lunedì 24 giugno 2013

STORIA E MEMORIA - Ricordare Matteotti ( 1 / 3 )

Per ricordare il parlamentare socialista Giacomo Matteotti assassinato per mano di sicari fascisti il 10 giugno del 1924 riportiamo qui di seguito la prima parte del discorso tenuto da Giuliano Vassalli nel 2004 di fronte alla Camera dei Deputati. In testo ricostruisce la vita di Matteotti fino alla vigilia della Prima guerra mondiale.

di Giuliano Vassalli

    Giacomo Matteotti fu figura poliedrica - e davvero si potrebbe dire "dalle molte vite" - che tutte consumò in un gran fuoco di passione e di abnegazione nello studio, nella ricerca giuridica, sociale e politica, nel lavoro diurno e notturno, nella propaganda, nell'organizzazione, nell'amministrazione, nell'impegno nei consigli comunali e provinciali e nel Parlamento nazionale. Sempre consapevole delle proprie scelte e delle rinunce che esse comportavano, sempre pronto anche al sacrificio, sino a quello supremo, e tuttavia animato, quasi sino alla fine, della speranza di potere un giorno trovare la possibilità di conciliare i propri interessi culturali con la strenua difesa degli interessi del proletariato e la non meno strenua difesa della libertà.
Matteotti fu studioso di diritto, di diritto penale prima e di pubblica finanza poi; fu organizzatore di leghe bracciantili per il collocamento della mano d'opera in un zona d'Italia devastata dalla miseria, dalle malattie, dall'emigrazione, dalla prepotenza degli agrari; fu amministratore delle pubbliche cose nei comuni e nella provincia del suo Polesine, fu uomo di partito combattivo e coraggioso, fu deputato per ben tre legislature, la terza delle quali fu ahimè ben breve perché la vita gli fu subito tolta.

    A questo aspetto del Matteotti parlamentare ha prevalentemente indirizzato il nobile suo intervento, in questa Camera dove altre volte Giacomo Matteotti fu degnamente commemorato, il presidente Pierferdinando Casini: perché qui furono dati da Matteotti alcuni dei suoi contributi più impegnati e più significativi, perché qui egli ebbe negli ultimi anni di vita una delle sue sedi preferite, forse la preferita tra tutte, perché qui intese portare parole di protesta, di monito, di preveggenza che fossero intese in tutta la nazione e non solo nel suo collegio elettorale, perché da qui partì il suo esempio in una dimensione che doveva divenire mondiale, perché qui, dal contegno coraggiosamente tenuto contro la dittatura, ebbe origine la sua drammatica fine.

    Di questa dimensione di Matteotti le parole del presidente Casini hanno dato alta testimonianza, sì che la nostra commemorazione, nell'80° anniversario di quella morte, potrebbe finire qui. Tuttavia, incaricato di qualche contributo più specifico sulle attività di Giacomo Matteotti, cercherò di assolvere il compito, reso ad un tempo più facile e più difficile per la molteplicità e la ricchezza delle biografie su di lui esistenti e degli altri studi che alla sua figura sono stati negli scorsi decenni e fino ad oggi dedicati.

    Dunque, anzitutto, Matteotti penalista, perché fu negli studi del diritto e della procedura penale che ebbe inizio la sua giovinezza operosa e fu alla loro diligente e informata coltivazione che sembrarono, in un primo momento, unicamente indirizzarsi la sua vita e la sua carriera.

    Del contenuto di detti studi ho avuto modo di occuparmi, presentando or è poco più di un anno i due volumi di Scritti giuridici, curati con sapienza e con amore dal professore Stefano Caretti, dalle cui pluriennali indagini su ogni aspetto della vita di Matteotti fatalmente trarrò molti riferimenti: in particolare, anche dalle sue raccolte delle commoventi Lettere a Giacomo e delle tenerissime Lettere a Velia, la moglie fidata ed amata che dopo pochi anni di gioia familiare con Giacomo e i tre bambini fu costretta a vivere in una permanente e trepidante lettera causata dalle assenze del marito travolto dagli impegni politici, e non di rado in grave ansietà per la stessa sorte di lui. Gli scritti penalistici di Matteotti vertono sia sul diritto sostanziale che sul diritto processuale (le due materie furono sino al 1938 oggetto di insegnamento congiunto) e non è questa la sede per soffermarvisi. Vorrei invece ricordare brevemente il contesto in cui quegli studi si svolsero.

    Matteotti apparteneva a famiglia che traeva umili origini da un paesino del Trentino, nella Val di Pejo, donde s'era spostata con il nonno di Giacomo, Matteo, a Fratta Polesine in quel di Rovigo. Il padre di Giacomo, Girolamo, sposatosi ad Isabella Garzarolo, donna di forti capacità e di grandi virtù, con il solerte lavoro di calderaio (lavoratore del rame e venditore diretto dei risultati del proprio lavoro) e con una vita tutta di risparmio ed estremamente oculata, era riuscito a diventare proprietario di vari terreni e fabbricati sparsi nel Polesine, conseguendo così quella media agiatezza che gli consentì di avviare i figli maggiori agli studi superiori, per i quali si dimostravano particolarmente dotati. Girolamo venne a morte assai giovane, nel 1902, quando Giacomo non aveva che diciassette anni. Nell'azienda paterna, accanto alla madre, subentrò per qualche tempo il giovanissimo Silvio, mentre gli altri due figli, Matteo e Giacomo, proseguivano con grande alacrità nei loro studi. Matteo, il maggiore, divenne cultore di economia politica, studiando prima a Venezia e poi a Torino, e pubblicando importanti scritti in materia di lavoro e previdenza sociale, alcuni nella "Riforma sociale" di Luigi Einaudi ed altro in un importante volume, del 1900, dedicato all'assicurazione contro la disoccupazione con particolare riguardo alla Germania e alla Svizzera. Giacomo si volse invece alla criminologia, ai sistemi penitenziari e al diritto penale. Scriverà Luigi Einaudi nel 1925, commemorando Giacomo e ricordando il suo amico Matteo, venuto a morte per etisia sin dal gennaio 1909, che "l'abito scientifico doveva essere in quella famiglia quasi una seconda natura".

    Nel gennaio 1919 Giacomo perdette, sempre a causa di etisia, anche l'altro fratello, il minore, Silvio. Addolorato e avvilito da queste premature morti familiari, si allontanò per vari mesi dall'Italia per proseguire i suoi studi in Inghilterra. La sua prima produzione scientifica si svolge appunto in quel biennio che abbraccia il 1910 e il 1911, quando si recò anche in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, in Francia , in Austria e ripetutamente in Germania, sempre a fini di apprendimento delle lingue e di studio; ed il suo libro sulla "Recidiva", (approfondimento della tesi di laurea svolta con Alessandro Stoppato nel novembre 1907 presso l'Università di Bologna riportando il massimo dei voti e la lode) attesta quanto frutto egli avesse tratto dalla disamina degli ordinamenti e degli scritti d'altri paesi d'Europa.

    Sennonché la politica, nell'ambito del partito socialista e nell'interesse degli amati conterranei dello sfortunato Polesine, la cui passione gli era stata trasmessa dal fratello Matteo, lo attraeva in misura crescente; e quando, sempre nel 1910, candidato suo malgrado al Consiglio provinciale di Rovigo fino a poco tempo prima rappresentato dal fratello Matteo, per il collegio di Occhiobello, riesce eletto, prima declina l'incarico con una lettera da Oxford e poi, respinte che furono unanimemente le sue dimissioni, riprende il cammino verso l'Italia e diventa anche consigliere in una decina di comuni (possibilità allora consentita ma contro la quale egli prenderà posizione qualche anno dopo alla Camera dei Deputati, appena elettovi, con una proposta di legge), nonché sindaco di Villamarzana (come era stato il fratello Matteo) e di Boara. A questa attività, attesi la competenza e l'impegno in essa dimostrati, si accompagna incessante la consulenza - e prima ancora l'organizzazione - di leghe, circoli e cooperative in una zona dove, per le condizioni particolarmente disagiate dei lavoratori agricoli e per le malattie ivi tradizionalmente imperanti è a tutti noto quanto ve ne fosse bisogno. In breve tempo Matteotti si distinse come sostenitore delle giuste rivendicazioni operaie e contadine, e in genere nel campo della giustizia fiscale, attirandosi le profonde antipatie del ceto possidente locale, al quale egli stesso ormai apparteneva. Cercava anche, nel frattempo, di frequentare lo studio legale di Stoppato, che lo esortava alla libera docenza e alla carriera universitaria (è noto che Stoppato apparteneva in politica ai clericali moderati e che fu anche deputato in varie legislature e poi senatore dal 1920) e cercava altresì di continuare i propri studi penalistici e penitenziari con la collaborazione a riviste; ma la vita amministrativa e politica ogni giorno più ne lo distoglieva, essendo impossibile- specialmente con quel tipo di attività che l'arretratezza e la miseria del Polesine richiedevano - conciliare aspirazioni ed esigenze tanto diverse.

    Il lavoro in campo penale fu da Matteotti ripreso in forza della sorte toccatagli negli anni di guerra (una specie di confino militare dovuto alla sua attività pacifista ed antimilitarista), oltre che nell'immediato dopoguerra prima d'essere eletto deputato. Fu il biennio 1917-1919, dopo del quale la sua partecipazione agli studi penalistici, nonostante gli incoraggiamenti che riceveva anche da altri rinomati maestri, come Eugenio Florian e Luigi Lucchini dovette completamente cessare.

    E' l'epoca in cui scrive una lettera alla moglie lamentando di non avere "dieci vite". Tuttavia la forzata cessazione non avvenne per gli studi in generale, poiché si dette a quelli più legati alla sua attività politica, e cioè a quelli di economia politica e di scienza delle finanze.

    Comunque i suoi scritti di diritto e procedura penale attestano le sue doti di giurista e lasciano pensare che se avesse continuato egli avrebbe potuto diventare professore universitario nella materia che più lo aveva appassionato nei suoi più giovani anni.

    Né Matteotti tornerà più indietro in questa rinuncia, nonostante avesse dedicato anni di studio per preparare un autentico trattato sulla Cassazione penale di cui era arrivato a gettar giù i primi capitoli l'indomani delle elezioni del 1924 gli scrive una cortese lettera (a cui l'autore farà cenno in uno scritto commemorativo del 1924 sulla Rivista penale da lui diretta) l'alto magistrato e senatore del Regno, professore Luigi Lucchini, in politica liberale ed anzi conservatore, per sollecitarlo a riprendere l'impegno scientifico ,in vista anche della libera docenza. E Matteotti, il 10 maggio, un mese prima della terribile morte, così gli rispondeva: "Illustre Professore, trovo qui la Sua lettera gentile e non so come ringraziarla delle espressioni a mio riguardo. Purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la convinzione, ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono secondo me i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna. Ma quando io potrò dedicare ancora qualche tempo agli studi prediletti, ricorderò sempre la profferta e l'atto cortese che dal maestro mi sono venuti nei momenti più difficili. Con profonda osservanza, dev.mo Giacomo Matteotti" La data - mi scuso di ripeterlo - è il 10 maggio 1924.

    Su Matteotti promotore ed organizzatore di leghe di lavoratori non è qui possibile soffermarsi. Occorrerebbe attingere con il dovuto approfondimento alle opere sulle lotte agrarie nella valle padana nei primi decenni del secolo scorso. Basterà ricordare che fu una lotta intensa, coraggiosa, pericolosa, ma non priva di successi. I braccianti del delta padano ottennero, per l'intervento di Matteotti, il riconoscimento delle loro leghe come rappresentanti sindacali del bracciantato per il collocamento dei lavoratori e per l'impossibilità della mano d'opera. La lotta continuò tuttavia asperrima e l'impegno di Giacomo Matteotti si rinnovò più volte fino alla sua tragica fine. Arduo è anche il parlare in modo appena adeguato di Matteotti amministratore provinciale e comunale, tanto ricca, penetrante ed assidua, tanto ricca, penetrante ed assidua fu per circa dieci anni questa sua attività. Di tutto si occupava e tutto vedeva e - quel che più conta - con competenza autentica. Aiutava gli amministratori socialisti dei comuni nella corretta redazione dei bilanci, sino a incontrare le critiche dei "rivoluzionari", che lo attaccavano dicendo che così operando si aiutava lo Stato borghese.

Nei tre volumi dei suoi "Discorsi parlamentari" che nell'anno 1970 la camera dei Deputati, presieduta allora da Sandro Pertini, volle pubblicare, nel volume terzo, accanto ai discorsi e agli altri interventi dei cinque anni in cui Matteotti fu deputato, furono inclusi - fatto non consueto per quella collana di pubblicazioni - una serie di discorsi da lui tenuti quale consigliere provinciale di Rovigo tra il 1910 e il 1916, anno in cui fu chiamato sotto le armi come soldato. Quella della Camera fu una iniziativa sana, integrata del resto con altri importanti documenti, perché collegata con i numerosi discorsi tenuti alla Camera stessa nelle materie concernenti gli enti locali e anche per dare un'idea della reale dimensione dell'uomo e del suo impegno. Ed inoltre gli argomenti dei discorsi di Rovigo si intersecano in più punti con quelli di Roma, e viceversa; così nella materia delle elezioni locali, della finanza locale, della situazione scolastica, della sanità, dell'agricoltura, dei trasporti, della viabilità. Dominarono in tutti - a parte quelli sulle elezioni - le preoccupazioni per la spesa pubblica e una costante vigilanza per impedire spese giudicate inutili o che potrebbero essere meglio avviate verso direzioni diverse di quelle proposte dalla Deputazione. L'oratore si occupa dei minuti bisogni quotidiani delle popolazioni e dimostra di conoscerli a fondo. Una delle preoccupazioni ricorrenti è quella delle comunicazioni tranviarie. Diligentissimo fu poi sempre da parte sua l'esame dei conti consuntivi e dei bilanci di previsione della provincia. Matteotti, nella maggioranza o all'opposizione, è sempre indipendente, ma la pertinenza e puntualità dei suoi interventi preoccupano il prefetto di Rovigo, che sin dal 1913 teme una troppo forte avanzata elettorale dei socialisti, quale poi nel 1914 si verificherà. Con l'avvicinarsi dell'entrata dell'Italia in guerra la polemica si acuisce anche sugli aspetti dell'assistenza, della disoccupazione, della miseria del Polesine, Fino a che nel 1916, il 5 giugno, Matteotti pronuncia, traendo spunto da una delibera in favore dell'assistenza ai profughi vicentini dopo la Strafexpedition austriaca, un duro discorso contro la guerra. Pur aderendo alla progettata assistenza, egli sottolinea che ciò non significa adesione ad una guerra infausta e pronuncia espressioni in relazione alle quali viene imputato per il reato di grida e manifestazioni sediziose e condannato dal Pretore di Rovigo nel luglio successivo. La sentenza del Pretore verrà confermata dal Tribunale nel 1917 e tuttavia prontamente annullata senza rinvio dalla Cassazione in nome dell'insindacabilità dei discorsi dei consiglieri provinciali, Ma nel frattempo, subito dopo la sentenza del Pretore, l'autorità militare aveva provveduto alla chiamata alle armi del consigliere provinciale dottor Matteotti e al suo trasferimento in zone lontane da quelle di guerra per la sua figura di "pervicace violento agitatore, capace di nuocere in ogni occasione agli interessi nazionali" e assolutamente pericoloso. La sede definitiva fu Messina (a Campo Inglese poco a nord della città e poi in altri forti della zona); e a questo periodo della sua vita, da lui giorno per giorno descritto nelle lettere alla moglie, ho già accennato a proposito dei suoi studi penalistici, che in quei singolari frangenti potettero essere compiuti. Il periodo messinese fu interrotto per due mesi nel 1917 per frequentare il corso allievi ufficiali a Torino, dal quale Matteotti fu pure allontanato, con conseguente ritorno, fino alla fine della guerra, in Sicilia. Quando tornerà in Polesine si impegnerà ancora nel lavoro delle leghe e dei comuni, e (già deputato dall'anno precedente) sarà rieletto consigliere provinciale in nelle elezioni del 1920, quando su 40 seggi di quel consiglio i socialisti ne ebbero 38, e il Polesine fu dichiarato la provincia più rossa d'Italia. Traggo queste brevi note su Matteotti amministratore provinciale da una lettura dei menzionati volumi della Camera dei Deputati del 1970. Difetta il tempo per parlare della prodigiosa attività di Matteotti nei consigli comunali, improntata alla difesa degli stessi principi e alla tutela degli stessi interessi. Le tre importanti mostre recentemente inaugurate a Firenze, a Milano e a Roma contengono vari segni e ricordi di detta attività. E' solo da notare che Matteotti rivendicò (antesignano in questo di abitudini largamente invalse più tardi) il diritto dei consiglieri di parlare - sia pure in connessione con le questioni locali e attuali - anche di questioni generali, come quelle attinenti ai diritti. Sin dall'ottobre 1912 lamentò violazioni del diritto di riunione e, nell'occasione di un capitolato relativo all'esecuzione di lavori di impianto, sostenne la netta separazione tra forza maggiore e diritto di sciopero come causa di esenzione delle imprese da gravi responsabilità. Ancora, sempre in polemica con il prefetto, rivendicò ed esercitò il diritto di parlare su conflitti tra capitale e lavoro che avevano portato alla morte e al ferimento di lavoratori. Non mi è davvero possibile soffermarmi oltre su quei sei anni (1910-1916) di attività amministrativa che fu anche sommamente politica, fatta di scontri anche all'interno del partito e di polemiche aspre ed importanti. Basti pensare che si trattò degli anni dell'impresa di Libia e dell'espulsione dei "riformisti" Bissolati, Bonomi, Badaloni, Podrecca, Cabrini ed altri e dei contrasti tra i cosiddetti transigenti e gli intransigenti.

(1/3 - Continua)

 

Vai al video sull’assassinio Matteotti sul sito de La Storia siamo noi (finché c’è).