FONDAZIONE NENNI
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Tutti i cittadini hanno il diritto al lavoro e la Repubblica ha
il compito di rendere effettivo questo diritto costituzionale
di Cesare Salvi
Il decreto Ilva è stato contestato sul piano della legittimità costituzionale da esponenti di Confindustria e del centrodestra (Brunetta, Sacconi). La tesi avanzata è che il decreto violerebbe le garanzie costituzionali della proprietà e della libertà di iniziativa economica. Si prospetta di sollevare la questione in sede di esame parlamentare. La vicenda è emblematica, al di là del merito del decreto. Si fronteggiano infatti due concezioni dei principi fondamentali della nostra Costituzione economica.
Fino a non molto tempo fa, questa controversia sarebbe stata impensabile. La Costituzione, infatti, prevede espressamente che la libera iniziativa economica privata non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art.41); nonché il principio della funzione sociale della proprietà privata, che attribuisce alla legge il compito di determinarne i “modi di godimento e i limiti” (art.42). Ma l’attacco contro questi principi è in corso da tempo.
Del resto, il centro destra ha presentato nella passata legislatura disegni di legge costituzionali per eliminarli e le corti di giustizia europee ripropongono il primato della libertà economica e dei diritti proprietari. E le idee liberiste rischiano di diventare senso comune.
Basti pensare che la questione Ilva è stata fin qui presentata come un conflitto tra tutela del lavoro e tutela della salute e dell’ambiente; laddove il vero conflitto è fra la libertà economica, da un lato, e dall’altro, appunto, i diritti dei lavoratori e dei cittadini. E questo conflitto è previsto e risolto in via di principio, a favore dei secondi, dalle norme costituzionali prima ricordate.
Tali norme si collegano ai principi fondamentali contenuti all’inizio della Costituzione: l’eguaglianza sostanziale, il diritto al lavoro, la tutela della salute come diritto del cittadino e interesse collettivo.
Sono questi principi, di straordinaria attualità nell’Italia e nel mondo di oggi, che inducono molti a dire la tanto criticata frase per la quale “la Costituzione italiana è la più bella del mondo”. Ma sarebbe sbagliato chiudersi in una sorta di concorso di bellezza nella nostra Carta fondamentale.
Anche la costituzione di Weimar era molto bella e ha fatto la fine che ha fatto. Il problema è se quei principi vengono presi sul serio, se ci crediamo ancora. Non solo l’Ilva: Indesit, Terni, gli oltre 500.000 licenziati nell’industria (anche se si preferisce dire “esuberi”), quello che è emerso nel processo Eternit: tutto ciò ci dice che quelle norme costituzionali è come se non esistessero.
Si discuta dunque degli aggiornamenti ritenuti necessari per la seconda parte della Costituzione; ma intanto si operi per l’attuazione della prima parte. A cominciare dalle norme che riconoscono a tutti i cittadini il diritto al lavoro e attribuiscono alla Repubblica il compito di promuovere le condizioni che rendano effettivo, e al lavoratore il diritto a una retribuzione sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa. Libertà, dignità, diritto al lavoro.
Se non si riparte da questi principi, è difficile pensare a un futuro migliore per l’Italia.