Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Aldo Ferrara *)
Per modulare il cambiamento climatico, i paesi industrializzati dovranno ridurre le emissioni di gas serra del 60-80 per cento in pochi decenni: il settore elettrico produce il 40% delle emissioni globali di CO2. Pur vantaggioso da questo punto di vista, se si considerano tutte le fasi del ciclo - dall’estrazione dell’uranio, alla produzione dei combustibili, alla gestione delle scorie per millenni - il nucleare non è zero emission. La principale arma di sostegno al nucleare è il costo del petrolio legato alla sua relativa futura indisponibilità per esaurimento. Quindi costi incrementati per squilibrio della domanda nettamente superiore all’offerta. Ma anche l’uranio è una risorsa finita. Il 58% delle riserve conosciute si trova in tre paesi: Australia, Kazakhstan e Canada. Ai tassi di consumo attuale, sono sufficienti solo per cinquanta anni. Il prezzo dell’uranio, almeno fino alla fase di arricchimento (uranio arricchito) incide ancora poco sul prezzo finale dell’energia nucleare. Ma se il suo uso dovesse crescere molto, l’uranio diverrebbe sensibilmente scarso nel giro di pochi decenni, nonostante sia probabile che ne esistano riserve più ampie di quelle oggi conosciute. In effetti,analizzando le condizioni necessarie per uno sviluppo intensivo del nucleare, bisogna far fronte a quattro momenti critici: i costi, la sicurezza, la gestione delle scorie e la proliferazione.
I costi gestionali.L’Agenzia Internazionale per l’Energia aveva valutato nel 2006 il costo del Kwh nucleare come competitivo con quello sviluppato dalle centrali termo-elettriche convenzionali ossia pari a 6-7 cent/ kWh. In quel periodo il barile era a 70 dollari/barile, mentre oggi ha superato i 100 dollari. Apparentemente dunque la convenienza del nucleare, stimata a 3-4 cent/ Kwh, sarebbe massima. Ma le cose non stanno così. Ora la Spesa annuale per la gestione della centrale ( SA) dipende da numerosi troppi fattori. In primis, il Fattore Finanziario Totale (FFT) che dipende da ratei annuali da pagare per la restituzione del capitale, il deprezzamento della struttura, i costi di mantenimento ordinario e quelli di intervento straordinario, tutti elementi che ,come noto , nelle centrali nucleari, ad alto rischio di inquinamento, dovrebbero essere sottoposti a monitoraggio continuo e quindi con alti costi di esercizio. Poi compaiono due fattori: la quantità di energia prodotta dalla centrale ed il costo del combustibile. La prima, energia prodotta, è di circa 6600-770 Kwh/Kw per quelle tradizionali e pari a quelle nucleari che dalle prime si differenziano non per capacità di produzione dell’impianto ma per natura del combustibile impiegato. Ed infatti a valle della fase di produzione di calore, la trasformazione di questo in energia prevede medesime tecnologie e strutture poiché la conversione termoelettrica si avvale di impianti termoidraulici simili a quelli delle centrali convenzionali. Per quanto attiene ai costi del combustibile, l’uranio presenta costi in crescita per la sua relativa progressiva indisponibilità. Inoltre, a differenza del petrolio, l’uranio non si brucia come tale ma attraverso fasi diverse che richiedono materiali ad hoc. Innanzitutto viene arricchito, poi liberato sotto forma di esacloruro di uranio, poi trasformato in solido (ossido di uranio arricchito) e quindi ridotto in pallets pronte per la combustione. Inoltre il coefficiente di rendimento energetico è più basso del petrolio, a causa della necessaria presenza di uno scambiatore di calore. Dunque il costo di 3-4 cent per Kwh appare assolutamente aleatorio se non mistificatorio.
*) Associazione R.E.D.S. - http://associazionereds.com/