Per ricordare il segretario socialista Giacomo Matteotti assassinato dai sicari fascisti il 10 giugno del 1924 abbiamo ripreso il discorso tenuto da Giuliano Vassalli nel 2004 di fronte alla Camera dei Deputati. Le prime due parti del discorso di Vassalli sono apparse sull’ADL del 5 e del 12 giugno. In questo capitolo, terzo e conclusivo, viene focalizzata l’intensa attività parlamentare e di guida politica del leader socialista.
di Giuliano Vassalli
Altre pagine di profondo chiarimento sono quelle dedicate ai rapporti tra partito socialista e Nazione. Vorrei qui una breve parentesi per ricordare che in una delle lettere a Velia, del novembre 1918. Matteotti scrive dell'amor di patria, che deve servire per farlo diventare migliore, non per esaltarlo anche nel male o per dimenticare o sottoporre le altre". Tornando al manifesto contenente le direttive per il PSU, Matteotti scrive: "La nazione è una realtà geografica e vivente, entro cui tutti viviamo e cresciamo". Fingere di ignorarla o di essere indifferenti alle sue sorti, sarebbe come dire che ci è indifferente che il proletariato viva in un paese a sviluppo capitalistico o nel centro dell'Africa; abbia cioè o non abbia le condizioni prime del suo domani socialista ...Anche in una guerra, in una crisi conseguente ad una politica di cui non è nostra la responsabilità, noi siamo legati alle sorti della Nazione. Né vale il dire che poiché d'altri è la colpa, altri pensi a risolvere la crisi: la colpa è di altri, ma le conseguenze sono di tutti, sono anche nostre, e ricadono più spesso sulle spalle del proletariato". A questo punto la relazione di Matteotti tratta anche della necessità di non cadere nella doppia schiavitù del capitalismo nazionale e del capitalismo dello Stato invasore. Il riferimento è esplicito alla occupazione franco-belga del distretto della Ruhr (iniziatasi proprio nel gennaio 1923), tema sul quale Matteotti ripetutamente intervenne con una serie di articoli nel quotidiano "La Giustizia" e con un apposito studio di taglio scientifico intorno al problema delle riparazioni di guerra.
Non è possibile che io mi soffermi sugli altri capitoli della relazione, dedicati all'internazionalismo socialista, e alla sua correlazione perfetta con l'amore dei socialisti italiani per il proprio paese, alla posizione dei socialisti unitari nei confronti dello Stato e della legge, nei confronti dei Comuni, dell'organizzazione operaia e della sua libertà, dell'interesse alla produzione, della cultura popolare. Non posso però fare a meno di ricordare che in quell'aureo manifesto progressista si postula testualmente l'avvento degli Stati Uniti d'Europa "che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli Stati turbolenti e rivali".
Questi fu Matteotti segretario di partito, apostolo di verità e di ragione; che tuttavia non agiva solo attraverso relazioni o manifesti, ma era sempre presente nelle sezioni, accanto ai suoi compagni anche quando non era possibile tenere comizi o assemblee, esempio tenace di coraggio e di fede. Le mostre commemorative che si sono svolte in questa primavera a Firenze, a Roma, a Milano e altrove hanno potuto raccogliere documenti e fotografie molto significativi di questi momenti, sottratti alle distruzioni ordinate ed eseguite per ogni dove dai fascisti, che avevano ben presto individuato in lui il più pericoloso, il più intelligente, il più coerente dei loro avversari. Resta da dire del Matteotti parlamentare, subito segnalatosi per cultura per impegno sin dall'inizio della XXVma legislatura del regno. Ritorno così ai volumi dei suoi discorsi, organizzati e pubblicati dalla Camera dei Deputati nel 1970 e a quanto ha con tanta pertinenza ricordato il presidente della Camera.
Sin dall'inizio l'attività di Matteotti alla Camera fu incessante. Ricorda Schiavi nella biografia più sopra citata che egli, "analizzatore e documentatore", passava ore ed ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre fondato sulle cose". La sua competenza, la sua prontezza, la sua preparazione, la sua versatilità, l'efficacia del suo eloquio fecero subito riconoscere in lui un parlamentare di spicco, sì che spesso, pure appartenendo egli alla minoranza del partito (siamo prima della scissione di Livorno) veniva incaricato di parlare a nome del gruppo parlamentare socialista. Come sottolineava Mauro Ferri in un suo studio su "Matteotti in parlamento", a neanche un mese dall'inizio della XXV^ legislatura, il 21 dicembre 1919 , in sede di legge di proroga dell'esercizio provvisorio, egli prende la parola per denunciare l'incapacità del governo Nitti a riparare "alla falla creata nel bilancio italiano dalle spese di guerra, nonché ad attuare una politica tributaria che colpisca il capitale e gli arricchimenti di guerra".
"I vostri provvedimenti finanziari - egli dirà - rispecchiano ancora la politica di classe della borghesia". Alcune Sue frasi suscitano subito l'intolleranza di altri settori, a cominciare da quelli del partito popolare. Ma egli riprenderà i discorsi contro il governo Nitti nel marzo 1920, insistendo contro provvedimenti finanziari che "tendono a scaricare sui lavoratori i pesi della guerra" e a salvaguardare i sovraprofitti della guerra stessa. Anche qui si hanno varie interruzioni nei confronti dell'oratore. da parte di Schanzer, di Giolitti e dello stesso Nitti. Matteotti accusa il governo di voler lasciare che si restauri la situazione dei lavoratori d'anteguerra quando le loro condizioni erano assolutamente insufficienti anche ai minimi bisogni della vita. Correda il suo discorso di dati e di ragionamenti di economia e di finanza, materie nelle quali, anche come componente della Giunta generale sul bilancio e della Commissione finanze e tesoro, gli divengono ogni giorno più familiari.
Un altro campo prediletto dei suoi interventi è quello delle materie elettorali: congegno della proporzionale nei comuni, abolizione del diritto elettorale per censo e diritto ad un solo voto, eliminazione di cause di ineleggibilità e incompatibilità, riforma generale della legge elettorale amministrativa. Vivacissimo lo scontro nel giugno 1920 al momento della presentazione del quinto ministero presieduto dall'on. Giolitti, al quale Matteotti nega l'esercizio provvisorio, ironizzando anche sulle qualità miracolistiche attribuite al vecchio uomo di Stato. Dichiara che il partito socialista non teme nuove elezioni politiche, forte come è diventato e come vuol rimanere.
Ricca di martellanti interventi sui temi più vari è l'estate 1920, nella quale anche per l'impulso di Giolitti, la Camera lavora a ritmi serrati. Agli interventi sui temi in discussione si alterneranno interrogazioni su temi relativi alla politica estera, alle tasse, allo stato (definito vergognoso) dell'istruzione pubblica elementare. In occasione dell'approvazione del Trattato di St. Germain, Matteotti è il portavoce della posizione del Gruppo socialista in favore dell'autonomia della provincia di Bolzano. Nel dicembre 1920 e nei primi mesi del '21 v'è la intensa discussione, in molte sedute, sul prezzo politico del pane e la sua copertura con una imposta straordinaria sul patrimonio: gli interventi di Matteotti primeggiano. Ma intanto v'è l'avanzata delle violenze fasciste (già a metà del 1920) e questo comincia a diventare, negli appassionati discorsi di Matteotti, deputato di Rovigo e dell'Emilia, il tema dolorosamente dominante. Sul futuro le previsioni del deputato socialista sono allarmate ed esprimono l'esasperazione dei lavoratori, mentre Giolitti continua ad assicurare l'imparziale applicazione della legge.
La Camera viene sciolta anticipatamente il 7 aprile e durante le nuove elezioni Matteotti è sempre più impegnato a difendere Ferrara ed il Polesine dalle violenze armate dei fascisti. Per la XXVI^ legislatura il collegio di Matteotti era Padova-Rovigo, tutto nel Veneto, e così sarà per la XXVII^.
I deputati socialisti erano scesi da 156 a 123 (esclusi ovviamente dal conteggio i 15 deputati comunisti),mentre il cosiddetto blocco nazionale aumentava di 15 seggi. La novità saliente era data dai 35 deputati fascisti, con a capo Mussolini. Ma il fatto è che la situazione italiana in generale diventa sempre più drammatica. Matteotti attacca ripetutamente il Governo Bonomi per la sua politica fiscale e la sua tolleranza verso la violenza squadrista, industriali, agrari e borghesia per le loro connivenze con il fascismo e denuncia la vita ormai divenuta insostenibile nella provincia di Rovigo a causa di omicidi letteralmente mostruosi e del connesso stato di terrore. La seduta del 12 dicembre 1921 sulle mozioni socialiste seguite al fallito tentativo del "patto di pacificazione" e sulle spedizioni punitive è tesissima. E la stessa cosa deve dirsi per il discorso del 20 maggio e per quello del 13 giugno 1922, tenuti da Matteotti con il consueto vigore.
Tuttavia per tutta la seconda metà del 1921 e per tutto il 1922 continuerà, anche da parte di Matteotti, l'attività parlamentare per dir così ordinaria. Il 16 dicembre 1921 Matteotti interviene una nuova volta sul disegno di legge per la proroga dell'esercizio provvisorio degli stati di previsione dell'entrata e della spese chiesta dal Ministero del Tesoro, onorevole De Nava, ed è questa un'altra occasione per una completa quanto polemica disamina della politica economica e finanziaria. Certamente anche a questo intervento, oltre che alle relazioni ed agli interventi sul bilancio dello Stato (e segnatamente alla relazione sullo stato di previsione dell'entrata per l'esercizio finanziario 1922-1923 presentata da Matteotti 1l 10 agosto 1922), definita documento di "sapienza legislativa") si riferiva l'insigne economista Achille Loria quando scriveva che pochi altri nel Parlamento avevano la competenza e il possesso di quelle materie propri di Matteotti che molti altri Parlamenti stranieri ce lo avrebbero potuto invidiare.
Nel marzo 1922 Matteotti intervenne sul bilancio del Ministero dell'Interno, soffermandosi con grande competenza sulla situazione carceraria (era in corso il passaggio di competenze dall'Interno alla Giustizia), sulle spese per la sicurezza pubblica, sulle spese di beneficenza, sulle imposte degli enti locali e la loro ripartizione, sulle quote di sovrimposta (in relazione alle quali rifece i calcoli di amministratori e di professori, dimostrando che erano errati), sulla insufficienza delle spese per l'istruzione e su altro ancora. Seguiranno, nei mesi successivi, altri interventi sulle amministrazioni locali, sulle indennità a ufficiali e sottufficiali, sui dazi sul grano, sulle procedure di riscossione delle imposte dirette, sul bilancio del ministero della pubblica istruzione, sulle modifiche al regolamento della Camera, sul consorzio zolfifero siciliano, sugli stipendi e mercedi degli impiegati e salariati dello Stato. E così sarà nel corso del 1923, nonostante la tensione con il partito fascista ormai al Governo e il continuo aggravarsi delle violenze, con relative denunce. Tuttavia l'attività parlamentare in genere fu ben più ridotta che nel recente passato perché Matteotti era ormai molto impegnato come segretario del partito, nel quale doveva provvedere a tutto o quasi tutto, lavorando come segretario in un bugigattolo di piazza di Spagna, dove la direzione del partito aveva dovuto rifugiarsi avendole i padroni di altre case chiuso le porte per timore di una invasione delle camice nere; un locale sprovveduto di riscaldamento dove Matteotti con il soprabito sulle spalle per il freddo, scriveva tuttavia messaggi, direttive, missive con i partiti socialisti europei, articoli per il quotidiano "La giustizia". Egli percorreva inoltre la penisola, tutti spronando a maggiore attività e maggiore coraggio, e in ogni caso per contenere le tendenze sindacal-collaborazioniste o accomodanti. E' del novembre 1923 il suo opuscolo (di cento pagine) "Un anno di dominazione fascista", che malgrado il sequestro del quale era stato colpito egli cercò di diffondere in tutta Italia. Si arrivò così alle elezioni dell'aprile 1924, che segnarono una ulteriore avanzata fascista (Mussolini era ormai al potere da un anno e mezzo) e una débacle socialista: i deputati del partito socialista unitario risultarono in tutto 24 e meno ancora (22) furono quelli del partito socialista massimalista.
Matteotti (che era stato eletto sia nel Veneto che nel Lazio) aveva raccolto dalle sezioni del partito notizie varie, concernenti molte parti d'Italia, sul clima di sopraffazione, di minacce, di violenze nel quale le elezioni politiche si erano volte; e teneva detto materiale su di sé. Il 30 maggio, alla Camera, il presidente neoeletto, Alfredo Rocco (Antonio Casanova nelle varie edizioni del suo bellissimo libro ha scritto "un po' per inesperienza un po' per mettere in atto un sistema sbrigativo voluto da Mussolini presente al banco del Governo") ricevuta dalla Giunta delle elezioni la relazione di convalida in blocco di tutti gli eletti della maggioranza, ne mise ai voti l'accoglimento dopo aver letto velocemente i nomi dei convalidandi. Le opposizioni furono colte alla sprovvista perché nessuno si attendeva che quel giorno si dovesse decidere sulla convalida e in quel modo. L'onorevole Enrico Presutti, del gruppo di Giovanni Amendola, si alzò e cercò di dimostrare, tra urla e interruzioni, l'assurdità della procedura e propose la sospensione ed il rinvio ad altra seduta. Farinacci replicò per respingere la richiesta e Modigliani parlò efficacemente per appoggiarla e perché si chiedesse alla Giunta una relazione scritta. Perduta ovviamente la battaglia procedurale, si poteva aprire la discussione su eventuali contestazioni, ma nessuno era pronto. Matteotti si alzò e domandò di parlare. Chiarì subito, con argomenti d'ordine procedurale e parlamentare assai validi, quello che chiedeva, e cioè la contestazione in blocco della validità della elezione della maggioranza ed il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. Tra intemperanze e urla di ogni specie prese a trattare degli episodi di violenza, che non permettevano di parlare d'elezioni valide. "Vi è - disse - una milizia armata, composta di cittadini d'un solo partito, la quale ha il compito di dichiarare di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse". A causa delle incessanti interruzioni ed ingiurie l'intervento di Matteotti durò un'ora e mezza. Rocco, che aveva capito l'aria che spirava, invitò a un certo punto Matteotti a parlare prudentemente. Matteotti replicò testualmente che chiedeva di parlare non prudentemente né imprudentemente, ma parlamentarmente. E continuò a narrare dei contadini e degli altri cittadini minacciati, di coloro che non avevano potuto accettare la candidatura perché "sapevano che accettarla significava non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese per emigrare all'estero", dei candidati bastonati anche se parlamentari (ricordiamo che egli stesso era stato vittima di ripetute selvagge aggressioni sin dal 1921), dell'impossibilità che si era verificata di avere rappresentanti di lista al seggio tranne che se appartenenti al partito fascista, e ciò nel 90% dei seggi. Terminato che ebbe di parlare - narra Alessandro Schiavi nel suo volume - l'onorevole Giovanni Cosattini del partito unitario avvicinò l'oratore per congratularsi del suo coraggio e stringendogli la mano. E Matteotti rispose prontamente al collega: "Però voi adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre". (La mai età mi consente di dirvi che ho avuto l'onore di conoscere, nella sua età matura, l'onorevole Giovanni Cosattini, deputato alla Costituente e senatore della prima legislatura repubblicana: e suo figlio Luigi, mio collega universitario, professore di diritto civile, ufficiale di complemento, fucilato dai nazisti. Mi sembra di rivederli entrambi...).
Naturalmente la proposta di rinvio degli atti alla Giunta delle elezioni presentata formalmente con le firme di Labriola, Matteotti e Presutti e messa ai voti per appello nominale, fu respinta. 258 "no", 57 "sì" e 42 astenuti su 384 presenti e votanti. Dopo il 30 maggio Matteotti si recò altre volte a Monte Citorio, dove del resto stava andando alle 16,30 del 10 giugno, uscendo dalla sua abitazione di Via Pisanelli 40, a pochi passi dal Lungotevere Arnaldo da Brescia, quando fu aggredito, sequestrato e rapito. In particolare partecipò anche ad una seduta del 4 giugno, avendo ivi uno scambio di dure parole con Mussolini, che dal banco del Governo aveva protestato anche per i troppo frequenti accenni che si solevan fare sui suoi trascorsi socialisti e antimilitaristi di dieci anni prima. Ma la condanna a morte di Matteotti era già stata decretata dopo l'intervento del 30 maggio.
Signor Presidente della Camera, il mio intervento, già troppo lungo, termina qui. Non parlerò né delle coltellate mortali inferte in auto al deputato rapito che si dibatteva per sfuggire ai sicari, ne della fuga degli assassini per le campagne a nord di Roma, né del rinvenimento dei miseri resti del Martire soltanto nell'agosto successivo, nella macchia della Quartarella presso Riano Flaminio; né delle ipotesi sui mandanti né dei processi (dall'istruttoria di Roma al giudizio d'assise svoltosi in Chieti e al nuovo giudizio del dopoguerra) né della commemorazione tenuta da Filippo Turati il 27 giugno 1924 in una sala di questo palazzo - e non nell'Aula dove ormai i deputati che avevano deciso l'Aventino più non rientravano; né del viaggio della salma verso Fratta Polesine e della dignitosissima lettera scritta prima di tale trasporto al ministro dell'Interno Federzoni da Velia Matteotti (una donna straordinaria, il cui dolore ebbe termine con la prematura morte, a 48 anni di età, nel 1938); né delle silenziose esequie in Fratta il 21 agosto 1924 né degli oltraggi postumi né del mito creatosi in ogni parte d'Italia e del mondo intorno alla figura del martire, assurto per ogni dove a simbolo di libertà. Nostro compito, in questa sede, era solo quello di ricordare un deputato esemplare, per diligenza, per competenza, per impegno, per combattività, per fede indomita nella libertà e nella giustizia. Un deputato che ha onorato di fronte al mondo l'istituzione parlamentare e l'Italia.
(3/3 – Fine)