lunedì 1 ottobre 2012

Dopo la Polverini ora tocca a Formigoni

Regionalismo all'italiana


Quanto sta accadendo in Lombardia, Lazio, Sicilia, Campania, per citare i casi di stretta attualità, chiama in causa una parte significativa della storia amministrativa recente del nostro Paese.


di Giuseppe Nigro


Nate nel 1970, dopo i rinvii post bellici, le regioni sembrarono alle origini - di fronte al ciclo di lotte degli anni Sessanta - uno dei modi per risolvere la crisi di sfiducia fra cittadini e stato.

    Fu il riformismo socialista di quegli anni a pretendere la riforma dello stato in chiave regionalista.

    Piero Bassetti, primo presidente di Regione Lombardia, nel suo discorso d’insediamento riteneva l’istituzione delle regioni “l’unica vera via alle riforme”. Ad essere più precisi, Bassetti, già all’epoca, manifestava molta prudenza. “Non facciamo - diceva - del regionalismo un mito. A seconda che si combini con uno sviluppo nazionale democratico o conservatore, il regionalismo può darci una società libera o un insieme di Vandee”.

    Di fronte agli attuali sprechi e alle degenerazioni della classe politica regionale, forse bisogna arrendersi all’idea che siamo di fronte ad una deriva vandeana. Lungi dall’essere diventata quell’organo di programmazione di elevata qualità, uno stato regionale vicino al cittadino ed espressione della comunità locale, la regione appare oggi come una istituzione la cui classe politica è dedita allo spreco. Fenomeno quanto mai insopportabile in un momento in cui la crisi costringe i cittadini a sacrifici impensabili fino a poco tempo fa.

    La riforma costituzionale del 2001 (art. 117, art. 118, art. 119, art. 123) si è arenata e il regionalismo si è svuotato, nonostante le regioni italiane gestiscano una percentuale del bilancio pubblico che ha superato il 40% delle risorse disponibili, percentuale in continua espansione e prossima al 50%. La regione oggi - pur in presenza di alcuni casi virtuosi come quello della Toscana - è poco più di un bancomat. La sua funzione prevalente è distribuire soldi provenienti dallo stato, in particolare nel settore della sanità, dove avvengono gli scandali e gli sprechi maggiori.

    In Lombardia, l’eccellenza nella sanità di cui parla Formigoni, ha radici lontane. È arrivata l’ora di smentire un falso storico, la qualità della sanità lombarda esiste da prima dell’ingresso in politica del “Celeste” e della sua “Comunione e Liberazione”.

    La degenerazione etica di cui si ravvisano gli aspetti più inquietanti, dai lussi di Formigoni a quelli del Consiglio regionale del Lazio, agli sprechi dell’Assemblea siciliana, testimonia quanto già sapevamo: la “seconda repubblica” non ha risolto neppure uno dei problemi per cui era nata. I “surfer” (quei politici che transitano da un partito all’altro, da un gruppo all’altro, senza alcun pudore) sono aumentati, e i nuovi partiti, nati dopo la frattura del ‘92, hanno cavalcato l’onda del “nuovo”, senza affrontare il rinnovamento del sistema istituzionale e politico. Il federalismo che sembrava essere la panacea dei mali del sistema è improvvisamente sparito dall’agenda politica e il governo Monti con le sue scelte appare esaltare un novello centralismo. Siamo in una situazione paradossale: l’incoerenza delle norme, che dopo aver stabilito funzioni e attribuzioni alle regioni, fissano una serie infinite di eccezioni, motivo di estenuanti trattative fra stato e regioni in sede di “Conferenza stato-regioni”, un organismo che di per sé è la prova del fallimento del decentramento amministrativo italiano. Senza voler entrare nel merito di una decentralizzazione mai avvenuta.

    Se si analizza l’attività legislativa di Regione Lombardia (ma vale anche per tutte le altre regioni italiane) ci si rende conto che la maggior parte delle leggi prodotte prendono a modello decisioni del parlamento nazionale declinate in chiave locale. Talvolta, capita di trovare leggi specifiche sui territori regionali, come quella sulla salvaguardia del “roccolo” della pianura bresciana, che senza sottovalutazione, non è certo un tema che proietta la Lombardia nella società globalizzata.

    Sarà bene che Roberto Formigoni imiti presto Renata Polverini. L’autonomismo regionalista della Lombardia è sempre stato motivo di orgoglio delle forze riformiste lombarde. Bisognerà riprendere la strada della riforma dello stato regionale, pensandolo come lo hanno sempre concepito le forze del riformismo socialista e cattolico, una istituzione dello Stato, “nella quale il cittadino non sarà più amministrato ma amministrante, non sarà soggetto passivo ma protagonista”. Oggi, infine una politica neoregionalista dovrà porsi il problema non solo del rapporto con lo stato centrale, ma con l’Europa. Dalla crisi si esce anche innovando le istituzioni, con una seria riforma dello stato. www.Avanti.it

 

 

 

 

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


SVIMEZ, "SONO LE DONNE A PAGARE DI PIU'"


di Vittoria Franco

senatrice del Pd


I dati resi noti dallo SVIMEZ confermano che la questione meridionale in Italia è lontana dall'essere risolta. Le donne pagano di più le conseguenze di un mancato sviluppo. Studiano, sono più istruite, ma poi sono costrette a restare a casa o ad accontentarsi di lavori che non corrispondono ai loro titoli di studio. Non è solo una questione di mentalità patriarcale che tende a relegarle in ruoli tradizionali, ma soprattutto di arretratezza economica. Il problema è dunque creare e promuovere condizioni di sviluppo e di conseguente crescita dei posti di lavoro anche per le donne. D'altronde anche questo ci chiede l'Europa per stare al passo.