giovedì 18 ottobre 2012

Falso!

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


I fondamentalisti del mercato hanno torto


di Luciano Pellicani


L’attuale crisi del capitalismo globale ha ridato fiato alla retorica liberista di quelli che George Soros ha battezzato “i fondamentalisti del mercato”. A sentir loro, il welfare è un lusso che i popoli europei non possono più permettersi e che lo Stato sociale deve essere drasticamente ridimensionato, se non , addirittura, smantellato.

    Nulla di più contrario alla realtà, come ha documentato Federico Rampini nel recente libro "Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. Falso!" (Laterza, 2012). Prima di tutto, va ricordato a beneficio degli immemori che la Grande recessione del 2008 è iniziata negli Stati Uniti e che successivamente si è diffusa per contagio in Europa. E va altresì ricordato che i governi americani per ben trent’anni hanno adottato la filosofia e la conseguente pratica del laissez faire. Sicché, se proprio vogliamo indicare la causa causans dell’attuale caduta libera dell’economia globale, questa non va cercata nel modello socialdemocratico, bensì nel modello neoliberista.

    “La tanto decantata new economy — ha osservato il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz –, le strabilianti innovazioni che avevano caratterizzato la seconda metà del Novecento — comprese la deregulation e l’ingegneria finanziaria – doveva consentire una più efficace gestione del rischio, permettendo di porre fine al ciclo economico”. Ma così non è stato. Lo ha riconosciuto persino Alan Greenspan , governatore della Federal Reserve e sommo sacerdote dell’ideologia neoliberista.

    E, invece, nella società americana è largamente diffusa l’idea che il modello europeo , centrato sulla Stato sociale, non ha alcun futuro . E ‘ un modello – non si stancano di ripetere i propalatori della retorica neoliberista — senz’altro generoso, ma irrimediabilmente inefficiente poiché soffoca la crescita con la sua eccessiva tassazione e , in aggiunta, crea una cultura della dipendenza dallo Stato che deresponsabilizza i cittadini.

    Sono critiche, queste, che senz’altro colpiscono nel segno se riferite alla Grecia, alla Spagna e – ahimè ! — all’Italia. Ma non se riferite agli altri Paesi dell’Europa occidentale. In particolare alla Germania , che ha saputo coniugare dinamismo economico e protezione delle classi proletarie attraverso un articolato sistema di servizi sociali ( istruzione, assistenza medica, indennità di disoccupazione, ecc.).

    Proprio per questo , non pochi autorevoli economisti americani – Stiglitz, Krugman, Wollman, Rifkin, ecc. – hanno elogiato il modello renano come la forma più umana di capitalismo che sia stata mai sperimentata in quello smisurato laboratorio che è la storia universale. Un elogio che non può non essere condiviso non appena si concentra l’attenzione sulle “piaghe morali” che caratterizzano la società americana, dettagliatamente descritte da Luttwak nella Dittatura del Capitale. Fra le quali, vanno ricordate la formazione di una nuova classe sociale composta da working poors, l’enorme divaricazione dei redditi, la presenza di 45 milioni di cittadini senza assistenza medica e, infine, un sistema carcerario che ospita ben 2 milioni di detenuti.

    Stando così le cose, come non giungere alla conclusione che il modello neoliberista è al tempo stesso irrazionale e immorale? E come non concludere che il modello sociale europeo, nella sua versione migliore – quella tedesca – , rappresenta un punto di riferimento che deve essere costantemente tenuto presente poiché – non lo si ripeterà mai abbastanza – ha saputo conciliare equità ed efficienza ?


Documenti sul tema:

> scheda del libro di Rampini presso Laterza

> video presentazione con Rampini e Mario Monti su Radio Radicale

> audio presentazione con Rampini e Canfora su Radio Radicale

 

 

 


IPSE DIXIT

Vecchie idee fresche di stampa - «La rivendicazione dell'unità europea esprime oggi l'aspirazione molto diffusa per un ordine tra le nazioni europee che sia veramente atto a garantire la pace, la libertà, la giustizia. I socialisti devono diventare, par varie ragioni capitali, i sostenitori più tenaci e perseveranti di questa rivendicazione». – Eugenio Colorni (sull'ADL dell'11.2.1944)

 

lunedì 15 ottobre 2012

Le due sinistre

120 anni di socialismo italiano


Le due sinistre sono, in breve, Hollande o Steinbrück da un lato e Chaves o Castro dall'altro. Un qualche blog ha addirittura intitolato "Chavez vs Hollande" . . . Par di sognare.


di Felice Besostri


Due fatti apparentemente lontani fanno emergere le due sinistre di sempre: la scelta di Peer Steinbrück come candidato cancelliere della SPD per le elezioni federali del 2013 e la vittoria di Chavez per la quarta volta in Venezuela.

    Un qualche blog ha addirittura intitolato "Chavez vs Hollande". Noi siamo in Europa e dobbiamo fare i conti con la Germania, che sia guidata dai democristiani o dai socialdemocratici: una sinistra normale dovrebbe preferire quest’ultimi. Invece no, si enfatizza la vittoria di Chavez, come espressione di un’altra linea più di sinistra. In effetti una sinistra battuta duramente in Europa è naturale che cerchi consolazioni all’estero.

    Scegliere Chavez, non servirà nulla a vincere le elezioni in paesi di capitalismo maturo, ma rappresenta comunque un progresso per i frustrati di sinistra. Socialismo (bolivariano) y amor e Socialismo y alegria è sicuramente meglio di Socialismo (cubano) o muerte.

Renzi come Craxi?

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

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La differenza tra amministrare e governare


di Riccardo Campa


Credo che nell’articolo del 3 ottobre, “Quel che manca a Renzi”, Giuseppe Tamburrano abbia colto perfettamente il nocciolo della questione. Aggiungo un’ulteriore considerazione. Non solo al sindaco di Firenze manca un’idea di partito, un’idea di sinistra. Gli fa difetto pure un’idea di nazione e del ruolo che essa dovrebbe avere nel contesto internazionale. Non ha una visione geopolitica.

    Qualche giorno fa, Eugenio Scalfari ha paragonato Renzi a Craxi, stigmatizzando di entrambi la grande ambizione e il pragmatismo amorale. Tuttavia, il direttore di Repubblica ha anche riconosciuto che l’ex leader socialista – a differenza di Renzi – aveva una “visione politica”. E questo riconoscimento gli deve essere costato parecchio, vista l’antipatia che nutriva per lo scomparso leader socialista. In sostanza, il fondatore di «Repubblica» ha detto che «Renzi è peggio di Craxi» e che, in caso di sua vittoria alle primarie, non voterà PD.

    Considerando il peso mediatico del gruppo editoriale che rappresenta, si tratta di un’affermazione di non poco conto. Qualcuno dice che, una volta accettato il meccanismo delle primarie, è scorretto fare saltare il tavolo quando non vince il proprio candidato. Verissimo. Ma questo vale per i politici, non per i cittadini. I cittadini sono liberi di votare chi vogliono. Ora, il paradosso è che certi cittadini – per esempio gli opinionisti carismatici e gli imprenditori a capo di grossi gruppi editoriali – hanno non di rado più potere dei politici di professione. Perciò, queste primarie di coalizione rischiano di diventare l’ennesimo suicidio della sinistra, dando una chance ad un centrodestra che è ormai alla canna del gas.

    Andiamo più in dettaglio nel paragone di Scalfari. Giuste o sbagliate che fossero, Craxi aveva delle idee. Aveva un’idea di partito: voleva tenere il PSI saldamente all’interno della famiglia socialista europea. Aveva un’idea di Stato: voleva una nazione più governabile, capace di prendere decisioni e di prenderle rapidamente. Ma tutto questo era funzionale a supportare una precisa prospettiva geopolitica, volta a sganciare gradualmente l’Italia tanto dalle influenze sovietiche (che ci investivano per tramite del PCI), quanto dalle influenze statunitensi (che si esercitavano per tramite del blocco moderato DC-PRI-PLI-PSDI). Autonomia dal PCI e dalla DC significava anche autonomia dalle due superpotenze. Craxi voleva ritagliare all’Italia un ruolo da media potenza, autonoma a livello di politica estera e approvvigionamenti energetici, al pari di Francia e Inghilterra.

    E veniamo a Renzi. Non può non fare simpatia quando dice che le cariatidi devono fare un passo indietro, come avviene in tutte le democrazie sane. Chi ha fatto tre legislature, quindici anni in Parlamento, torni al suo lavoro, scriva libri, si riposi, dedichi le proprie energie ad associazioni e fondazioni. Abbiamo bisogno di facce nuove.

    Però, abbiamo anche bisogno di idee nuove. Per un certo periodo, Renzi ha eluso la questione. Poi, ha messo insieme un programma. Quando ci parla finalmente del programma, e non del conflitto generazionale, il sindaco di Firenze snocciola “riformine amministrative”: prendo un miliardo qua e lo metto la’, meno sprechi di qua, più asili nido di là, recupero le caserme così non devo cementificare altro territorio, ecc. “Riformine” che sono certamente utili e intelligenti, ma può un premier fermarsi qui? Dov’è la filosofia politica, la dottrina dello Stato, la geopolitica? Se non chiarisce questi aspetti, Renzi va bene per amministrare un condominio, un quartiere, una citta’, non certo per governare una nazione o guidare un grande partito.

Sciolto il comune di Reggio Calabria

La lotta per la legalità



"Un'atto di rispetto per la città". La città calabrese è il primo capoluogo di provincia sciolto per mafia. Cancellieri: "Una decisione sofferta. L'Italia vuole dimostrare al mondo la propria determinazione nella lotta contro la criminalità organizzata".


È stato «un atto sofferto», fatto «a favore della città», con la volontà di «restituire il Paese alla legalità, perché senza legalità non c'è sviluppo». Lo scioglimento del comune di Reggio Calabria, annunciato in serata a Roma, a Palazzo Chigi, dal ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri, è stato deciso dal Consiglio dei ministri per «contiguità e non per infiltrazioni mafiose», in altre parole per condizionamenti esterni da parte dei clan. Si tratta della prima volta nella storia d'Italia, ha ricordato il ministro, che viene sciolto il consiglio comunale di un capoluogo di provincia.

   Alla guida del comune ci saranno per 18 mesi tre commissari straordinari: il prefetto di Crotone Vincenzo Panico, il viceprefetto Giuseppe Castaldo e il dirigente dei servizi ispettivi di finanza della Ragioneria dello Stato Dante Piazza. Tra i loro compiti ci sarà anche quello di lavorare per migliorare la situazione finanziaria del comune che, ha detto Cancellieri, «ha una situazione debitoria importante».

    «Siamo molto vicini alla città», ha aggiunto il ministro, «vogliamo che Reggio Calabria sappia che questo del governo è un atto di rispetto per la città, che il governo è vicino alla città e vuole che la città ritrovi lo slancio».

 

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


LA CHIESA CATTOLICA

NON PAGA L' IMU


Nencini (PSI): “Scommettiamo che neppure nel 2013 la Chiesa pagherà l’IMU?” - Dopo la bocciatura del Consiglio di Stato: chi ha sbagliato paghi ora la multa di 10 milioni di Euro all'Europa.


“Scommettiamo che neppure nel 2013 la Chiesa pagherà l’IMU?” - il segretario nazionale del Psi, Riccardo Nencini, se lo chiede, commentando il parere del Consiglio di Stato.

    “La bocciatura del decreto attuativo del Tesoro da parte del Consiglio di Stato - prosegue Nencini - rafforza la convinzione che l’Italia continui ad essere un Paese a sovranità limitata. Ci sono materie sulle quali il Parlamento, qualunque sia la maggioranza di governo, non può legiferare liberamente. Dalle leggi che riguardano le libertà civili come le unioni di fatto e il ‘fine vita’, a quelle che toccano le finanze della Chiesa, come l’IMU per l’appunto che costerebbe alla CEI circa 600 milioni di euro.

Delle due l’una: o il ministro Grilli, e prima di lui lo stesso professor Monti, non sanno fare il loro lavoro visto che in otto mesi non sono riusciti a scrivere una norma essenziale per i conti pubblici oppure il Consiglio di Stato riceve suggerimenti dal Vaticano e li accoglie.

Per la verità – continua il leader socialista - c’è una terza possibilità, ovvero che la norma sia stata scritta tardi e male a bella posta contando proprio sulla bocciatura.

In ogni caso però, questa del governo Monti è la più brutta figura, collettiva e personale, da quando è entrato in carica, soprattutto se si considera il pesante fardello che ha caricato sulle spalle degli italiani per sanare i guasti dell’economia. Ci auguriamo che sia in grado di porvi riparo per sanare una clamorosa ingiustizia a danno dei cittadini italiani o in alternativa – conclude Nencini – proponiamo che chi ha scritto male il decreto attuativo paghi la multa di 10 milioni di euro della Commissione europea”.

 

 

La Catena di San Libero


Esempio un po’ triste di

giornalismo-propaganda


Su una foto di manifestanti greci con – in primo piano– una bandiera greca e accanto una bandiera nazista.


di Riccardo Orioles

Vai al blog di Riccardo Orioles sul Fatto Quotidiano


Merkel ad Atene, scontri” ecc. Repubblica non è molto amica dei greci, almeno di quelli poveri, ma questo naturalmente – libertà di stampa – è affare suo. Sotto il titolo allarmistico (che, ripeto, è suo diritto pubblicare) però mette (repubblica.it, 9 settembre, ore 15) una foto decisamente scorretta: manifestanti con – in primo piano – una bandiera greca e accanto una bandiera nazista.

    A me, lettore qualunque, è cascato il cuore. “Dunque i greci – ho pensato – sono arrivati a questo punto? Allora davvero i fascisti hanno egemonizzato la protesta? Maledetti greci! Fa bene, l’Europa, a suonarvele! Dagli giù duro, Merkel, a questi nazisti dei miei stivali!”.

    Ma leggendo attentamente il pezzo (cosa che non tutti i lettori fanno) mi sono accorto che la bandiera nazista c’entrava come il cavolo a merenda. I dimostranti infatti l’avevano portata là per bruciarla: cosa che hanno fatto con gran solennità e slogan antifascisti. La manifestazione (apprende ancora il lettore attento) era organizzata dei sindacati, era una manifestazione democratica (anche se non necessariamente condivisibile) al cento per cento, ed era antifascista e antinazista senza equivoci e senza sfumature.

    Questo, dalla titolazione e dalla foto, decisamente non si capiva. I capiredattori di Repubblica sanno perfettamente cos’è un titolo e cos’è una foto d’apertura. Hanno fatto un’operazione politica precisa (in Grecia, chi protesta è nazista) per la quale nel Purgatorio dei giornalisti dovranno spalar carbone per un paio di anni. Ma in fondo la colpa è mia, che di fronte a Repubblica abbasso istintivamente le difese che invece mi vengono spontanee davanti a Vespa, Sallusti o Emilio Fede.

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Scuola, è sciopero generale


Venerdì 12 ottobre la protesta della Flc: "I tagli di Monti sono inaccettabili". Servono risorse per il rilancio, rinnovo del contratto e un piano per l'occupazione. "Concorso inutile e costoso, prima stabilizzare i precari".


di Emanuele Di Nicola


Venerdì 12 ottobre è sciopero generale della scuola italiana. Studenti e docenti scenderanno in piazza in 60 città del paese, nella protesta proclamata dalla Flc Cgil per dire basta ai tagli e chiedere il rilancio degli investimenti nel settore della conoscenza. Una scuola "taglieggiata" da interventi pesantissimi, a partire dal 2008, che rialza la testa e annuncia una mobilitazione permanente. Lo ha detto stamani (9 ottobre) il segretario generale della Flc, Domenico Pantaleo, in conferenza stampa. "A scuola ricostruiamo il futuro", dice il manifesto della giornata.

    Il sindacato della conoscenza ha illustrato le ragioni dello sciopero. Primo motivo: dire no a nuovi tagli che sarebbero inaccettabili. "Si vocifera di nuovi tagli, che i 200 milioni già decisi siano portati a 300: dopo i tagli da 8,5 miliardi del governo Berlusconi, ci attendevamo un'inversione di tendenza. Invece si prosegue con la stessa politica", ha spiegato Pantaleo.

    La Flc chiede quindi il "rispetto del lavoro e di chi lavora". No al transito forzato del personale inidoneo nei ruoli del personale Ata, perché "ci sono altre soluzioni per i lavoratori con gravi problemi di salute". Poi c'è il contratto nazionale che non si rinnova dal 2009: fondamentale è la restituzione dei gradoni e la previsione di risorse ad hoc per pagare le prestazioni che il ministero si rifiuta di retribuire (ore eccedenti, sostituzioni ecc.).

    E' anche uno sciopero per l'occupazione. La prima richiesta è un piano di stabilizzazione dei precari nelle graduatorie. "Per questo siamo contrari al concorso di Monti - ha chiarito il segretario -. Il concorso resta la modalità fondamentale di ingresso all'impiego, ma fatto in questo modo è solo inutile e costoso. Servirà a creare nuovo precariato. Noi invece sfidiamo il governo su un altro terreno: prima stabilizzi tutti i precari".

    Per rilanciare la scuola servono risorse. "Bisogna tornare a fare investimenti, prima di tutto un grande progetto infrastrutturale per la messa in sicurezza degli istituti. Subito dopo occorre potenziare gli organici, per garantire la continuità lavorativa delle persone e la qualità del servizio".

    Domenico Pantaleo ha criticato duramente l'operato del governo. "Ridare credibilità alla conoscenza significa cambiare radicalmente l'agenda Monti - ha affermato -. Il premier ha ridato credibilità internazionale, ma sulle politiche sociali non ha funzionato, basti vedere il tasso di disoccupazione". In generale va respinto il "modello liberista": "La scuola non si tratta come un'azienda, è diritto di cittadinanza e democrazia. Ai bambini e ragazzi dobbiamo insegnare anche l'inclusione sociale, non si può rispondere solo a logiche economiche".

    Quelle dell'esecutivo, ha proseguito, "sono norme che rasentano l'idiozia: i lavoratori vengono riassegnati a ruoli per cui non hanno le professionalità. La scuola viene indebolita da misure senza senso, è un ridimensionamento fatto in fretta e pensando solo al risparmio: per questo è venuto fuori un mostro".

    Venerdì il corteo di Roma partirà alle 9.30 a piazzale Esquilino. Seguirà le vie del centro della capitale, per concludersi in piazza Santi Apostoli con il comizio di Pantaleo. Il corteo degli studenti si raduna invece a piazza della Repubblica, ma poi confluirà nella manifestazione per condurre insieme la giornata. "Sarà una protesta pacifica - ha concluso Pantaleo -, faremo in modo che le manifestazioni si svolgano in modo tranquillo, isolando frange violente se ci sono. Ma questo - naturalmente - dipende anche dalla capacità di ascolto dei nostri interlocutori: il ministro Profumo non può parlare di 'bastone e carota', in questa fase bisogna accogliere il dissenso in maniera pacifica".

    La protesta della scuola continua. Prossimo appuntamento il 19 ottobre, con una serata di musica e di protesta, poi il 20 ottobre studenti e professori torneranno in piazza a San Giovanni nella manifestazione nazionale della Cgil, insieme alle fabbriche colpite dalla crisi.

 

 

 

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Povertà: cinquantamila

i senzatetto in Italia


I dati del rapporto 2011 di Istat, Caritas, Fiopsd e ministero del Welfare. Si tratta del primo censimento in assoluto svolto sul fenomeno nel nostro paese. Sono per lo più uomini di mezza età. Si finisce in strada dopo aver perso il lavoro


Oltre 50 mila. E' questo il numero dei senza dimora che emerge dal Rapporto 2011 di Istat, Caritas, Fiopsd e ministero del Welfare, presentato questa mattina a Roma. Si tratta del primo censimento in assoluto svolto sul fenomeno in Italia.

    Il rapporto parla di 47.648 homeless censiti, ma il margine di errore in eccesso dichiarato porta la cifra ad un massimo di 51.800 persone. Una soglia, questa, che è da ritenere più vicina alla realtà in base alle caratteristiche stesse della rilevazione, riferita ai senza dimora che nei mesi di novembre e dicembre 2011 hanno utilizzato almeno uno dei 3.125 servizi (mense, accoglienza notturna ecc.) garantiti da 727 associazioni nei 158 comuni italiani più importanti (rispetto alla popolazione di questi comuni l'incidenza e' dello 0,2%).

    Dagli oltre 47 mila effettivamente censiti resterebbero infatti fuori coloro che non si rivolgono mai ai servizi o che vivono in comuni molto piccoli: una quota che secondo i ricercatori e secondo le convenzioni europee arriva fino al 5%. Ci sono poi due altri dati metodologici da sottolineare. Il primo è che il censimento si riferisce solo alle prime due delle sei categorie - quelle più severe - della "homelessness" considerate in Europa. Il secondo è che esso esclude i minori, i Rom e tutte le persone che, pur non avendo una dimora, sono ospiti in forma più o meno temporanea presso alloggi privati (ad esempio, quelli che ricevono ospitalità da amici, parenti, ecc.). Si parla dunque dei senza dimora più "classici", e adulti.

    Chi sono. L'identikit tracciato dal rapporto parla di uomini soli, under 45 e con la licenza media inferiore Quasi il 90% dei senza dimora censiti sono uomini, il 57,9% ha meno di 45 anni, i due terzi hanno la licenza media inferiore e il 72,9% ha dichiarato di vivere da solo. Solo il 28,3% lavora, percentuale che scende al 25,3% per le donne. La maggior parte vive al Nord (58,5%) e quasi il 60% e' straniero.

    In media le persone senza dimora dichiarano di trovarsi in questa condizione da 2,5 anni. Quasi i due terzi prima di diventare senza dimora vivevano nella propria casa, mentre solo il 7,5% non ha mai avuto una casa. Il 61,9% delle persone senza dimora è finito in strada dopo aver perso un lavoro stabile, mentre il 59,5% dopo essersi separato dal coniuge o dai figli. Tra gli italiani sono circa 2.000 gli over 65.

    Circa il 10% delle persone senza dimora ha avuto difficoltà a interagire con i rilevatori e non è stato in grado di rispondere all'intervista. Le cause? Il 76% ha problemi legati a limitazioni fisiche o disabilità (insufficienze, malattie o disturbi mentali) e problemi di dipendenza (una percentuale che scende al 31% tra coloro che non hanno avuto difficoltà a interagire) e un quarto ha difficoltà dovute alla ridotta conoscenza della lingua.

 

lunedì 1 ottobre 2012

Dopo la Polverini ora tocca a Formigoni

Regionalismo all'italiana


Quanto sta accadendo in Lombardia, Lazio, Sicilia, Campania, per citare i casi di stretta attualità, chiama in causa una parte significativa della storia amministrativa recente del nostro Paese.


di Giuseppe Nigro


Nate nel 1970, dopo i rinvii post bellici, le regioni sembrarono alle origini - di fronte al ciclo di lotte degli anni Sessanta - uno dei modi per risolvere la crisi di sfiducia fra cittadini e stato.

    Fu il riformismo socialista di quegli anni a pretendere la riforma dello stato in chiave regionalista.

    Piero Bassetti, primo presidente di Regione Lombardia, nel suo discorso d’insediamento riteneva l’istituzione delle regioni “l’unica vera via alle riforme”. Ad essere più precisi, Bassetti, già all’epoca, manifestava molta prudenza. “Non facciamo - diceva - del regionalismo un mito. A seconda che si combini con uno sviluppo nazionale democratico o conservatore, il regionalismo può darci una società libera o un insieme di Vandee”.

    Di fronte agli attuali sprechi e alle degenerazioni della classe politica regionale, forse bisogna arrendersi all’idea che siamo di fronte ad una deriva vandeana. Lungi dall’essere diventata quell’organo di programmazione di elevata qualità, uno stato regionale vicino al cittadino ed espressione della comunità locale, la regione appare oggi come una istituzione la cui classe politica è dedita allo spreco. Fenomeno quanto mai insopportabile in un momento in cui la crisi costringe i cittadini a sacrifici impensabili fino a poco tempo fa.

    La riforma costituzionale del 2001 (art. 117, art. 118, art. 119, art. 123) si è arenata e il regionalismo si è svuotato, nonostante le regioni italiane gestiscano una percentuale del bilancio pubblico che ha superato il 40% delle risorse disponibili, percentuale in continua espansione e prossima al 50%. La regione oggi - pur in presenza di alcuni casi virtuosi come quello della Toscana - è poco più di un bancomat. La sua funzione prevalente è distribuire soldi provenienti dallo stato, in particolare nel settore della sanità, dove avvengono gli scandali e gli sprechi maggiori.

    In Lombardia, l’eccellenza nella sanità di cui parla Formigoni, ha radici lontane. È arrivata l’ora di smentire un falso storico, la qualità della sanità lombarda esiste da prima dell’ingresso in politica del “Celeste” e della sua “Comunione e Liberazione”.

    La degenerazione etica di cui si ravvisano gli aspetti più inquietanti, dai lussi di Formigoni a quelli del Consiglio regionale del Lazio, agli sprechi dell’Assemblea siciliana, testimonia quanto già sapevamo: la “seconda repubblica” non ha risolto neppure uno dei problemi per cui era nata. I “surfer” (quei politici che transitano da un partito all’altro, da un gruppo all’altro, senza alcun pudore) sono aumentati, e i nuovi partiti, nati dopo la frattura del ‘92, hanno cavalcato l’onda del “nuovo”, senza affrontare il rinnovamento del sistema istituzionale e politico. Il federalismo che sembrava essere la panacea dei mali del sistema è improvvisamente sparito dall’agenda politica e il governo Monti con le sue scelte appare esaltare un novello centralismo. Siamo in una situazione paradossale: l’incoerenza delle norme, che dopo aver stabilito funzioni e attribuzioni alle regioni, fissano una serie infinite di eccezioni, motivo di estenuanti trattative fra stato e regioni in sede di “Conferenza stato-regioni”, un organismo che di per sé è la prova del fallimento del decentramento amministrativo italiano. Senza voler entrare nel merito di una decentralizzazione mai avvenuta.

    Se si analizza l’attività legislativa di Regione Lombardia (ma vale anche per tutte le altre regioni italiane) ci si rende conto che la maggior parte delle leggi prodotte prendono a modello decisioni del parlamento nazionale declinate in chiave locale. Talvolta, capita di trovare leggi specifiche sui territori regionali, come quella sulla salvaguardia del “roccolo” della pianura bresciana, che senza sottovalutazione, non è certo un tema che proietta la Lombardia nella società globalizzata.

    Sarà bene che Roberto Formigoni imiti presto Renata Polverini. L’autonomismo regionalista della Lombardia è sempre stato motivo di orgoglio delle forze riformiste lombarde. Bisognerà riprendere la strada della riforma dello stato regionale, pensandolo come lo hanno sempre concepito le forze del riformismo socialista e cattolico, una istituzione dello Stato, “nella quale il cittadino non sarà più amministrato ma amministrante, non sarà soggetto passivo ma protagonista”. Oggi, infine una politica neoregionalista dovrà porsi il problema non solo del rapporto con lo stato centrale, ma con l’Europa. Dalla crisi si esce anche innovando le istituzioni, con una seria riforma dello stato. www.Avanti.it

 

 

 

 

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


SVIMEZ, "SONO LE DONNE A PAGARE DI PIU'"


di Vittoria Franco

senatrice del Pd


I dati resi noti dallo SVIMEZ confermano che la questione meridionale in Italia è lontana dall'essere risolta. Le donne pagano di più le conseguenze di un mancato sviluppo. Studiano, sono più istruite, ma poi sono costrette a restare a casa o ad accontentarsi di lavori che non corrispondono ai loro titoli di studio. Non è solo una questione di mentalità patriarcale che tende a relegarle in ruoli tradizionali, ma soprattutto di arretratezza economica. Il problema è dunque creare e promuovere condizioni di sviluppo e di conseguente crescita dei posti di lavoro anche per le donne. D'altronde anche questo ci chiede l'Europa per stare al passo. 

 

Distorsione ideologica dell'Occidente

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

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Il mondo moderno non è nato semplicemente dalla diffusione o dalla esportazione del capitalismo?


di Luciano Pellicani


Da alcuni anni – anzi, da alcuni decenni – l’antropologo Jack Goody ha impegnato il suo tempo e le sue energie a rettificare in maniera sostanziale l’immagine che l’Occidente ha costruito di se stesso. Già si era distinto per la stupefacente affermazione che Adam Smith era in errore quando sosteneva che solo l’Occidente aveva conosciuto la libertà. Non meno stupefacente è la tesi che ha sviluppato nel libro Eurasia , recentemente pubblicato dal Mulino. Essa suona così. “Il mondo moderno non è nato semplicemente dalla diffusione o dalla esportazione del capitalismo” , poiché “i principali Paesi dell’Oriente erano molto più simili e molto più affini a quelli europei nelle linee generali del loro sviluppo.”. Pertanto, è tutta da rifiutare “la visione storica dell’Occidente secondo la quale le altre zone del pianeta erano strutturalmente incapaci di compiere il necessario balzo in avanti , di conquistare il mondo dal punto di vista geografico, economico e culturale”.

    Ammesso e non concesso che l’immagine standard costruita dagli occidentali della propria civiltà sia una pura costruzione ideologica , resta sul tappeto l’ineludibile domanda: “Perché mai l’Occidente – e solo l’Occidente – ha creato il capitalismo, la scienza, la tecnologia moderna, lo Stato costituzionale e la democrazia pluralistica? “ Per contro, con le sue perentorie e affatto gratuite sentenze , Goody fa sparire il problema con il quale si sono cimentati studiosi del calibro di Montesquieu, Hegel , Marx , Weber, Wittfogel e Braudel. I quali sono giunti alla stessa conclusione: che l’Occidente ha istituzionalizzato quella che Whitehead ha chiamato con felice espressione “l’invenzione dell’arte dell’invenzione”; e che ci è riuscito a motivo del fatto che la frantumazione del potere a seguito del collasso dell’Impero romano ha offerto agli Europei la chance di compiere un singolare esperimento di vita collettiva tutto centrato sulla dialettica “Stato-società civile”. Il che significa che un puro accidente storico – non certo la così detta “superiorità razziale” – ha permesso ai popoli europei di sfuggire alla “trappola dispotica ”. Per contro, le grandi civiltà orientali sono rimaste prigioniere della “gabbia d’acciaio” dello Stato burocratico-liturgico e, precisamente per questo, non hanno potuto imboccare la via della Modernità.

    Una tesi, questa, che è stata formulata anche da uno storico arabo, Amin Maalouf, al quale non è sfuggito il fatto che, a seguito della rivoluzione comunale – resa possibile dalla assenza della Megamacchina –, l’Europa prese ad assumere, attraverso una infinita teoria di conflitti di interessi e di valori, le forme di una “società distributrice di diritti”. Per altro, già nel 1878 , in occasione della Esposizione di Parigi, un giovane diplomatico turco aveva visto ciò che Goody – accecato da un massiccio consumo di oppio ideologico – non è in grado di vedere, così esprimendosi : “Quando alzate gli occhi verso questa affascinante esibizione del progresso umano, non dimenticate che tutte queste riuscite sono opera della libertà. E’ sotto la protezione della libertà che i popoli e le nazioni raggiungono la felicità. Senza libertà, non vi può essere sicurezza; senza sicurezza, non c’è sforzo; senza sforzo, non c’è prosperità senza prosperità non c’è felicità”.

 

 

 

 

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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Fiat, un dialogo senza argomenti


Incontro freddo tra governo e sindacati sul destino del gruppo auto. Sul tavolo c'erano ben pochi argomenti sui quali confrontarsi, a parte la certezza che Fabbrica Italia non esiste più, se mai è esistita. Per il resto, un elenco di assenze


E' stato deludente, l'incontro tra governo e sindacati sulla Fiat avvenuto nella serata del 25 settembre. Ma non poteva essere altrimenti. L'apertura di un confronto era stata chiesta dall'esecutivo, che intendeva informare le organizzazioni dei lavoratori sul vertice avuto pochi giorni prima col management del Lingotto. Ma sul tavolo c'erano ben pochi argomenti sui quali confrontarsi, a parte la certezza che Fabbrica Italia non esiste più, se mai è esistita. Per il resto, un elenco di assenze: l'assenza di un piano industriale alternativo, l'assenza di investimenti da parte di una Fiat che viaggia a vista, l'assenza di un qualche dettaglio sulle ricadute per i lavoratori.

    E dunque i sindacati (assenti per polemica Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti) hanno risposto con freddezza alla richiesta di "apertura di un dialogo" avanzata dal ministro del Lavoro Elsa Fornero e dal ministro dello Sviluppo Corrado Passera.

    Fornero avrebbe assicurato che dal governo c'e' la volonta' di 'una interlocuzione', per comprendere meglio' la posizione dei sindacati, per recepire 'impressioni e suggerimenti'. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero, con accanto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, ha impostato cosi' - secondo quanto riferito dai presenti - la riunione che i due ministri hanno tenuto in serata su Fiat con le organizzazioni sindacali.

    Ad ogni modo il governo 'non ha detto nulla di piu' di quanto gia' noto', riferiscono i sindacati in base a una ricostruzione dell'Ansa -, ma e' apparso improntato ad aprire un percorso, a impostare un metodo di lavoro insieme. 'Non rivanghiamo il passato per cercare colpe e responsabilita', ma collaboriamo per individuare percorsi utili per il futuro', avrebbe detto il ministro Fornero.

    'Rimaniamo in uno stato di sospensione: non c'e' piu' il sogno di Fabbrica Italia e Fiat non ci dice cosa vuole fare', ha sottolineato alla riunione il segretario generale della Cgil Susanna Camusso.

    Secondo Camusso "sorge il sospetto che Fiat dice rimaniamo per mantenere un presidio, evitare l'ingresso di altri produttori e poi si vedra'. 'Questo stato di incertezza pesa non solo fra i lavoratori Fiat ma anche su tutti quelli della filiera produttiva'.

    'Se non si fanno investimenti e' a rischio l'intera tenuta e che l'Italia diventi una provincia americana'. E' quanto ha detto invece il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, al termine dell'incontro. 'Aspettare due anni senza investimenti e nuovi modelli - ha aggiunto - significa trovarsi di fronte a macerie. Il governo agisca', ha concluso. Landini ha anche chiesto di 'ripristinare le liberta' sindacali in fabbrica', e che il governo non dimentichi i casi Termini Imerese e Irisbus.

    Passera ha risposto che la vertenza Irisbus sara' al centro di un tavolo con i sindacati il 9 ottobre.