venerdì 11 dicembre 2009

CEFISI (PSI) RAPPRESENTANTE ITALIANO NELL'UFFICIO DI PRESIDENZA DEL PSE

Il congresso del PSE ha ratificato il ritorno dei socialisti italiani al loro nome storico, PSI. I superstiti della diaspora socialista puntano a costruire nel Pse un'unità dei riformisti insieme al Pd, ma anche alla Sinistra di Fava e a quella di Vendola.

(PRAGA, 8-12-09) - Il congresso del PSE a Praga ha confermato la nuova presidenza, che affiancherà il presidente Poul Rasmussen. Rispetto al congresso di Porto nel 2006, e per la prima volta dal 1992, anno di fondazione del Pse, ne farà parte soltanto un rappresentante italiano, il responsabile internazionale del PSI, Luca Cefisi. Il posto dei Ds, confluiti nel PD, rimarrà vacante finchè il partito di Bersani non scioglierà le riserve.

    Secondo Cefisi -- consapevole della necessità di realizzare una presenza italiana nel PSE più vasta di quella che egli attualmente può garantire -- "è utile che il PD decida di partecipare pienamente alla vita del PSE, e non solo come invitato ai congressi. Non sono più i tempi di una concorrenza a sinistra negli organi europei, ma di costruire nel Pse un'unità dei riformisti".

    Il responsabile esteri del PSI di Nencini auspica "di essere al più presto affiancato da un esponente del Pd nell'organo di governo del PSE, perchè il PSE deve diventare il punto di riferimento in Europa dei riformisti italiani, e penso al PD, ma anche alla Sinistra di Fava e a quella di Vendola".

    Il congresso del PSE ha anche ratificato il "ritorno" dei compagni italiani al loro nome storico, Partito Spcialista Italiano. Si tratta di un tributo della solidarietà internazionale alla speranza che la classe dirigente del SI-SDI-PS-PSI si mostri degna della storia alla quale essa ora esplicitamente si richiama, dopo la soluzione di continuità avvenuta nel 1994.

    Pia Locatelli, Presidente dell’Internazionale socialista donne, intervenendo al congresso del Pse a Praga, nella sessione sulla crisi finanziaria internazionale ha parlato della crisi in corso. "La finanza è uno strumento, non un fine in sé e la crisi in corso non è frutto di casualità, ma il risultato di ben precise scelte politiche”,ha detto.

    “Troppe sono le vittime della crisi, - ha continuato l’esponente socialista - occorre compiere scelte politiche di governo dell'economia, regolando il segreto bancario, favorendo la trasparenza e l'affidabilità dei sistemi finanziari. I fallimenti dei vertici di grande banche e istituzioni finanziarie, un mondo molto maschile e maschilista, suggeriscono anche che l'apertura alle donne anche in questi ambiti sarebbe un progresso, e del resto è provato – conclude Locatelli - che le donne al vertice degli istituti finanziari mostrano di solito una performance più prudente e equlibrata”.

       
Elzeviro

A proposito di modernità

di Gerardo Milani 
 
La modernità (concetto unilaterale e riduttivo) non coincide necessariamente con la contemporaneità. Essa è una forma particolare della contemporaneità, affermatasi con l’emergere di un senso storico e di una coscienza individuale in epoca umanistica e con il manifestarsi di un processo dinamico di superamento dello stadio di civiltà feudale e gentilizia a fondamento agricolo. I presupposti scientifici (l’indagine sul mondo della natura) risalgono al Rinascimento, mentre la sua fase di pieno sviluppo coincide con le grandi rivoluzioni di fine Settecento (la costituzione degli Stati Uniti d’America e la Rivoluzione francese) e la dominanza della cultura tecnico-scientifica. Nella coscienza individuale la modernità, così radicata nella finitezza della storia, si è costituita come percezione del presente, del nostro essere qui ed ora, e del suo costruirsi con un carattere, transitorio e fuggevole, di assoluta singolarità. Roland Barthes ha voluto intenderla come un’avventura proiettata verso la periferia, oltre gli ambiti di verità fondati su concezioni razionalistiche, in contrasto con il movimento centripeto proprio del culto dell’antico. Essa ha assunto, come suo tratto distintivo, una qualità trascendentale interna al soggetto e indipendente dall’esperienza storica. Ci è apparsa e appare tuttora ciò che non è, ossia una condizione umana essenziale e perenne legata alla concezione di un tempo lineare e fondata sull’idea della capacità dell’uomo di autodeterminarsi e progettare il futuro. Forte del suo cammino secolare, nella sua presunzione di superiorità si arroga illegittimamente il diritto di essere eterna.

    Nel corso del Novecento tramonta la fase propulsiva e ottimistica, mentre insorgono scadenze ultimative che investono le sorti del nostro pianeta spazzato dal “vento globale” e soggetto a mutazioni climatiche e antropologiche. Nello stesso tempo la definitiva rottura con il passato operata dalle avanguardie ha consacrato il trionfo di una contemporaneità “absoluta” e avvolgente, simile a una sorta di bunker inaccessibile, uno spazio/tempo chiuso e insonorizzato, sorvegliato da sentinelle tecnologiche ad alta specializzazione. Conseguenza inevitabile: l’uscita, dalla scena, del futuro, tra le determinazioni temporali quella con funzione primaria. Alla fine degli anni Settanta Jean-François Lyotard (sostenitore della fine delle “grandi narrazioni”) ha parlato di condizione umana “postmoderna”. Zygmunt Bauman ne analizza oggi i risvolti “liquidi”, contraddittori e sfuggenti.

    In relazione alle drammatiche contingenze del nostro Paese, interessa constatare il fallimento del progetto etico sotteso all’Illuminismo, cuore della modernità. Venuta meno la fiducia nella positiva moralità della ragione (insieme con l’idea di armonia e ordine delle relazioni umane), la coscienza individuale ha dimostrato la sua inconsistenza, la sua incapacità “ontologica” di mediare una coscienza collettiva, un Noi in grado di dispiegarsi e operare per il bene comune. Alla coscienza intenzionale, motivata da impulsi morali, si è sostituita, come surrogato, una coscienza empirica, opportunistica, totalmente immersa nel commercio delle cose. La fine del “viaggio” conoscitivo dell’Illuminismo ha coinvolto il destino della sinistra (e della sua versione socialista) nata dalla Rivoluzione francese nei giorni convulsi della Convenzione. Essa è e rimane oggi quello che fu all’origine: una somma di opinioni individuali. Devastata da un processo incontrollabile di frammentazione (fenomeno intrinseco e costitutivo della realtà postmoderna, governato da Eris, nume della discordia), per dirla con Besostri, appare animata da “spinte irrazionali in direzione mortale”. Vittima, aggiungo, di una patologia maligna, un’ipertrofia dell’io che chiamerei “singolarismo”.

      Milan Kundera in un suo romanzo (L’identità ) fa dire a un personaggio: “L’invenzione di una locomotiva contiene in germe il progetto di un aereo, che a sua volta conduce inevitabilmente al missile interplanetario. Questa logica è insita nelle cose stesse – in altre parole, fa parte del progetto divino”.

    Può essere. Che il nostro mondo sia assoggettato ai voleri di una divinità malvagia?