domenica 5 novembre 2017

Besostri: "Il Rosatellum 2.0? Un'altra legge truffa incostituzionale"*

 L'intervista a Felice Besostri, di Giacomo Russo Spena, è apparsa sul sito di MicroMega. Il titolo dell'intervista è quello originale.
 
"Col Rosatellum 2.0 stanno partorendo l'ennesima legge elettorale an­ti­costituzionale". Felice Besostri, classe '44, avvocato am­mi­ni­stra­ti­vi­sta, docente di diritto pubblico comparato ed ex Senatore dei Ds, ha proposto ricorsi contro le leggi elettorali adottate per il Parlamento europeo e le regioni Lombardia, Campania, Umbria, Sardegna e Pu­glia. Ma, soprattutto, è stato protagonista dei ricorsi, parzialmente vin­ti, contro il Porcellum e l'Italicum. Ora, da rappresentante del co­or­dinamento degli Avvocati Antitalikum, sta affilando le armi per la prossima battaglia giuridica, quella contro il Rosatellum 2.0. Il pros­simo 12 dicembre la Corte stabilirà l'ammissibilità del ricorso. "Già l'aver chiesto la fiducia rende questa legge incostituzionale, la Con­sulta la riterrà incompatibile coi valori della nostra Carta", afferma.
 
 
Una riunione degli "Avvocati Anti-Italikum"
 
Besostri, il Parlamento ha varato la terza legge elettorale consecutiva che verrà considerata incostituzionale?
    Siamo alla violazione dell'art 54 della Carta, il quale prevede che "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore". Qui, invece, non c'è limite alla decenza. In nessun altro Paese d'Europa sarebbe consentita una cosa del genere.
    Secondo l'editorialista del Corsera Aldo Cazzullo "lei è diventato un personaggio di culto come distruttore di leggi elettorali". Si riconosce in tale affermazione?
    Oltre ad essere un avvocato, sono un socialista e mi sta a cuore la nostra Costituzione. La gente ha combattuto per ottenere questa Carta ed è giusto difenderla con ogni mezzo.
    Al di là che il Rosatellum è passato con il voto di fiducia, quali sono i punti incostituzionali
    L'aspetto fondamentale è la violazione dell'art 48 della Costituzione che stabilisce che il voto debba essere segreto, libero, uguale e personale. Se tali caratteristiche del voto erano già negate con l'Italicum, ora lo sono negate in maniera persino maggiore.
    Il voto congiunto (tra collegio uninominale e liste per il proporzionale), le liste bloccate e le pluricandidature, sono questi gli altri elementi che vanno a minare i principi costituzionali?
    La prima e più importante ragione di incostituzionalità del Rosatellum 2.0 riguarda la impossibilità di esprimere la preferenza. I cittadini, in base alla nostra Carta,  hanno il diritto di scegliere i loro rappresentanti. Ma non sarà così: due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, saranno nominati da capi-partito con liste bloccate. Inoltre, un'altra cosa grave: nel sistema misto, stabilito dal governo, non scorporano gli eletti con i voti presi all'uninominale. In poche parole, i consensi all'uninominale vanno ad incrementare, alterandola, la quota proporzionale.
    Però è stato tolto il premio di maggioranza, considerato incostituzionale dalla Consulta, che invece era previsto con l'Italicum. Non è un buon segno?
    Siamo ad una truffa, il premio di maggioranza c'è ma è nascosto. Il partito che ottiene la maggioranza relativa nei collegi uninominali, otterrà un premio nella parte proporzionale. A differenza dell'Italicum non è quantificabile, però esiste eccome.
    Ci faccia un esempio concreto, per far capire i lettori…
    In base ai sondaggi, il M5S è dato al 25% al proporzionale mentre nel complesso, in Parlamento, dovrebbe avere il 20% degli eletti perdendo così quel 5% di differenza che andrà al partito che otterrà più voti nella parte uninominale. Come lo chiama questo se non premio di maggioranza?
    Per il costituzionalista Gaetano Azzariti questa legge tradisce l'elettore "facendogli credere che si sono costituite delle alleanze mentre i partiti rimangono tra loro separati, tanto è vero che il giorno dopo le elezioni potranno liberamente concordare governi e maggioranze con i partiti di qualsiasi altra parte politica comprese quelle avversarie rispetto al voto espresso". È d'accordo?
    Era così anche prima. È la combinazione tra voto congiunto e liste bloccate che porta questa legge fuori dall'alveo costituzionale. I parlamentari non rappresenteranno, infatti, la Nazione senza vincolo di mandato, come chiede l'art. 67 della Costituzione, ma chi li ha nominati. Praticamente, col Rosatellum 2.0 si decide di sacrificare la giusta rappresentanza con l'obiettivo di una stabilità di governo che non si raggiungerà. Si sacrifica inutilmente la rappresentanza.
    Il presidente Mattarella non dovrebbe firmare la legge?
    Già il fatto d'esser stata approvata col voto di fiducia, dovrebbe spin­gere Mattarella a non firmarla. Tra l'altro, l'unico modo per salvare que­sta legge elettorale consiste nel rimandarla alle Camere con alcune osservazioni. Il Parlamento potrebbe accogliere i suggerimenti di Mat­tarella modificandola sotto alcuni aspetti per renderla costituzionale.
    E se Mattarella la promulgherà?
    Verrà ricordato come il Presidente della Repubblica che ha avallato un'ennesima truffa per gli italiani. Spero vivamente che la legge verrà bocciata dalla Consulta.
    Del Tedeschellum cosa ne pensava?
    Senza l'inserimento del voto disgiunto, era anticostituzionale. Mentre la soglia di sbarramento, se identica sia alla Camera che al Senato, può essere compatibile con la nostra Carta. Nel Porcellum, invece, era prevista la follia di soglie differenti per i due rami del Parlamento.
    In passato Lei si è schierato a favore di un sistema proporzionale. Solo questo è compatibile con la nostra Carta?
    Essendo un difensore della Costituzione, sono favorevole al proporzionale perché i nostri Padri costituenti avevano stabilito la forma parlamentare e questo sistema elettorale. Ma, attenzione, il proporzionale non è il solo legittimo: ho già ribadito più volte, ad esempio, che un sistema maggioritario, sul modello inglese ad esempio, sarebbe totalmente compatibile con la Costituzione.
    Nella sua crociata contro il Rosatellum 2.0, ha avuto rapporti con qualche partito?
    Nell'ultima audizione al Senato sono stato invitato a Palazzo Ma­dama sia dal M5S che da Sinistra Italiana. Per un certo periodo sono stato anche candidato alla Corte Costituzionale in quota M5S, però resto un giurista e mi tengo alla larga dalla politica. I gruppi par­lamentari facciano la loro battaglia contro il Rosatellum ed io la mia.
    Nel caso in cui la Corte non riterrà ammissibile il ricorso, sta pensando ad altri strumenti?
    C'è un altro organo dello Stato a cui appellarsi che è il "popolo sovrano" e capire se c'è o meno conflitto di attribuzione. In base alle recenti sentenze della Corte di Cassazione (8878/2014) e della Consulta (1/2017 e 25/2017), in nuce la giurisprudenza dovrebbe elevare il livello di tutela riconoscendo al popolo sovrano cioè al corpo elettorale di poter sollevare il conflitto di attribuzione. Il diritto, cioè, di votare secondo la Carta. Principio che questa classe politica continua costantemente a violare.   


martedì 31 ottobre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (22) - Ancora i due duellanti di Russia

Mentre L'ADL del 18 agosto 1917 va in stampa, il movimento operaio internazionale è diviso più che mai. E l'editoriale, a firma di Luigi Rainoni, riassume questa spaccatura nel nome dei due duellanti di San Pietroburgo: Lenin, Kerensky e la sconfitta russa, recita il titolo del­l'ar­ticolo. In esso troviamo un ritratto del futuro fondatore dell'URSS: «Nel 1903 egli si separa dai compagni Martoff e Axelrod e fonda la fra­zione dei così detti “bolscevichi”… Già prima della rivoluzione del 1905 discuteva e preparava l'insurrezione armata. Lo zar gli aveva im­piccato un fratello» (ADL 18.8.1917).

Secondo alcuni critici, fanatizzato dal desiderio di vendetta per il fratello, Lenin è «un tipo a cui manca “la finezza dello spirito latino”». Finezza che Rainoni giudica però alla stregua di «una reminiscenza petrarchesca…, sotto la quale si nasconde quella leggerezza ed evanescenza delle idee democratiche francesi» (ADL 18.8.1917).

La questione delle "libertà borghesi" costituisce già un tema viru­lento nel confronto in atto all'interno del campo rivoluzionario. Ezio Mauro ricorda il vecchio amico di Lenin, Maksim Gor'kij, che già nel giugno 1917 stronca l'ideologia bolscevica: «Pri­ma nelle lettere pri­va­te: "Sono i veri idioti russi. Li disprezzo e li odio ogni giorno di più". Poi in un articolo sul suo giornale…: "Sia Lenin che Trockij non hanno nessuna idea di ciò che significhino la libertà e i diritti dell'uomo"». Gor'kij po­lemizzerà anche con Zinov'ev capo del partito a Pietrogrado accusandolo di “crimini vergognosi”.

Ma ora, due mesi dopo quel giugno 1917, Lenin è di nuovo esule e perseguitato, mentre Kerenskij governa su tutte le Russie, perse­ve­rando in una guerra che violenta il sentimento popolare. Perciò L'ADL, accantonando antiche differenze con il leader bolscevico, lo difende: «Epurato di tutte le artate esagerazioni, il pensiero leniniano nel­l'im­mane sommovimento russo, può riassumersi benissimo nelle ripetute di­chiarazioni di Zineviov: lotta per impedire la contro-rivoluzione…, scioglimento della Duma e del suo Comitato esecutivo, governo esclu­si­vamente socialista, pubblicazione dei trattati segreti, realizzazione del programma socialista» (ADL 18.8.1917).

Qui Rainoni relativizza: «Più che mirare alla effettuazione pre­ci­pitata del socialismo», Lenin intende soprattutto «assicurare il potere indebellabile di quelle forze, che sono per il socialismo». Tutto il po­tere ai Soviet! In realtà, i bolscevichi non dicono quel che dicono in­tendendolo in senso me­ta­forico. Manca loro, per l'appunto, l'esprit de finesse

Poi c'è la vexata quaestio della “pace separata” con la Germania. E L'ADL non ci può ancora credere perché ogni cuore e ogni mente socialista deve volere la “pace universale”. E così persino i "men­sce­vichi" si battono per la cessazione del macello: «Noi domandiamo l'immediata conclusione di un armistizio generale, noi vogliamo la pace» (ADL 18.8.1917).

Questa “chiara valutazione” – che a Pietrogrado è sostenuta “da quattrocentomila lavoratori” – non piace ovviamente alla stampa "guer­raiuola" dell'Intesa. La “Morning Post”, per esempio, dipinge il mo­vimento operaio russo come un'accozzaglia di «agenti pagati dalla Germania», lamenta Rainoni. Per il quale Lenin, il duellante bol­sce­vico, è «l'uomo più chiaro, più risoluto, più ardito, molto su­pe­rio­re a Kerensky». Il cui Governo provvisorio continua a combattere fedele all'Intesa. Nella conduzione degli altri affari di Stato il duellante la­bu­rista però è ondivago. Di lì a qualche giorno batterà in breccia i con­tro-ri­voluzionari, ai quali aveva lasciato fare per un po', ordinerà l'ar­resto degli ufficiali ribelli, libererà i bolscevichi, incarcerati un mese prima.

Ma l'Offensiva Kerenskij è stata un «salto nel buio, una follia», anche e soprattutto sul piano militare: «L'esercito rivoluzionario non può attaccare fintanto che ogni soldato non abbia l'assicurazione ch'egli combatta per la causa della libertà e della rivoluzione. Per conseguenza se l'attività del governo nel dominio della politica estera non abbia tol­to tutti i dubbi relativi agli scopi ed al carattere della guerra, l'attacco non può aver luogo», si leggeva sulla “Isvestia” agli inizi di giugno. L'azione è giudicata “pericolosa” da tutti i social-democratici. Persino la stampa dell'Intesa riporta all'inizio di giugno «che "tutti i giornali socialisti russi continuano a combattere apertamente l'idea di un'of­fensiva". Zernoff critica e sconfessa Kerensky. Il generale Alexieff è costretto dal “Soviet” a dimettersi in seguito ai suoi sfoghi oratori patologici per l'attacco immediato» (ADL 18.8.1917).

Nel corso di quei giorni, tuttavia, «il “Soviet” cade nelle perplessità e inclina alle concessioni», c'informa l'editoriale. E a nulla vale la pro­testa di Lenin al Congresso panrusso contro un'offensiva che in quel momento sarebbe «la continuazione della guerra imperialistica». Ma forse è proprio lo scontro verbale tra Lenin e Kerenskij a spostare l'ago della bilancia. Il duellante bolscevico propone di arrestare centinaia di im­pren­ditori in quanto tali. Il duellante laburista sale sul palco subito dopo per opporsi. E Lenin abbandona platealmente la sala.

In quest'atmosfera altamente drammatica «il “Soviet” scivola il pri­mo passo sulla via dell'offensiva "considerandola una questione pura­men­te strategica"». In seguito, Lenin e i bolscevichi verranno accusati di disfattismo: «Ma Repington, il freddo critico militare inglese, aveva scritto che "l'offensiva non può essere l'effetto di una improvvisazione o di qualche impulso generoso, ma richiede una mi­nuta lunga prepara­zione, una grande disciplina, uno Stato Maggiore allenato, un ordine perfetto nelle retrovie, le comunicazioni as­si­cu­rate"» (ADL 18.8.1917).

Per inciso, il problema delle comunicazioni, cioè la netta superiorità austro-germanica nell'uso di questa tecnica, costerà all'esercito italiano, proprio in questi un secolo fa, lo sfondamento di Caporetto.

La Caporetto di Kerenskij avviene attraverso la Galizia e l'Ucraina causando una ritirata di 240 chilometri: «Il grande e tragico errore è stato commesso, appunto, dall'impulso non generoso, ma folle del Kerensky», osserva Rainoni: «La compagine ministeriale era già scos­sa dalle radici dagli aspri contrasti sulla riforma agraria, sulla procla­ma­zione della repubblica, sull'elezione per la Costituente. Troppo forte fu la spinta del Lenin provocando pubbliche manifestazioni armate du­rante una situazione militare artificiosa e fragile, che doveva essere pri­ma o poi rotta dalle truppe del Kaiser» (ADL 18.8.1917).

E la conclusione è che Kerenskij «è la prova vivente che le idee va­ghe e le esplosioni frasaiuole sono, se riescono a imporsi, una grande rovina per le nazioni rivoluzionarie». Ormai, la rivoluzione russa è quasi perduta. Po­trà salvarsi solo se muterà strategia in senso difen­sivistico. A tale sco­po sarebbe necessaria, però, la formazione di un nuovo governo fon­dato sull'alleanza di tutti i socialisti, dai massima­li­sti ai minimalisti, sostiene Rainoni.

(22. continua)

Freschi di stampa, 1917-2017 (21) - I massimalisti russi

I massimalisti russi è il titolo di un articolo che inizia a centro pagina sull'ADL dell'11 agosto 1917 e va a concludersi nelle tre colonne di spalla. La sigla "a.g." e l'indicazione di provenienza da “Il Grido del popolo di Torino” segnalano che l'autore qui è un ventiseienne di nome Antonio Gramsci.

Non sappiamo se il giovane dirigente socialista sia a co­no­scenza o me­no dell'evoluzione politica in Russia in tutte le sue deter­minanti. Non pare, per esempio, che Gramsci sappia già della fuga di Lenin in Fin­lan­dia o delle determinazioni di Kerenskij circa la con­ti­nuazione della guerra. Certo è che Lenin e Kerenskij, anche per il fu­tu­ro fondatore del PCdI, sono i gran duellanti di Russia, l'uno campione massimalista, l'altro dei socialisti moderati. Quel che emerge dallo scrit­to non è "l'ana­lisi concreta di una si­tua­zione concreta", ma piut­to­sto un ragio­na­mento speculativo, con retro­gusto di sapore neo-idealista.

Aleksandr Kerenskij e i socialisti moderati «sono l'oggi della Rivoluzione, sono i realizzatori di un primo equilibrio sociale», questa la premessa gramsciana. Grazie ai moderati dell'oggi: «la Russia ha avuto però questa fortuna: che ha ignorato il giacobinismo». Nella nuova Russia nata dalla Rivoluzione di Febbraio vige il pluralismo. Perciò si sono formati numerosi gruppi politici «ognuno dei quali è più audace, e non vuole fermarsi, ognuno dei quali crede che il momento definitivo che bisogna raggiungere sia più in là, sia ancora lontano». La lotta va avanti: «tutti vanno avanti perché c'è almeno un gruppo che vuole sempre andare avanti, e lavora nella massa, e suscita sempre nuove energie proletarie, e organizza nuove forze sociali che minac­ciano gli stanchi, che li controllano e si addimostrano capaci di sosti­tuirli, di eliminarli se non si rinnovano... Così la rivoluzione non si ferma, non chiude il suo ciclo» (ADL 11.8.1917).

La constatazione dell'instabilità politica russa assume in Gramsci i contorni di un'ontologia del movimento storico. In esso la Rivoluzione per propria natura intrinseca: «Divora i suoi uomini, sostituisce un gruppo con un altro più audace e per questa instabilità, per questa sua mai raggiunta perfezione è veramente e solamente rivoluzione». In Gramsci la storia stessa sembra procedere in analogia con il lavoro umano e – così come c'è un lavoro “morto” che vediamo imprigionato nel capitale e nei mezzi di produzione e c'è un lavoro “vivo” che ve­diamo sprigionarsi dall'attività operaia – così c'è una storia “morta” dentro la stabilità delle istituzioni, in contrasto con l'azione rivo­lu­zio­naria che è storia viva. Di più, la rivoluzione e “vita” tout court, e anzi: «Tutta la vita è diventata veramente rivoluzionaria: è un'attività sempre attuale, è un continuo scambio, una continua escavazione nel blocco amorfo del popolo» (ADL 11.8.1917).

Con chiaroveggenza divinatoria è evocata l'immagine dell'incendio cosmico, che «si propaga, brucia cuori e cervelli nuovi, ne fa fiaccole ardenti di luce nuova, di nuove fiamme... La rivoluzione procede fino alla completa sua realizzazione». In questo stato nascente vengono suscitate nuove energie e propagate nuo­ve “idee-forze”, sicché gli stadi graduali dell'evoluzionismo sociale possono essere bypassati dal pen­siero vitalistico-rivoluzionario. Esso in via di fatto «nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie fra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale. Queste espe­rien­ze basta che si attuino nel pensiero perché siano superate e si possa procedere oltre» (ADL 11.8.1917).

Ma i massimalisti devono ora entrare in scena come “ultimo anello logico di questo divenire rivoluzionario”. Il punto d'arrivo dell'intero movimento non può abitare nella casa dei riformisti che rappre­sentano solo uno stadio dialettico transitorio. Ma tutto deve approdare infine ai massimalisti che incarnano l'essenza dell'evento e «sono la continuità della rivoluzione, sono il ritorno della rivoluzione: perciò sono la rivoluzione stessa» (ADL 11.8.1917).

Se Kerenskij è la stazione di partenza, quella d'arrivo si chiama dunque Lenin. E il futuro fondatore dell'URSS ha ormai «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo. Sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti» (ADL 11.8.1917).

La tempesta vitalistica scompone e ricompone gli «aggregati sociali senza posa e impedisce… il formarsi delle paludi stagnanti, delle mor­te gore». Dopodiché, seconda divinazione di Gramsci, financo «Lenin e i suoi compagni più in vista possono essere travolti nello scatenarsi delle bufere che essi stessi hanno suscitato». Ed è proprio questo il travolgimento che, in effetti, accadrà già a partire dalle prime dure repliche della storia.

E a quel punto Antonio Gramsci, non più ventiseienne in Torino, inizierà a lavorare al nucleo della sua riflessione filosofica più propria, l'idea-forza di una “egemonia culturale” intesa come conditio "so­vra­strut­tu­rale" della rivoluzione proletaria. L'egemonia deve avere luogo anzitutto nella coscienza delle masse. Senza il loro consenso s'in­stau­rerebbe, infatti, soltanto un “dominio” fattizio: un'oppressione vio­lenta, “giacobina”, sostanzialmente instabile.

In questo modo, però, l'idea-forza gramsciana approderà a un luogo molto distante rispetto a quello dell'assalto alle casematte del potere che il “massimalismo” leniniano si appresta a celebrare con la presa del Pa­lazzo d'Inverno. La sua “egemonia culturale” si collocherà semmai nei pressi della teoria della “rivoluzione sociale” che il riformista Tu­rati tratteggerà a Livorno nel gennaio del 1921.

(21. continua)

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

Freschi di stampa, 1917-2017 (20) - Notte bianca come non te l'aspetti

L'ADL del 3 agosto 1917 “celebra” il terzo anno di una guerra, scop­piata il 28 luglio 1914, che è già costata almeno dieci milioni di morti. L'Italia è “belligerante” dal maggio 1915, in seguito a un colpo di mano istituzionale. L'ADL del 3 agosto 1917 va in stampa dodici mesi dopo la Sesta battaglia dell'Isonzo (Gorizia) che era iniziata il 4 agosto del 1916 e si era conclusa tre­di­ci giorni dopo, con un bilancio di circa cinquanta mila morti da en­tram­be le parti. Fu uno dei massacri più assurdi che la storia militare ricor­di, la cui memoria risuona nelle note di "Gorizia, tu sei maledetta!", la canzone clandestina che veniva in­tonata sul fronte del macello in quei giorni ( vai al video su YouTube ).

Quando esce L'ADL del 3 agosto 1917 mancano ottantatré giorni all'inizio della Dodicesima batta­glia dell'Isonzo (Caporetto) che provocherà circa tredicimila morti italiani e altrettanti nell'esercito austro-ungarico, oltre che un milione di pro­fughi civili trasferiti dal Friul-Veneto alle altre regioni d'Italia. Lo sfondamento del fronte azzererà ogni pur magro risultato "ir­re­den­tista“ finora comprato dal regio governo ”con alto tributo d'italico sangue".

Dalla Russia rivoluzionaria, intanto, arriva un'altra sorprendente lettera di Angelica Ba­la­banoff. A San Pietroburgo si percepiscono ormai tutte le inevitabili avvisaglie di un'incipiente guerra ci­vi­le: «Più si va avanti, più scarso diventa il numero di cittadini capaci di credere che l’attuale assetto della Russia sia il suo assetto definitivo. In tutti, reazionari e rivoluzionari, è la consapevolezza profonda che così non si può andare avanti, che bisogna cambiare, consolidare», esordisce la Dottoressa Angelica: «Qui la battaglia si combatte su due fronti. Il fronte strategico è lontano dai vostri occhi, ma quello sociale è qui… e nessun atto della tragedia sfugge!» (ADL 3 agosto 1917).

Bisogna cambiare, consolidare: ma che significa? Vuol dire che si deve andare avanti «sulla via delle conquiste, dar loro un contenuto sociale, eliminare sempre più tutto ciò che nelle conquiste rivoluzio­narie v’è stato di accidentale; dare al vero protagonista della rivo­luzione, al proletariato, il posto che la storia gli assegna», spiega la Balabanoff.

Ma un grido «erompe dall’animo del colosso» – ag­giu­nge la dirigente internazionalista. E quel grido «non lo andate a cercare nei “meeting”… nei quali, annunziati da grandi manifesti, esibiscono la loro arte oratoria emissari di paesi alleati che, in una lingua dal popo­lo non compresa, esaltano le barbarie della guerra, e parlano gli spe­cialisti della guerra come Kerensky ed esibiscono la loro arte delle bal­lerine. Ivi non troverete il popolo» (ADL 3 agosto 1917).

Dai ritrovi mondani sciamano le entusiaste signorine di buona fami­glia: «Che angelo il Kerensky! Che simpaticone, e che musica incante­vo­le! Abbiamo speso bene la serata e il denaro dell’ingresso», così si burla di Kerenskij e delle sue “signorine” la veterana del femminismo Balabanoff.

Il popolo, invece, “comizia” in piazza: «Nell’atrio della Duma, nelle grandi officine dove lavorano decine di migliaia di ope­rai, e si ha un bel dare la caccia a Lenine ed ai suoi seguaci: l’anima della nuova Russia si plasma là ove la borghesia vorrebbe che si fab­bricas­sero soltanto merci, armi per la guerra fratricida», è la diagnosi della Dottoressa. E qui anch'essa ci presenta il laburista Kerenskij (nuovo ca­po del Governo provvisorio) e il bolscevico Lenin (di nuovo esule, in Fin­­landia) cime i due punti di riferimento nello scontro in atto, che la­cera il cam­po socialista tra internazionalisti e fautori della lealtà na­zionale.

Il sentire della Piazza ha divorziato dalla sordità del Palazzo. E «s’il­luderebbe chi credesse che in quei comizi improvvisati si facciano dei ragionamenti semplicisti. L’animo russo non si appaga di inter­pre­tazioni superficiali od unilaterali; quel bisogno di approfondire, di com­plicare, magari, che l’Europa occidentale ha scorso, ammirandola o odiando­la, negli scrittori russi si manifesta nelle spontanee radunate del popo­lo» (ADL 3 agosto 1917).

Formalmente, tra i due duellanti della nuova Russia, la Balabanoff si mostra sulle prime fautrice di una terza via equidistante: «Vogliamo pace, terra, libertà; vo­gliamo pane, né pace separata coll’im­pe­rialismo germa­ni­co, né trattati segreti coll’imperialismo dei paesi alleati». Simmetria apparente, però, per­ché: «in nessuno dei paesi martorizzati dalla guer­ra l’avversione ad essa può essere profonda come in Russia». Ed è per questo che, alla fine, «non giovano i bei discorsi del Kerensky, fatti per convincere le si­gnorine della necessità di battersi e di morire sul fron­te lontano», necessità astrat­ta­mente altrui (ADL 3 agosto 1917).

Il Palazzo resta sordo alla voce del popolo, denuncia Angelica, senza lasciarsi sedurre dal potere, nuovo o vecchio che sia. Così, dopo avere frequentato importanti riunioni e congressi, «io cerco di sentire, di ascoltare quella voce. E la colgo anche nei ritrovi quasi esclusi­va­mente femminili, nelle “code”». La vecchia femminista contrappone alle signorine di Kerenskij non tanto, o non subito, i soldati "mar­to­rizzati", quanto le badanti, le casalinghe e le operaie dalle quali l'8 marzo era pur scoccata la scintilla rivoluzionaria. Sono le donne delle “code” che «in piccolo, in forma concentrata rispecchiano la scon­finata pazienza sovraumana di quella maledetta rassegnazione di cui sono dotati i diseredati di tutti i paesi e anzitutto quelli della Russia» (ADL 3 agosto 1917).

«Donne e bambine di tutte le età, ma, naturalmente, non di tutte le classi», stanno in fila ad aspettare un paio di scarpe o un pezzo di pane e intanto «allattano i bambini, ivi pregano, fanno la calza e magari leggono un giornale o un libro», come fosse la situazione «più naturale del mondo» (ADL 3 agosto 1917).

Ma poi c'è che la capitale pullula anche di nuovi paria, gli ultimi degli ultimi: i cinesi! «Persino nell’incredibile disordine e nella sporcizia delle strade russe saltano agli occhi i poveri cinesi! Sem­brano dei cenci fatti di carne ed ossa… Tante volte il vostro piede s’imbatte in essi, raggo­mitolati nelle vicinanze delle stazioni, sulle soglie delle chiese.» Dopo le donne, le vedove della guerra e gli orfani, e persino sotto i soldati mutilati che almeno passano la notte in ospedale, ci sono questi stra­nieri dell'estremo oriente “liberati” dalla santa madre Russia. Qualche giorno prima di scrivere la lettera all'ADL su un tram «un cinese venne trattato con sgarbo, gli si rivolse una di quelle apostrofi colla quale si saluta un ospite sgradito (…). Il cinese non comprende, rimane impacciato, ed allora (…) gli si dà un lieve spintone perché non fa passare il passeggiero. Allora, un vec­chietto, con le stigmate della fatica e della fame in volto, dice: “La­scia­telo in pace, non vedete che in mezzo a noi è un muto?». Ascoltare il popolo, ascoltare le donne, ascoltare i muti… Ascoltare tutti quelli che stanno in coda. «Centinaia di cinesi… fanno parte della schiera dei pazienti e bastonati che aspet­tano il turno nei dintorni dei negozi» (ADL 3 agosto 1917).

E dopo aver detto delle “code” in generale, passiamo ora a quelle notturne: «Già alle dieci, talvolta alle sei del pomeriggio, cominciano a formarsi le cosiddette “code” per l’accesso al negozio di scarpe o di alimentari che si aprirà all’indomani. Donne e uomini, madri di famiglia e donne di servizio si siedono o si coricano alla meglio, si premuniscono, oltre che di pazienza, anche di un “samowar” o di un cuscino, e stanno lì delle serate e delle nottate intere». In effetti, questo tipo di nottate appare lontano dal tipo vita di Palazzo. E la Dottoressa Angelica si domanda fino a quando durerà la pazienza, tanto più che «durante le ore d’involontario ozio, questi secolari schiavi emettono dei giudizi e fanno dei ragionamenti che vi danno la certezza che verrà il momento in cui le porte e i depositi di merce dovranno cedere all’ira popolare» (ADL 3 agosto 1917).

«Butto giù queste poche, disordinate righe, tornando alle due di notte da un comizio tenuto a Crasnoye Sielo in un club di soldati socialisti. È una notte bianca. Potrei fare anche a meno del lume per scrivere», annota Angelica. “Poche e disordinate righe”: come a dire che l'accenno ai soldati è del tutto casuale. Ma poi conclude, et in cauda venenum, con linguaggio solo lie­ve­mente cifrato: «Passo vicino i palazzi della Kcechinsky sul cui tetto sventolano ban­diere rosse: “Comitato Centrale del Partito Socialista Operaio Russo, Organizzazione militare aderente al Partito Socialista Operaio”» (ADL 3 agosto 1917).

“Organizzazione militare aderente”... Notte bianca. Ottobre rosso. Il dado è tratto. Firmato Balabanoff.

(20. continua)

mercoledì 11 ottobre 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (19) - Danton, Robespierre

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

L'articolo di spalla in prima sull'ADL del 28 luglio 1917 parla dei due leader emergenti nella nuova Russia. “Su Lenin e Kerensky” è il titolo dell'articolo, firmato I. M. Schweide, che si conclude con queste testuali parole: «Se Lenin è un Robespierre, Kerensky è, piuttosto che Thiers, Danton!».

    Sicché Kerenskij somiglierebbe politicamente al popolare capo dei Cordiglieri nella Francia rivoluzionaria, a Georges Jacques Danton che nel 1792 viene nominato Ministro della Giustizia, nel 1793 eletto primo Presidente del Comitato di salute pubblica, nel 1794 ghigliottinato su pressione del Comitato di salute pubblica.

    I tempi della Russia rivoluzionaria sono più veloci, ma le analogie non mancano: anche Aleksandr Fëdorovič Kerenskij inizia la carriera ministeriale nel Governo Provvisorio (marzo 1917) e, al momento in cui appare l'articolo di cui parliamo (luglio 1917), presiede il Governo Provvisorio. Gli manca, dunque, “solo” di subire un'esecuzione capitale su pressione del Governo Provvisorio. Ma a quella sfuggirà per un palmo (novembre 1917), riparando in Francia.

    Se già Kerenskij inizia, dunque, ad assomigliare al suo Danton, egli non può, però, essere in alcun modo accostato a un Adolphe Thiers.

    Chi è costui? Esponente monarchico fino al 1840, Thiers viene nominato quell'anno Primo Ministro di Francia, ma si dimette per divergenze con Luigi Filippo e muta convinzioni nel senso di un repubblicanesimo li­beral-conservatore.

    Luigi Filippo abdica nel 1848, e nasce la Seconda Repubblica Francese, alla cui presidenza viene eletto Luigi Napoleone Bo­na­par­te, che Thiers dapprima sostiene. Poi inizia a osteggiarlo, quando nel 1852 quello, tramite un colpo di Stato, trasforma la Seconda repubblica in Secondo impero, di cui Luigi Bonaparte si pone a capo con il nome di Napoleone III. Il piano inclinato del potere lo condurrà alla guerra Franco-Prussiana e al disastro.

    Dopo la disfatta di Sedan, la caduta dell'imperatore e la nascita della Terza Repubblica Francese, Thiers assume la guida delle trattative con la Prussia. Il 17 febbraio 1871 viene eletto alla presidenza del governo provvisorio e trasferisce il Parlamento nella reggia di Versailles. Questo sfregio simbolico insieme alle condizioni antipopolari della pa­ce stipulata con Bismarck provocano un forte rigetto generale, sicché il 18 marzo la capitale francese insorge fondando la Comune di Parigi.

Parigi 1871 – La barricata di boulevard Voltaire

Prima esperienza storica di governo socialista, la Comune adotta come proprio simbolo la Bandiera Rossa, secondo il colore del bonnet rouge giacobino. Ma di rosso si tingeranno a breve anche le strade della Ville Lumière, e persino le acque della Senna, perché la Comune di Parigi verrà letteralmente schiacciata nel sangue.

    L'assedio della città si conclude il 28 maggio 1871 e nella sola prigione della Roquette vengono uccisi 1'900 comunardi. Altri 400 vengono gettati in un pozzo del Cimitero di Bercy. L'azione repressiva del Governo Thiers comporta, nel giro di pochi giorni, un numero di vittime che gli storici stimano in decine di migliaia. Durante la “settimana di sangue” (21-28 maggio 1871) si consuma il più sanguinoso massacro della storia della Francia, ancor più sanguinario della Strage degli Ugonotti del 1572, e più tragico persino di tutto il Terrore rivoluzionario nel biennio 1793-1794.

    Tutto questo si replicherà in Russia. E verrà anche di peggio. Ma lo si può già vedere nei segni dei tempi? Certo è che nel social-rivolu­zio­nario russo Ke­ren­skij non si nasconde un macellaio “liberale” come Thiers. Eppure nella coscienza pacifista di Schweide: «I fratelli hanno ucciso i fratelli: / Questa orrenda novella vi do». Nei versi tratti dall'ode manzoniana sulla Battaglia di Maclodio Schweide ci fa balenare il protagonista vero della vicenda russa a venire: la disumanità “fraterna”. Perché «questa “novella” sarà tragica realtà finché… battaglia contro battaglia, guerra contro guerra, forza contro forza, vita contro vita… saranno insomma la ragion suprema di ogni partito, di ogni classe sociale, tendente alla conquista di nuove forme di progresso umano» (ADL 27.7.1917).

    I fratelli, prosegue Schweide, continueranno, a uccidere i fratelli «in nome della guerra… in nome della pace… la pace come la guerra, per affermarsi, per vincersi, per sovrapporsi». E ciò ricorrendo al mede­si­mo mezzo: «l'uccisione; al medesimo fine: il trionfo dei propri inte­res­si morali e materiali a danno degli altri interessi» (ADL 28.7.1917).

    Kerenskij e Lenin – provenienti entrambi dalla piccola nobiltà di Sim­­birsk, concittadini, l'uno al Gover­no, l'altro di nuovo in esilio – sem­­bra­no prigionieri di un solo de­stino: «Citiamo questi due nomi perché essi, al disopra ed all'infuori delle proprie persone, incarnano due fonti correnti d'opinioni».

    Lenin «ha vinto la partita, a danno della propria organizzazione, momen­ta­nea­mente indebolita e perseguitata ed isola­ta». Kerenskij, invece, è cir­condato dalla «solidarietà nazionale gene­ra­le e da quella particolare del Soviet», e ha appena dato il suo consenso «per una politica dittatoriale, bi­smarkiana, in senso russo», chiosa Schweide.

    Lenin «non si attendeva però che Ke­ren­sky espropriasse il suo prin­ci­pio», consistente nella «espropriazione dello stato da parte degli organi dei “Soviet” anche a costo di dominare colla dittatura» (ADL 28.7.1917).

A Kerenskij sembra arridere la vittoria, ma la sua posizione, in real­tà, è debolissima, perché egli continua una guerra odiata dal popolo russo. E però «una debolezza non meno grave è stata da parte di Lenin nel credersi troppo forte»: uomo d'indomabile forza rivoluzionaria, ma pare come «acciecato da questo esclusivismo parziale e talvolta settario – nel sen­so buono della parola, si capisce», che lo induce a «forme di lotta spro­porzionata alle forze delle masse lavoratrici di cui egli può disporre» (ADL 28.7.1917).

    Lenin è stato «il primo a seminare il verbo zimmerwaldiano, in­ter­na­zionalista» in Russia, egli è capace di fare «germogliare il seme della pace generale, so­ciale, internazionale», si legge. Lenin ha tanto patito, non come certi da­me­ri­ni. Lui «non ha mai dato un colpo senza attirare sulle proprie spalle il contraccolpo». E qui anche Schweide gli assesta un altro bel colpo: «Il suo maggior merito è quello delle operazioni chirurgiche in seno al partito, alle organizzazioni proletarie: scissioni, scissioni e scissioni».

    Scissioni che “indirettamente e senza volerlo” hanno favorito gli avversari: «E nell'archivio… della spiocrazia russa, sono stati scoperti dei docu­men­ti in cui funzionari di polizia rilevavano i benefici che reca allo zarismo la politica secessionistica dei leninisti» (ADL 28.7.1917).

    Ma Vladimir Uljanov è di “una purezza illimitata”, ha un passato doloroso e integerrimo: «Quando il fratello… fu impiccato dallo za­ri­smo, egli giurò di vendicare con ogni mezzo lecito il sangue fraterno. Giurò morte allo zarismo. Lottò, congiurò, soffrì senza posare mai le armi. Avrà sbagliato ed ha sbagliato molte volte nella sua tattica. E sono soltanto le ragioni tattiche che ci dividono da lui e che da lui han sempre diviso l'“Avvenire” ed i socialisti italiani» (ADL 28.7.1917).

   In questo andamento ondivago del suo dire sospeso, Schweide plana ora sul momento allora attuale, il momento in cui Lenin è di nuovo fug­gia­sco, in esilio, e «sopra di lui si sono riversate le ire di tutti gli imperialisti», sicché dunque «noi diamo tutta la solidarietà a questo audace campione del proletariato russo» (ADL 28.7.1917).

    Quanto, invece, a Kerenskij, egli è «un laburista con tinta sociale che, per conservare in piedi il nuovo regime, ritiene necessaria la col­laborazione della borghesia col proletariato. È partigiano dell'of­fen­si­va per valorizzare le forze del militarismo rivoluzionario – come lui af­fer­ma... È anti-annessionista e guerraiolo, perché non vede la possibilità di fare altrimenti» (ADL 28.7.1917).

    L'uno ha tanto sofferto, ma sta per assumere il ruolo di Robespierre, l'Incorruptible. L'altro è un po' realista e un po' “guerraiolo”, ma gentile e raffinato: gli si addica la parte di Danton.

    Ecco qua: due destini, nel gran valzer che la Storia Universale va danzando a San Pietroburgo nel 1917, sono assegnati.

(19. continua)