Sul fermento nel campo vasto del socialismo italiano
di Paolo Bagnoli
Non è poco il fermento nel campo vasto del socialismo italiano; la diaspora dopo la fine del Psi, cui fa seguito il travaglio seguito alla vicenda complessiva della sinistra italiana, fatta naturalmente eccezione per coloro che hanno scelto di stare a destra, non ha significato dispersione e nemmeno negazione della possibilità di un reincontro in una qualche maniera strutturato anche se ciò non significa pensare di far rinascere il Psi finito nel naufragio del craxismo.
Non è finito il socialismo; né i suoi valori, né, tantomeno, il portato di una presenza storica fondamentale e incancellabile nella storia italiana: culturalmente, civilmente, socialmente, politicamente. Da tempo tale spazio, vitale per la democrazia e la sinistra italiana, non è adeguatamente interpretato, soggettivizzato e politicamente interlocutore della vicenda italiana. I socialisti che non sono andati a destra – e non ci riferiamo solo a coloro a suo tempo militanti nel Psi ma anche a quelli che, nel post Psi, hanno maturato una scelta socialista – da tempo oramai si vanno, in varie forme e modi, incontrando, discutendo, interrogandosi su un futuro che non riguarda le loro possibili nascoste intenzioni di personalismo politico, ma il modo in cui restituire quella dignità di ruolo, organizzazione e interlocuzione politica che spetta al socialismo nel contesto della crisi aspra della democrazia italiana. È alla rinascita del socialismo che si collega l’opzione possibile di rinascita della sinistra italiana; di un soggetto concretamente ancorato a valori di ragione e funzione storica.
Esiste una vitalità che fa molta fatica a emergere e comporre un canone di intenzione politica comune. Essa, in più, non è sicuramente favorita dal fatto che non pochi compagni militino in diversi partiti del centro-sinistra, svincolati da una comune appartenenza partitica. E’ una constatazione che non vuole essere critica di libere scelte; il problema è se si considera la questione di cui sopra nell’ottica del proprio pensarsi autonomamente oppure in quella di far sì che si ritenga che essa possa essere avviata a soluzione, basti che questo o quel partito marci, come qualche autorevole compagno ha auspicato, verso un “orientamento” socialista. E’ quasi banale controbattere che il socialismo non è un “orientamento”, ma una scelta identitaria piantata nella storia e nelle lotte del Paese e se l’orientamento può essere assolto dallo stringere rapporti con sigle socialiste sovranazionali, per esempio il Pse, ciò è certo rilevante, ma non dirimente poiché il tutto continua a rimanere aperto.
Bisogna anche dire che, tra le tante drammatiche irrisolutezze e difficoltà della nostra democrazia, ve ne è una che può apparire tutta concettuale mentre è genuinamente politica. Essa consiste nel considerare come sinistra quella parte che si oppone alla destra. Non è così. Chi si oppone alla destra è, o dovrebbe essere, un “progressista”. Chi è progressista oggi in Italia? Sul partito di Monti avremmo qualche riserva e sul movimento di Grillo qualcosa di più. Dopodiché, certo, chi si oppone alla destra è, in quanto tale, un alleato possibile per la sinistra. Ma definire “di sinistra” il Pd tutto quanto è cosa che nemmeno i democrat sostengono. Mentre Sel è senza dubbio una forza di sinistra, pur se talora pare modularsi più in funzione delle dinamiche interne al Pd che non di una ricomposizione della sinistra italiana.
Parimenti, scommettere sui giochi di ruolo interni al Pd affinché si sposti un po’ più a sinistra, ci sembra inutile e non certo perché gradiremmo un Pd più a sinistra, ma in quanto la logica di quel partito non gli permette di andare oltre la frontiera del “progressismo”.
Siamo, insomma, dentro una fase che è non solo di transizione, ma di sbandamento, e però anche di ricerca. E siamo convinti che dai socialisti, “volgo disperso” che partito non ha, ci si aspetta che un colpo venga battuto.
Ora, affinché tale colpo si senta, occorre che qualcuno ritenga di avere la soluzione in tasca e, quindi, cerchi di imporre la propria idea; e occorre che si ricompongano le basi culturali della ragione socialista in un’ottica non solo “culturale”, bensì politica e, quindi, nelle condizioni di cercare di interloquire pensandosi autonomamente rispetto al quadro complessivo del centro-sinistra, della stessa Sel e pure del Psi, oggi ovattato nelle pieghe del Pd.
Ciò detto, che fare? Come sappiamo bene non esistono soluzioni tecniche che risolvano quelle politiche. Per cui non sarebbe possibile pensare di procedere con un passo di nuovo partitismo e non per la logica frusta del nuovo “partitino” – anche Sel è un partitino e del Psi non se ne parla.
Un soggetto politico, grande o piccolo che sia, è tale se vi sono ragioni identitarie che lo rendono non uno strumento politicista di un dato momento della vicenda politica, ma espressione di un disegno che coinvolge la storia, le idee, la concezione del mondo e dello Stato in rapporto a un blocco sociale che vuole rappresentanza. Inoltre, per incidere nel presente e sperare nella costruzione di un futuro più giusto e migliore, occorre non avere la scarlattina del “governismo”, rifuggendo dalla logica, fortemente insediatasi nell’Italia del bipolarismo, che riduce la politica al governo.
E’ evidente che ogni operazione tesa a ricompattare, in qualche modo, il disperso mondo socialista richiede chiarezza e serietà d’intenti. Chi scrive ritiene che sui debba compiere ogni sforzo in siffatta direzione pur non nascondendoci la complessità dell’impostazione e del procedere. Certo è che, stare in attesa di iniziative altrui è sicuramente legittimo, ma altro rispetto a ciò di cui parliamo; infatti, una cosa è se si determina una “interlocuzione” socialista interna al Pd o a Sel – cosa finora non avvenuta e non crediamo per dimenticanza di qualcuno – altro è disporre di una forma soggettiva che, cosciente di se stessa, pone al Pd il perché non riesce a essere il pilastro vincente dell’Italia che non è di destra e a Sel quello della ricostruzione della sinistra; di una sinistra, beninteso, non a “orientamento” socialista, ma socialista punto e basta. Questo è l’unico modo nel quale essa possa essere. E questo è dunque anche l’unico modo nel quale essa possa reggere all’urto a venire, tenendo il campo della democrazia contro ogni tentazione tecnicistica, qualunquistica o addirittura sfascista. E, visto che ci siamo, chiediamo anche al Psi le ragioni di una totale afonia sulle questioni inerenti lo stato e le vicende del socialismo in Italia.
Le forze interessate, prescindendo dalle analisi del presente che ognuna può fare, debbono chiarire, a se stesse innanzi tutto, se esiste una convergenza possibile sul futuro – quello più prossimo, intendiamo – e se i fattori di convergenza prevalgono. Occorre focalizzare i punti di valore e di cultura che fissano l’insieme – e trattandosi di socialismo non dovrebbe essere impresa ardua. Occorrono ipotesi pratiche sul presente, nonché quel minimo organizzativo che responsabilizzi l’operazione.
Su tutto, comunque, prevale l’intenzione che è il dato sul quale si determina la politica; se l’intenzione non è comune, tanto vale nemmeno provarcisi; se lo è, rispetto a quelle che abbiamo accennato, e ve ne possono essere pure altre, è questione della discussione.
Sarà possibile? C’è chi ci sta lavorando e ci auguriamo che l’esito sia positivo. Perché non possiamo assistere a un insieme di monadi alcune delle quali confidano nella proposta del “governo di cambiamento” avanzata da Bersani – e si è visto che era un pensiero ipotetico dell’irrealtà, ma non c’era bisogno di essere indovini per capirne l’esito. Né possiamo solo attendere che l’annunciata adesione di Sel al Pse, se avviene, chiuda il problema. Tutto questo è un po’ poco; anzi più poco che un po’. Naturalmente, poi, nessuno è obbligato a stare dietro a ciò in cui non crede, come non è vietato continuare a credere in ciò di cui si è convinti.