di Cesare Salvi
Tra qualche mese la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sugli aspetti della legge elettorale sui quali la Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità. Essi riguardano, com'è noto, da un lato le modalità per l'attribuzione del premio di maggioranza (considerato eccessivo per la Camera, irrazionale per il Senato) e dall'altro le liste bloccate che, secondo la Cassazione, impediscono agli elettori un effettivo potere di scelta dei parlamentari. La Corte costituzionale aveva in precedenza, in due ordinanze in tema di referendum elettorali, già sollevato dubbi sulla legittimità di tali norme, dubbi ribaditi dal suo Presidente Franco Gallo in una recente conferenza stampa.
Se il parlamento non interverrà prima, è quindi probabile che il giudizio della Consulta sarà di accoglimento. Ma con quali effetti? Il problema si pone perché la Corte costituzionale ha in passato affermato, in sede di esame dei quesiti referendari, che non è ammissibile una fase nella quale vi sia assenza di una legge elettorale operativa. A questo punto è possibile quindi prevedere che la Corte avrà due opzioni: la prima è quella di dichiarare interamente incostituzionale la legge vigente, affermando nel contempo la reviviscenza della legge Mattarella. Secondo alcuni giuristi, infatti, questo risultato, che non potrebbe essere realizzato per via referendaria, sarebbe invece possibile con una sentenza della Corte. La seconda opzione è quella di una sentenza che dichiari incostituzionale solo una parte della legge, lasciandola vivere per il resto. Ciò probabilmente dovrebbe riguardare l'attribuzione dei premi e le correlate soglie di sbarramento (che oggi sono differenziate perché legate al premio). Se fosse seguita questa strada, la nostra legge elettorale diventerebbe simile a quella tedesca: proporzionale con sbarramento.
Nel frattempo, la non più strana maggioranza sta discutendo di una legge che elimini i principali difetti di quella attuale, in attesa della più o meno probabile conclusione dell'iter dell'ipotizzata "grande riforma" costituzionale.
Si tratterebbe di una legge provvisoria, "di salvaguardia", com'è stato detto.
Ma anche se si vuole seguire questa strada, occorre avere anzitutto chiaro l'obiettivo che si intende perseguire. Se si ritiene che si debba rivitalizzare il bipolarismo, occorre innestare sulla legge attuale il doppio turno. In altri termini, se al primo turno nessuna coalizione ha avuto la maggioranza assoluta, si procederebbe a un secondo turno fra le due coalizioni più votate. A questo punto, la coalizione vincente al ballottaggio avrebbe ovviamente una percentuale di voti superiore al 50%, e quindi l'attribuzione del premio non sarebbe più ingiustificata. L'altra soluzione è di eliminare il premio di maggioranza o assegnarlo solo sulla base di un consenso molto elevato. Si avrebbe un sistema di tipo tedesco, che comporterebbe, nell'attuale configurazione del sistema politico italiano, l'elevata probabilità di un governo di coalizione dopo il voto.
Restano aperte due questioni. La prima è quella dell'eliminazione dei listoni bloccati, con la preferenza o con liste più corte e il divieto di pluricandidature. Il secondo problema è più complesso, e riguarda il bicameralismo. Se si adotta un impianto proporzionale, la possibilità di esiti differenti nei due rami del Parlamento permane (se non altro per la differenza di età nell'elettorato attivo), ma certamente sarebbe meno rilevante.
Per l'altro sistema ipotizzato (il doppio turno di coalizione) è invece difficile e forse impossibile, a Costituzione invariata, assicurare un esito conforme per Camera e Senato.
Queste considerazioni inducono a una riflessione conclusiva. Invece di perseguire il macchinoso meccanismo ventilato per le riforme costituzionali, e che ha già sollevato serie critiche, non sarebbe preferibile concentrarsi subito su una "buona" legge elettorale, e limitarsi per la Costituzione a un intervento secondo le ordinarie procedure dell'art. 138 sui due punti (la riforma del Senato e la riduzione del numero dei parlamentari) sui quali consente ogni persona di buon senso, e rinviare a tempi auspicabilmente migliori, e quindi alla prossima legislatura, più ambiziosi progetti di riforma?