giovedì 23 maggio 2013

Chi è il “nemico principale” per una svolta di sinistra in Europa?

Lettera da Santiago del Cile a margine del dibattito per una sinistra europea

Hollande ha preso una posizione importantissima nel perorare un rilancio il progetto europeo che prenda le mosse dalla solidarietà. L'Europa deve mettere in comune i debiti pubblici nazionali, facendosene carico, al di là di sterili tecnicismi.

 di Felice Besostri

 Pensiamo, ad esempio, al redemption fund, progetto molto caro a Peer Steinbrueck, ma certo non altrettanto ai suoi potenziali elettori, visti i sondaggi.

    La SPD non ha ancora capito che non si va avanti con tecnicismi da compromesso, mirati a non spaventare l'elettorato moderato, che può recuperare voti, ma solo con il coraggio di presentare un progetto realmente alternativo per l'Europa. Giudico l'intenzione di procedere anche senza la Germania una provocazione culturale, mirata proprio a indurre la SPD a prendere una posizione più coraggiosa di quella di Steinbrueck sull'Europa.

    Hollande sa bene quali siano i pericoli insiti in un isolamento della Germania, che farebbe percepire il progetto europeo come antagonista agli interessi tedeschi. Conosce le conseguenze del nazionalismo e del germano-centrismo sviluppatesi nella storia. Ad ogni modo, oggi, l'elaborazione politica del socialismo francese è decisamente più avanzata e fertile di quella della SPD, che, da Schroeder in poi, sembra essersi smarrita.

    Allora una delle richieste della DGB era il salario minimo. Nei Laender ex orientali c'erano e ci sono lavori sottopagati. Un aumento salariale avrebbe avuto e avrebbe effetti positivi sul consumo con effetto benefico su tutto il continente e sul surplus del commercio estero. Questa misura oggi rafforzerebbe il consenso elettorale. Qui le difficoltà discendono da un condizionamento culturale e da vera e propria intossicazione demagogica da parte della stampa popolare, tipo Bild Zeitung.

    Ma parliamo chiaramente: in Spagna, Italia e Grecia l'evasione fiscale è molto, ma molto, superiore a quella tedesca. E il costo della corruzione? Occorre un segnale chiaro: l'aiuto comunitario non deve servire a coprire le inefficienze strutturali dei paesi in difficoltà.

    Quando sento economisti appartenenti alla sinistra italiana affermare che un deficit di bilancio è comunque buono come stimolo alla crescita, quasi che non ne importasse la destinazione (cultura e ricerca o falsi invalidi e clientele?), penso che difficilmente il ceto medio tedesco, che è quello che fa vincere le elezioni, cambierà idea.

    Altro punto: la politica industriale in Italia. Se il ceto medio italiano preferisce le Volkswagen, le Opel e, sul segmento alto, le BMW e le Mercedes, invece che Fiat, Lancia o Alfa, non c'entra la SPD. Per fortuna, i ricconi tedeschi non hanno alternative alle Ferrari.

    Qualcuno mi sa raccontare iniziative comuni tra i sindacati italiani e quelli tedeschi sia confederali sia di categoria? La Funzione Pubblica della CGIL promuove seminari insieme all'organizzazione omologa del pubblico impiego tedesco, che si chiama ver.di ed è il più grande sindacato europeo oltre che uno dei più combattivi, tanto che nel 2009 non appoggiò, come nel passato, la SPD alle elezioni? Quando parlo di "iniziative", non intendo gruppi di lavoro tra super-esperti, ma qualcosa che arrivi almeno agli attivisti.

    La Fondazione ItalianiEuropei, che fa Parte della FEPS, di cui D'Alema è presidente, prevede programmi di ricerca congiunti con la Ebert-Stiftung della SPD o con la Boeckler-Stiftung  e le altre fondazioni dei sindacati tedeschi? Se sì, su quali temi? Politica internazionale? Privatizzazioni e liberalizzazioni?

    Qui in Cile, da dove scrivo queste righe, ho appreso non senza stupore che il processo di privatizzazione del rame, della scuola, della sanità e della previdenza si è accentuato con i governi democratici post-dittatura, anche se è stata la Costituzione di Pinochet a fornirne il quadro legale. Mi vengono in mente pensieri che non condivido sul primo governo dell'Ulivo.

Sono d'accordo con Turci quando dice che nelle nostre scelte dobbiamo tenere conto dei nostri interessi. Smettiamola di aspettare che gli altri facciano i nostri interessi. Ma dobbiamo salvaguardare i nostri obiettivi di fondo, come l'Unità politica dell'Europa.

    Dietro al Manifesto di Ventotene c'erano personaggi frutto delle migliori tradizioni della sinistra italiana: Spinelli al confino perché comunista, Colorni perché socialista e Rossi liberal-democratico di filone azionista.

    Altro punto: se trovassimo una via comune, sarebbe meglio per tutti. Perciò dobbiamo tentarla. E allora va benissimo denunciare i ritardi del PSE e della Confederazione Europea dei Sindacati come pure dei soggetti italiani che ne fanno parte. Vogliamo fare esempio concreto? La vertenza FIAT. La giusta opposizione ai piani di Marchionne sarebbe stata rafforzata da un'iniziativa che avesse messo insieme anche gli interessi dei lavoratori polacchi, serbi e brasiliani della multinazionale torinese.

           

IPSE DIXIT

Equità sociale condivisa - «Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l'Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l'ultima cosa di cui ha bisogno l'Europa. Chi scrisse il Manifesto di Ventotene combatteva per l'unità dell'Europa, con alla base un'equità sociale condivisa, non una moneta unica». – Amartya Sen

Le riforme si fanno meglio senza austerità. - «L'Europa ha bisogno di riforme: pensioni, tempo di lavoro, eccetera. E quelle vanno fatte, soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Ma non hanno niente a che fare con l'austerità, con tagli indiscriminati. È come se avessi bisogno di aspirina ma il medico decide di darmela solo abbinata a una dose di veleno: o quella o niente. No, le riforme si fanno meglio senza austerità, le due cose vanno separate». – Amartya Sen

Ricordate l'austerità per la riunificazione tedesca? - «Allora l'austerità fu necessaria. Ma attenzione, fu un'austerità fatta pagare a chi stava meglio, alla Germania occidentale. Oggi, al contrario, la si applica ai Paesi messi peggio». – Amartya Sen

Non rischia una fuga in avanti? - «No, se si riconosce che l'Europa sia in una situazione insostenibile. Prendiamo l'esempio dell'Unione bancaria, decisa più di un anno fa. Ancora non ci siamo, perché la governance non funziona e quindi non possono funzionarne le politiche. Il tempo non è elemento marginale: una cosa che va bene ora, non funzionerà tra cinque anni quando il mondo sarà andato da un'altra parte. La tesi secondo cui austerità e tagli da soli avrebbero portato alla crescita, a trattati vigenti viene smentita da tutte le parti... I costi economici sono alti (per tutti, compresa prossimamente la Germania) e a questi si aggiungono quelli politici, perché assistiamo allo sviluppo di populismi ed euroscetticismi che assumono dimensioni preoccupanti, trasformandosi poi in nazionalismo e razzismo, da cui la nostra Storia ci mette in guardia.» – Emma Bonino