietro Kiev potrebbe non esserci nessuno. |