domenica 5 novembre 2017
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martedì 31 ottobre 2017
Freschi di stampa, 1917-2017 (22) - Ancora i due duellanti di Russia


Mentre L'ADL del 18 agosto 1917 va in stampa, il movimento operaio internazionale è diviso più che mai. E l'editoriale, a firma di Luigi Rainoni, riassume questa spaccatura nel nome dei due duellanti di San Pietroburgo: Lenin, Kerensky e la sconfitta russa, recita il titolo dell'articolo. In esso troviamo un ritratto del futuro fondatore dell'URSS: «Nel 1903 egli si separa dai compagni Martoff e Axelrod e fonda la frazione dei così detti “bolscevichi”… Già prima della rivoluzione del 1905 discuteva e preparava l'insurrezione armata. Lo zar gli aveva impiccato un fratello» (ADL 18.8.1917).
Secondo alcuni critici, fanatizzato dal desiderio di vendetta per il fratello, Lenin è «un tipo a cui manca “la finezza dello spirito latino”». Finezza che Rainoni giudica però alla stregua di «una reminiscenza petrarchesca…, sotto la quale si nasconde quella leggerezza ed evanescenza delle idee democratiche francesi» (ADL 18.8.1917).
La questione delle "libertà borghesi" costituisce già un tema virulento nel confronto in atto all'interno del campo rivoluzionario. Ezio Mauro ricorda il vecchio amico di Lenin, Maksim Gor'kij, che già nel giugno 1917 stronca l'ideologia bolscevica: «Prima nelle lettere private: "Sono i veri idioti russi. Li disprezzo e li odio ogni giorno di più". Poi in un articolo sul suo giornale…: "Sia Lenin che Trockij non hanno nessuna idea di ciò che significhino la libertà e i diritti dell'uomo"». Gor'kij polemizzerà anche con Zinov'ev capo del partito a Pietrogrado accusandolo di “crimini vergognosi”.
Ma ora, due mesi dopo quel giugno 1917, Lenin è di nuovo esule e perseguitato, mentre Kerenskij governa su tutte le Russie, perseverando in una guerra che violenta il sentimento popolare. Perciò L'ADL, accantonando antiche differenze con il leader bolscevico, lo difende: «Epurato di tutte le artate esagerazioni, il pensiero leniniano nell'immane sommovimento russo, può riassumersi benissimo nelle ripetute dichiarazioni di Zineviov: lotta per impedire la contro-rivoluzione…, scioglimento della Duma e del suo Comitato esecutivo, governo esclusivamente socialista, pubblicazione dei trattati segreti, realizzazione del programma socialista» (ADL 18.8.1917).
Qui Rainoni relativizza: «Più che mirare alla effettuazione precipitata del socialismo», Lenin intende soprattutto «assicurare il potere indebellabile di quelle forze, che sono per il socialismo». Tutto il potere ai Soviet! In realtà, i bolscevichi non dicono quel che dicono intendendolo in senso metaforico. Manca loro, per l'appunto, l'esprit de finesse…
Poi c'è la vexata quaestio della “pace separata” con la Germania. E L'ADL non ci può ancora credere perché ogni cuore e ogni mente socialista deve volere la “pace universale”. E così persino i "menscevichi" si battono per la cessazione del macello: «Noi domandiamo l'immediata conclusione di un armistizio generale, noi vogliamo la pace» (ADL 18.8.1917).
Questa “chiara valutazione” – che a Pietrogrado è sostenuta “da quattrocentomila lavoratori” – non piace ovviamente alla stampa "guerraiuola" dell'Intesa. La “Morning Post”, per esempio, dipinge il movimento operaio russo come un'accozzaglia di «agenti pagati dalla Germania», lamenta Rainoni. Per il quale Lenin, il duellante bolscevico, è «l'uomo più chiaro, più risoluto, più ardito, molto superiore a Kerensky». Il cui Governo provvisorio continua a combattere fedele all'Intesa. Nella conduzione degli altri affari di Stato il duellante laburista però è ondivago. Di lì a qualche giorno batterà in breccia i contro-rivoluzionari, ai quali aveva lasciato fare per un po', ordinerà l'arresto degli ufficiali ribelli, libererà i bolscevichi, incarcerati un mese prima.
Ma l'Offensiva Kerenskij è stata un «salto nel buio, una follia», anche e soprattutto sul piano militare: «L'esercito rivoluzionario non può attaccare fintanto che ogni soldato non abbia l'assicurazione ch'egli combatta per la causa della libertà e della rivoluzione. Per conseguenza se l'attività del governo nel dominio della politica estera non abbia tolto tutti i dubbi relativi agli scopi ed al carattere della guerra, l'attacco non può aver luogo», si leggeva sulla “Isvestia” agli inizi di giugno. L'azione è giudicata “pericolosa” da tutti i social-democratici. Persino la stampa dell'Intesa riporta all'inizio di giugno «che "tutti i giornali socialisti russi continuano a combattere apertamente l'idea di un'offensiva". Zernoff critica e sconfessa Kerensky. Il generale Alexieff è costretto dal “Soviet” a dimettersi in seguito ai suoi sfoghi oratori patologici per l'attacco immediato» (ADL 18.8.1917).
Nel corso di quei giorni, tuttavia, «il “Soviet” cade nelle perplessità e inclina alle concessioni», c'informa l'editoriale. E a nulla vale la protesta di Lenin al Congresso panrusso contro un'offensiva che in quel momento sarebbe «la continuazione della guerra imperialistica». Ma forse è proprio lo scontro verbale tra Lenin e Kerenskij a spostare l'ago della bilancia. Il duellante bolscevico propone di arrestare centinaia di imprenditori in quanto tali. Il duellante laburista sale sul palco subito dopo per opporsi. E Lenin abbandona platealmente la sala.
In quest'atmosfera altamente drammatica «il “Soviet” scivola il primo passo sulla via dell'offensiva "considerandola una questione puramente strategica"». In seguito, Lenin e i bolscevichi verranno accusati di disfattismo: «Ma Repington, il freddo critico militare inglese, aveva scritto che "l'offensiva non può essere l'effetto di una improvvisazione o di qualche impulso generoso, ma richiede una minuta lunga preparazione, una grande disciplina, uno Stato Maggiore allenato, un ordine perfetto nelle retrovie, le comunicazioni assicurate"» (ADL 18.8.1917).
Per inciso, il problema delle comunicazioni, cioè la netta superiorità austro-germanica nell'uso di questa tecnica, costerà all'esercito italiano, proprio in questi un secolo fa, lo sfondamento di Caporetto.
La Caporetto di Kerenskij avviene attraverso la Galizia e l'Ucraina causando una ritirata di 240 chilometri: «Il grande e tragico errore è stato commesso, appunto, dall'impulso non generoso, ma folle del Kerensky», osserva Rainoni: «La compagine ministeriale era già scossa dalle radici dagli aspri contrasti sulla riforma agraria, sulla proclamazione della repubblica, sull'elezione per la Costituente. Troppo forte fu la spinta del Lenin provocando pubbliche manifestazioni armate durante una situazione militare artificiosa e fragile, che doveva essere prima o poi rotta dalle truppe del Kaiser» (ADL 18.8.1917).
E la conclusione è che Kerenskij «è la prova vivente che le idee vaghe e le esplosioni frasaiuole sono, se riescono a imporsi, una grande rovina per le nazioni rivoluzionarie». Ormai, la rivoluzione russa è quasi perduta. Potrà salvarsi solo se muterà strategia in senso difensivistico. A tale scopo sarebbe necessaria, però, la formazione di un nuovo governo fondato sull'alleanza di tutti i socialisti, dai massimalisti ai minimalisti, sostiene Rainoni.
(22. continua)
Freschi di stampa, 1917-2017 (21) - I massimalisti russi


I massimalisti russi è il titolo di un articolo che inizia a centro pagina sull'ADL dell'11 agosto 1917 e va a concludersi nelle tre colonne di spalla. La sigla "a.g." e l'indicazione di provenienza da “Il Grido del popolo di Torino” segnalano che l'autore qui è un ventiseienne di nome Antonio Gramsci.
Non sappiamo se il giovane dirigente socialista sia a conoscenza o meno dell'evoluzione politica in Russia in tutte le sue determinanti. Non pare, per esempio, che Gramsci sappia già della fuga di Lenin in Finlandia o delle determinazioni di Kerenskij circa la continuazione della guerra. Certo è che Lenin e Kerenskij, anche per il futuro fondatore del PCdI, sono i gran duellanti di Russia, l'uno campione massimalista, l'altro dei socialisti moderati. Quel che emerge dallo scritto non è "l'analisi concreta di una situazione concreta", ma piuttosto un ragionamento speculativo, con retrogusto di sapore neo-idealista.
Aleksandr Kerenskij e i socialisti moderati «sono l'oggi della Rivoluzione, sono i realizzatori di un primo equilibrio sociale», questa la premessa gramsciana. Grazie ai moderati dell'oggi: «la Russia ha avuto però questa fortuna: che ha ignorato il giacobinismo». Nella nuova Russia nata dalla Rivoluzione di Febbraio vige il pluralismo. Perciò si sono formati numerosi gruppi politici «ognuno dei quali è più audace, e non vuole fermarsi, ognuno dei quali crede che il momento definitivo che bisogna raggiungere sia più in là, sia ancora lontano». La lotta va avanti: «tutti vanno avanti perché c'è almeno un gruppo che vuole sempre andare avanti, e lavora nella massa, e suscita sempre nuove energie proletarie, e organizza nuove forze sociali che minacciano gli stanchi, che li controllano e si addimostrano capaci di sostituirli, di eliminarli se non si rinnovano... Così la rivoluzione non si ferma, non chiude il suo ciclo» (ADL 11.8.1917).
La constatazione dell'instabilità politica russa assume in Gramsci i contorni di un'ontologia del movimento storico. In esso la Rivoluzione per propria natura intrinseca: «Divora i suoi uomini, sostituisce un gruppo con un altro più audace e per questa instabilità, per questa sua mai raggiunta perfezione è veramente e solamente rivoluzione». In Gramsci la storia stessa sembra procedere in analogia con il lavoro umano e – così come c'è un lavoro “morto” che vediamo imprigionato nel capitale e nei mezzi di produzione e c'è un lavoro “vivo” che vediamo sprigionarsi dall'attività operaia – così c'è una storia “morta” dentro la stabilità delle istituzioni, in contrasto con l'azione rivoluzionaria che è storia viva. Di più, la rivoluzione e “vita” tout court, e anzi: «Tutta la vita è diventata veramente rivoluzionaria: è un'attività sempre attuale, è un continuo scambio, una continua escavazione nel blocco amorfo del popolo» (ADL 11.8.1917).
Con chiaroveggenza divinatoria è evocata l'immagine dell'incendio cosmico, che «si propaga, brucia cuori e cervelli nuovi, ne fa fiaccole ardenti di luce nuova, di nuove fiamme... La rivoluzione procede fino alla completa sua realizzazione». In questo stato nascente vengono suscitate nuove energie e propagate nuove “idee-forze”, sicché gli stadi graduali dell'evoluzionismo sociale possono essere bypassati dal pensiero vitalistico-rivoluzionario. Esso in via di fatto «nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie fra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale. Queste esperienze basta che si attuino nel pensiero perché siano superate e si possa procedere oltre» (ADL 11.8.1917).
Ma i massimalisti devono ora entrare in scena come “ultimo anello logico di questo divenire rivoluzionario”. Il punto d'arrivo dell'intero movimento non può abitare nella casa dei riformisti che rappresentano solo uno stadio dialettico transitorio. Ma tutto deve approdare infine ai massimalisti che incarnano l'essenza dell'evento e «sono la continuità della rivoluzione, sono il ritorno della rivoluzione: perciò sono la rivoluzione stessa» (ADL 11.8.1917).
Se Kerenskij è la stazione di partenza, quella d'arrivo si chiama dunque Lenin. E il futuro fondatore dell'URSS ha ormai «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo. Sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti» (ADL 11.8.1917).
La tempesta vitalistica scompone e ricompone gli «aggregati sociali senza posa e impedisce… il formarsi delle paludi stagnanti, delle morte gore». Dopodiché, seconda divinazione di Gramsci, financo «Lenin e i suoi compagni più in vista possono essere travolti nello scatenarsi delle bufere che essi stessi hanno suscitato». Ed è proprio questo il travolgimento che, in effetti, accadrà già a partire dalle prime dure repliche della storia.
E a quel punto Antonio Gramsci, non più ventiseienne in Torino, inizierà a lavorare al nucleo della sua riflessione filosofica più propria, l'idea-forza di una “egemonia culturale” intesa come conditio "sovrastrutturale" della rivoluzione proletaria. L'egemonia deve avere luogo anzitutto nella coscienza delle masse. Senza il loro consenso s'instaurerebbe, infatti, soltanto un “dominio” fattizio: un'oppressione violenta, “giacobina”, sostanzialmente instabile.
In questo modo, però, l'idea-forza gramsciana approderà a un luogo molto distante rispetto a quello dell'assalto alle casematte del potere che il “massimalismo” leniniano si appresta a celebrare con la presa del Palazzo d'Inverno. La sua “egemonia culturale” si collocherà semmai nei pressi della teoria della “rivoluzione sociale” che il riformista Turati tratteggerà a Livorno nel gennaio del 1921.
(21. continua)
Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.
Freschi di stampa, 1917-2017 (20) - Notte bianca come non te l'aspetti


L'ADL del 3 agosto 1917 “celebra” il terzo anno di una guerra, scoppiata il 28 luglio 1914, che è già costata almeno dieci milioni di morti. L'Italia è “belligerante” dal maggio 1915, in seguito a un colpo di mano istituzionale. L'ADL del 3 agosto 1917 va in stampa dodici mesi dopo la Sesta battaglia dell'Isonzo (Gorizia) che era iniziata il 4 agosto del 1916 e si era conclusa tredici giorni dopo, con un bilancio di circa cinquanta mila morti da entrambe le parti. Fu uno dei massacri più assurdi che la storia militare ricordi, la cui memoria risuona nelle note di "Gorizia, tu sei maledetta!", la canzone clandestina che veniva intonata sul fronte del macello in quei giorni ( vai al video su YouTube ).
Quando esce L'ADL del 3 agosto 1917 mancano ottantatré giorni all'inizio della Dodicesima battaglia dell'Isonzo (Caporetto) che provocherà circa tredicimila morti italiani e altrettanti nell'esercito austro-ungarico, oltre che un milione di profughi civili trasferiti dal Friul-Veneto alle altre regioni d'Italia. Lo sfondamento del fronte azzererà ogni pur magro risultato "irredentista“ finora comprato dal regio governo ”con alto tributo d'italico sangue".
Dalla Russia rivoluzionaria, intanto, arriva un'altra sorprendente lettera di Angelica Balabanoff. A San Pietroburgo si percepiscono ormai tutte le inevitabili avvisaglie di un'incipiente guerra civile: «Più si va avanti, più scarso diventa il numero di cittadini capaci di credere che l’attuale assetto della Russia sia il suo assetto definitivo. In tutti, reazionari e rivoluzionari, è la consapevolezza profonda che così non si può andare avanti, che bisogna cambiare, consolidare», esordisce la Dottoressa Angelica: «Qui la battaglia si combatte su due fronti. Il fronte strategico è lontano dai vostri occhi, ma quello sociale è qui… e nessun atto della tragedia sfugge!» (ADL 3 agosto 1917).
Bisogna cambiare, consolidare: ma che significa? Vuol dire che si deve andare avanti «sulla via delle conquiste, dar loro un contenuto sociale, eliminare sempre più tutto ciò che nelle conquiste rivoluzionarie v’è stato di accidentale; dare al vero protagonista della rivoluzione, al proletariato, il posto che la storia gli assegna», spiega la Balabanoff.
Ma un grido «erompe dall’animo del colosso» – aggiunge la dirigente internazionalista. E quel grido «non lo andate a cercare nei “meeting”… nei quali, annunziati da grandi manifesti, esibiscono la loro arte oratoria emissari di paesi alleati che, in una lingua dal popolo non compresa, esaltano le barbarie della guerra, e parlano gli specialisti della guerra come Kerensky ed esibiscono la loro arte delle ballerine. Ivi non troverete il popolo» (ADL 3 agosto 1917).
Dai ritrovi mondani sciamano le entusiaste signorine di buona famiglia: «Che angelo il Kerensky! Che simpaticone, e che musica incantevole! Abbiamo speso bene la serata e il denaro dell’ingresso», così si burla di Kerenskij e delle sue “signorine” la veterana del femminismo Balabanoff.
Il popolo, invece, “comizia” in piazza: «Nell’atrio della Duma, nelle grandi officine dove lavorano decine di migliaia di operai, e si ha un bel dare la caccia a Lenine ed ai suoi seguaci: l’anima della nuova Russia si plasma là ove la borghesia vorrebbe che si fabbricassero soltanto merci, armi per la guerra fratricida», è la diagnosi della Dottoressa. E qui anch'essa ci presenta il laburista Kerenskij (nuovo capo del Governo provvisorio) e il bolscevico Lenin (di nuovo esule, in Finlandia) cime i due punti di riferimento nello scontro in atto, che lacera il campo socialista tra internazionalisti e fautori della lealtà nazionale.
Il sentire della Piazza ha divorziato dalla sordità del Palazzo. E «s’illuderebbe chi credesse che in quei comizi improvvisati si facciano dei ragionamenti semplicisti. L’animo russo non si appaga di interpretazioni superficiali od unilaterali; quel bisogno di approfondire, di complicare, magari, che l’Europa occidentale ha scorso, ammirandola o odiandola, negli scrittori russi si manifesta nelle spontanee radunate del popolo» (ADL 3 agosto 1917).
Formalmente, tra i due duellanti della nuova Russia, la Balabanoff si mostra sulle prime fautrice di una terza via equidistante: «Vogliamo pace, terra, libertà; vogliamo pane, né pace separata coll’imperialismo germanico, né trattati segreti coll’imperialismo dei paesi alleati». Simmetria apparente, però, perché: «in nessuno dei paesi martorizzati dalla guerra l’avversione ad essa può essere profonda come in Russia». Ed è per questo che, alla fine, «non giovano i bei discorsi del Kerensky, fatti per convincere le signorine della necessità di battersi e di morire sul fronte lontano», necessità astrattamente altrui (ADL 3 agosto 1917).
Il Palazzo resta sordo alla voce del popolo, denuncia Angelica, senza lasciarsi sedurre dal potere, nuovo o vecchio che sia. Così, dopo avere frequentato importanti riunioni e congressi, «io cerco di sentire, di ascoltare quella voce. E la colgo anche nei ritrovi quasi esclusivamente femminili, nelle “code”». La vecchia femminista contrappone alle signorine di Kerenskij non tanto, o non subito, i soldati "martorizzati", quanto le badanti, le casalinghe e le operaie dalle quali l'8 marzo era pur scoccata la scintilla rivoluzionaria. Sono le donne delle “code” che «in piccolo, in forma concentrata rispecchiano la sconfinata pazienza sovraumana di quella maledetta rassegnazione di cui sono dotati i diseredati di tutti i paesi e anzitutto quelli della Russia» (ADL 3 agosto 1917).
«Donne e bambine di tutte le età, ma, naturalmente, non di tutte le classi», stanno in fila ad aspettare un paio di scarpe o un pezzo di pane e intanto «allattano i bambini, ivi pregano, fanno la calza e magari leggono un giornale o un libro», come fosse la situazione «più naturale del mondo» (ADL 3 agosto 1917).
Ma poi c'è che la capitale pullula anche di nuovi paria, gli ultimi degli ultimi: i cinesi! «Persino nell’incredibile disordine e nella sporcizia delle strade russe saltano agli occhi i poveri cinesi! Sembrano dei cenci fatti di carne ed ossa… Tante volte il vostro piede s’imbatte in essi, raggomitolati nelle vicinanze delle stazioni, sulle soglie delle chiese.» Dopo le donne, le vedove della guerra e gli orfani, e persino sotto i soldati mutilati che almeno passano la notte in ospedale, ci sono questi stranieri dell'estremo oriente “liberati” dalla santa madre Russia. Qualche giorno prima di scrivere la lettera all'ADL su un tram «un cinese venne trattato con sgarbo, gli si rivolse una di quelle apostrofi colla quale si saluta un ospite sgradito (…). Il cinese non comprende, rimane impacciato, ed allora (…) gli si dà un lieve spintone perché non fa passare il passeggiero. Allora, un vecchietto, con le stigmate della fatica e della fame in volto, dice: “Lasciatelo in pace, non vedete che in mezzo a noi è un muto?». Ascoltare il popolo, ascoltare le donne, ascoltare i muti… Ascoltare tutti quelli che stanno in coda. «Centinaia di cinesi… fanno parte della schiera dei pazienti e bastonati che aspettano il turno nei dintorni dei negozi» (ADL 3 agosto 1917).
E dopo aver detto delle “code” in generale, passiamo ora a quelle notturne: «Già alle dieci, talvolta alle sei del pomeriggio, cominciano a formarsi le cosiddette “code” per l’accesso al negozio di scarpe o di alimentari che si aprirà all’indomani. Donne e uomini, madri di famiglia e donne di servizio si siedono o si coricano alla meglio, si premuniscono, oltre che di pazienza, anche di un “samowar” o di un cuscino, e stanno lì delle serate e delle nottate intere». In effetti, questo tipo di nottate appare lontano dal tipo vita di Palazzo. E la Dottoressa Angelica si domanda fino a quando durerà la pazienza, tanto più che «durante le ore d’involontario ozio, questi secolari schiavi emettono dei giudizi e fanno dei ragionamenti che vi danno la certezza che verrà il momento in cui le porte e i depositi di merce dovranno cedere all’ira popolare» (ADL 3 agosto 1917).
«Butto giù queste poche, disordinate righe, tornando alle due di notte da un comizio tenuto a Crasnoye Sielo in un club di soldati socialisti. È una notte bianca. Potrei fare anche a meno del lume per scrivere», annota Angelica. “Poche e disordinate righe”: come a dire che l'accenno ai soldati è del tutto casuale. Ma poi conclude, et in cauda venenum, con linguaggio solo lievemente cifrato: «Passo vicino i palazzi della Kcechinsky sul cui tetto sventolano bandiere rosse: “Comitato Centrale del Partito Socialista Operaio Russo, Organizzazione militare aderente al Partito Socialista Operaio”» (ADL 3 agosto 1917).
“Organizzazione militare aderente”... Notte bianca. Ottobre rosso. Il dado è tratto. Firmato Balabanoff.
(20. continua)
mercoledì 11 ottobre 2017
Freschi di stampa, 1917-2017 (19) - Danton, Robespierre


Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.
L'articolo di spalla in prima sull'ADL del 28 luglio 1917 parla dei due leader emergenti nella nuova Russia. “Su Lenin e Kerensky” è il titolo dell'articolo, firmato I. M. Schweide, che si conclude con queste testuali parole: «Se Lenin è un Robespierre, Kerensky è, piuttosto che Thiers, Danton!».
Sicché Kerenskij somiglierebbe politicamente al popolare capo dei Cordiglieri nella Francia rivoluzionaria, a Georges Jacques Danton che nel 1792 viene nominato Ministro della Giustizia, nel 1793 eletto primo Presidente del Comitato di salute pubblica, nel 1794 ghigliottinato su pressione del Comitato di salute pubblica.
I tempi della Russia rivoluzionaria sono più veloci, ma le analogie non mancano: anche Aleksandr Fëdorovič Kerenskij inizia la carriera ministeriale nel Governo Provvisorio (marzo 1917) e, al momento in cui appare l'articolo di cui parliamo (luglio 1917), presiede il Governo Provvisorio. Gli manca, dunque, “solo” di subire un'esecuzione capitale su pressione del Governo Provvisorio. Ma a quella sfuggirà per un palmo (novembre 1917), riparando in Francia.
Se già Kerenskij inizia, dunque, ad assomigliare al suo Danton, egli non può, però, essere in alcun modo accostato a un Adolphe Thiers.
Chi è costui? Esponente monarchico fino al 1840, Thiers viene nominato quell'anno Primo Ministro di Francia, ma si dimette per divergenze con Luigi Filippo e muta convinzioni nel senso di un repubblicanesimo liberal-conservatore.
Luigi Filippo abdica nel 1848, e nasce la Seconda Repubblica Francese, alla cui presidenza viene eletto Luigi Napoleone Bonaparte, che Thiers dapprima sostiene. Poi inizia a osteggiarlo, quando nel 1852 quello, tramite un colpo di Stato, trasforma la Seconda repubblica in Secondo impero, di cui Luigi Bonaparte si pone a capo con il nome di Napoleone III. Il piano inclinato del potere lo condurrà alla guerra Franco-Prussiana e al disastro.
Dopo la disfatta di Sedan, la caduta dell'imperatore e la nascita della Terza Repubblica Francese, Thiers assume la guida delle trattative con la Prussia. Il 17 febbraio 1871 viene eletto alla presidenza del governo provvisorio e trasferisce il Parlamento nella reggia di Versailles. Questo sfregio simbolico insieme alle condizioni antipopolari della pace stipulata con Bismarck provocano un forte rigetto generale, sicché il 18 marzo la capitale francese insorge fondando la Comune di Parigi.
Parigi 1871 – La barricata di boulevard Voltaire
Prima esperienza storica di governo socialista, la Comune adotta come proprio simbolo la Bandiera Rossa, secondo il colore del bonnet rouge giacobino. Ma di rosso si tingeranno a breve anche le strade della Ville Lumière, e persino le acque della Senna, perché la Comune di Parigi verrà letteralmente schiacciata nel sangue.
L'assedio della città si conclude il 28 maggio 1871 e nella sola prigione della Roquette vengono uccisi 1'900 comunardi. Altri 400 vengono gettati in un pozzo del Cimitero di Bercy. L'azione repressiva del Governo Thiers comporta, nel giro di pochi giorni, un numero di vittime che gli storici stimano in decine di migliaia. Durante la “settimana di sangue” (21-28 maggio 1871) si consuma il più sanguinoso massacro della storia della Francia, ancor più sanguinario della Strage degli Ugonotti del 1572, e più tragico persino di tutto il Terrore rivoluzionario nel biennio 1793-1794.
Tutto questo si replicherà in Russia. E verrà anche di peggio. Ma lo si può già vedere nei segni dei tempi? Certo è che nel social-rivoluzionario russo Kerenskij non si nasconde un macellaio “liberale” come Thiers. Eppure nella coscienza pacifista di Schweide: «I fratelli hanno ucciso i fratelli: / Questa orrenda novella vi do». Nei versi tratti dall'ode manzoniana sulla Battaglia di Maclodio Schweide ci fa balenare il protagonista vero della vicenda russa a venire: la disumanità “fraterna”. Perché «questa “novella” sarà tragica realtà finché… battaglia contro battaglia, guerra contro guerra, forza contro forza, vita contro vita… saranno insomma la ragion suprema di ogni partito, di ogni classe sociale, tendente alla conquista di nuove forme di progresso umano» (ADL 27.7.1917).
I fratelli, prosegue Schweide, continueranno, a uccidere i fratelli «in nome della guerra… in nome della pace… la pace come la guerra, per affermarsi, per vincersi, per sovrapporsi». E ciò ricorrendo al medesimo mezzo: «l'uccisione; al medesimo fine: il trionfo dei propri interessi morali e materiali a danno degli altri interessi» (ADL 28.7.1917).
Kerenskij e Lenin – provenienti entrambi dalla piccola nobiltà di Simbirsk, concittadini, l'uno al Governo, l'altro di nuovo in esilio – sembrano prigionieri di un solo destino: «Citiamo questi due nomi perché essi, al disopra ed all'infuori delle proprie persone, incarnano due fonti correnti d'opinioni».
Lenin «ha vinto la partita, a danno della propria organizzazione, momentaneamente indebolita e perseguitata ed isolata». Kerenskij, invece, è circondato dalla «solidarietà nazionale generale e da quella particolare del Soviet», e ha appena dato il suo consenso «per una politica dittatoriale, bismarkiana, in senso russo», chiosa Schweide.
Lenin «non si attendeva però che Kerensky espropriasse il suo principio», consistente nella «espropriazione dello stato da parte degli organi dei “Soviet” anche a costo di dominare colla dittatura» (ADL 28.7.1917).
A Kerenskij sembra arridere la vittoria, ma la sua posizione, in realtà, è debolissima, perché egli continua una guerra odiata dal popolo russo. E però «una debolezza non meno grave è stata da parte di Lenin nel credersi troppo forte»: uomo d'indomabile forza rivoluzionaria, ma pare come «acciecato da questo esclusivismo parziale e talvolta settario – nel senso buono della parola, si capisce», che lo induce a «forme di lotta sproporzionata alle forze delle masse lavoratrici di cui egli può disporre» (ADL 28.7.1917).
Lenin è stato «il primo a seminare il verbo zimmerwaldiano, internazionalista» in Russia, egli è capace di fare «germogliare il seme della pace generale, sociale, internazionale», si legge. Lenin ha tanto patito, non come certi damerini. Lui «non ha mai dato un colpo senza attirare sulle proprie spalle il contraccolpo». E qui anche Schweide gli assesta un altro bel colpo: «Il suo maggior merito è quello delle operazioni chirurgiche in seno al partito, alle organizzazioni proletarie: scissioni, scissioni e scissioni».
Scissioni che “indirettamente e senza volerlo” hanno favorito gli avversari: «E nell'archivio… della spiocrazia russa, sono stati scoperti dei documenti in cui funzionari di polizia rilevavano i benefici che reca allo zarismo la politica secessionistica dei leninisti» (ADL 28.7.1917).
Ma Vladimir Uljanov è di “una purezza illimitata”, ha un passato doloroso e integerrimo: «Quando il fratello… fu impiccato dallo zarismo, egli giurò di vendicare con ogni mezzo lecito il sangue fraterno. Giurò morte allo zarismo. Lottò, congiurò, soffrì senza posare mai le armi. Avrà sbagliato ed ha sbagliato molte volte nella sua tattica. E sono soltanto le ragioni tattiche che ci dividono da lui e che da lui han sempre diviso l'“Avvenire” ed i socialisti italiani» (ADL 28.7.1917).
In questo andamento ondivago del suo dire sospeso, Schweide plana ora sul momento allora attuale, il momento in cui Lenin è di nuovo fuggiasco, in esilio, e «sopra di lui si sono riversate le ire di tutti gli imperialisti», sicché dunque «noi diamo tutta la solidarietà a questo audace campione del proletariato russo» (ADL 28.7.1917).
Quanto, invece, a Kerenskij, egli è «un laburista con tinta sociale che, per conservare in piedi il nuovo regime, ritiene necessaria la collaborazione della borghesia col proletariato. È partigiano dell'offensiva per valorizzare le forze del militarismo rivoluzionario – come lui afferma... È anti-annessionista e guerraiolo, perché non vede la possibilità di fare altrimenti» (ADL 28.7.1917).
L'uno ha tanto sofferto, ma sta per assumere il ruolo di Robespierre, l'Incorruptible. L'altro è un po' realista e un po' “guerraiolo”, ma gentile e raffinato: gli si addica la parte di Danton.
Ecco qua: due destini, nel gran valzer che la Storia Universale va danzando a San Pietroburgo nel 1917, sono assegnati.
(19. continua)