mercoledì 9 aprile 2014

La situazione politica - Francia amara, ma chiara

Per chi ama le cose chiare il risultato delle elezioni municipali francesi semplifica la vita. Qui analizziamo il voto al primo turno, i cui esiti sono stati sostanzialmente confermati dal ballottaggio.

di Felice C. Besostri *)

Il PS è stato sconfitto e in modo cocente anche se il 30 Marzo potrebbe limitare i danni, con alleanze per il secondo turno con EELV (Ecologisti Europei-I Verdi) e il Front de la Gauche. Con i primi è più facile, poiché erano già alleati alle legislative. L’apporto ecologista, tra l’altro, appare più consistente di quello del FdG. A Parigi l’EELV 8,86% > 4,94% FdG, lo stesso a Lione, anche se con scarto più ridotto 8,9%>7,56%. Nelle grandi città fa eccezione Marsiglia perché PS e EELV si sono presentati uniti con Patrick Mennucci fin dal primo turno con un risultato rovesciato rispetto alle previsioni: un miserabile 20,77%, che lo colloca al terzo posto, dietro il Sindaco uscente di destra, J. C. Gaudin (37,64%) e il candidato FN (23,16%). A Parigi la sinistra (PS-EELV-FdG) supera di poco il 48% a fronte di un 43% del blocco di destra, a Lione l’inossidabile Collomb conta sul 52,22 al primo turno ed è favorito dalla triangolare. Gli elettori del FN non fanno tattica e non hanno interesse a favorire la destra e quindi si manterranno alle 229 triangolari di città medie ed importanti cui sono stati ammessi per la prima volta.

In 17 città superiori ai 10.000 abitanti il FN è il primo partito. In termini di voti assoluti la vittoria del FN è oscurata dal fatto che si è presentato nella minoranza delle municipali, in quanto è ancor un voto di opinione e non è strutturato diffusamente sul territorio. Queste municipali saranno l’avvio di un maggiore radicamento. Il Partito Socialista ha sempre avuto nei municipi i suoi bastioni anche quando era in difficoltà sul piano nazionale, per questo è una sconfitta, che colpisce il Partito nel cuore. La sconfitta era messa in conto, ma non la sua dimensione: è la Presidenza Hollande e le delusioni seguite alla sua trionfale elezione del 2012, che gli elettori hanno punito in 2 modi, con l’aumento dell’astensione, raddoppiata in 30 anni dal 1 su 5 del 1983 ai 2 su 5 di quest’anno (38,7%), cioè un 5% in più di quando erano 1 su 3 nel 2008 e con il voto al FN.

Nel panorama delle sconfitte alcune sono simboliche. Le Monde si apre con una foto di Marine Le Pen, presidente del FN e Steeve Briois, segretario generale del FN, candidato sindaco eletto al primo turno a Hénin- Beaumont. Questa cittadina del Nord Pas de Calais, una delle culle del movimento operaio e socialista, dal 1919 al 1940 ha sempre avuto uno stesso sindaco della SFIO e nel dopoguerra, dopo una breve parentesi PCF, sempre sindaci PS o d’unione di sinistra. In questo caso è evidente che vi è stato un trasferimento diretto di voti dalla sinistra al FN. Già alle presidenziali la Le Pen aveva detto che la divisione non era destra- sinistra, che non ha più senso, ma tra i privilegiati che si riconoscono nel Partito unico al potere UMPS (UMP+PS), che si alternano per fare le stesse politiche dettate dall’Europa e gli altri. Dopo le municipali ha rafforzato il concetto che la divisione passa tra il basso e l’alto, cioè chi è colpito dalla crisi in maniera più dura.

Alcune cifre: 391 sono le città che hanno eletto il sindaco al primo turno, di queste 139 alla sinistra, 250 alla destra e 2 al FN. 27 città hanno cambiato maggioranza, di cui 24 da sinistra a destra, appena 3 in senso contrario, ma poco significative, 2 sono oltremare in Guadalupa. Nelle città con oltre 10.000 abitanti la destra ottiene il 45,9% (45,5% nel 2008), l’estrema destra 9,2% (0,7% 2008), la sinistra 41,4% (45,5% 2008) e l’estrema sinistra 1,3% (1,5% 2008).

La destra non vince per meriti suoi e considerata la minore partecipazione elettorale è praticamente certo che abbia perso in voti assoluti. L’altro dato è che le perdite della sinistra non vanno all’estrema sinistra, che perde in percentuale e quindi in voti assoluti. Una situazione spagnola dove le perdite del PSOE sono andate in minima parte a Izquierda Unida e il PP ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi perdendo voti. Nel 2009 in Germania federale le perdite della SPD solo per un terzo si distribuirono tra Linke e Verdi, il resto nell’astensione.

L’astensione è il dato che ha caratterizzato anche i voti raccolti dall’Ulivo nel 1996 e quelli delle elezioni successive: un problema non solo quantitativo ma qualitativo, se l’astensione dal voto è percentualmente più alta tra i giovani e le classi popolari. Nel 2013 in Italia alla Camera votarono soltanto 500.000 elettori in più del Senato, benché sulla carta ci fossero 4 milioni e mezzo di elettori in più: la classe età 18-24 anni non è andata a votare.

Il bipolarismo in Francia, se non è morto con questi risultati, è entrato in agonia: i collegi uninominali con ballottaggio eventuale non assicurano un effetto maggioritario, se le triangolari diventassero la regola. Nel 2012 sono state appena 46 su 577 seggi, meno del 8%, in Italia con i risultati 2013 sarebbero la regola e non sarebbero escluse quadrangolari nelle zone pedemontane del Nord Italia.

Con l’Italicum si cerca di mettere le briglie agli elettori o le mutande alla politica: se non ha effetto è una sconfitta per chi lo propone, se ha effetto rimanda solo nel tempo la disaffezione verso le istituzioni e quindi la democrazia. Se aumenta la crisi economica, politica e sociale avere una maggioranza artificiale dei seggi non serve a nulla a meno di ricorrere a poteri speciali per reprimere il disagio sociale. La sensazione che le parti più svantaggiate della società non siano più rappresentate nelle istituzioni è un spinta verso i partiti fuori sistema, che sono i più vari dal FN al Blocco Fiammingo, dall’UKIP a i Veri Finlandesi per finire al M5S, che è meglio che se la protesta fosse rappresentata da Fratelli d’Italia Forza Nuova.

La riduzione del numero dei rappresentanti elettivi e i sistemi maggioritari semplificano solo apparentemente il sistema politico, tanto più se di accompagnano alla demagogia dell’anti-politica interpretata da figure istituzionali.

Matteo Renzi sottovaluta l’effetto devastante di caratterizzare l’abolizione delle Province con “abbiamo tolto l’indennità a 3.000 politici”, come aveva giustificato l’abolizione del Senato con un risparmio di un miliardo di Euro.

Se sono questi i risparmi aboliamo la Camera che ne costa 2, ovvero Camera e Senato così se ne risparmiano 3 forse 4 di miliardi. Il rafforzamento degli esecutivi e la riduzione dei poteri dei Parlamenti e delle assemblee elettive sono strettamente collegate al capitalismo finanziario, che non ha bisogno della Stato se non nel senso che non ci siano poteri pubblici, che possano regolare i mercati o porre freni al libero movimento dei capitali. Per la loro libertà gli interlocutori pubblici devono essere ridotti di numero e quindi più facilmente influenzabili, controllabili se non corruttibili.

I governi sono più direttamente dipendenti dai voti delle agenzie di rating, quando il sistema mediatico amplifica le loro valutazioni.

La democrazia è in pericolo e la sinistra che fa?

Interessante è notare che mentre si cerca di far passare il messaggio che la distinzione sinistra destra non c’è più in un coro a più voci dove cantano sia Marine Le Pen che Massimo Cacciari, a sinistra con forza si sostiene che di sinistre ce ne sono addirittura 2 ovviamente una, la propria, è quella vera e quella degli altri è la falsa sinistra. Il tutto in assenza di un’analisi delle classi sociali e del modello di società cui si aspira e dei mutamenti introdotti dalla finanziarizzazione del capitalismo. Continuiamo così e delle 2 sinistre 2 fra un po’ non ne rimarrà nemmeno una.

*) Presidente Rete Socialista-Socialismo europeo