martedì 9 maggio 2017

Freschi di stampa, 1917-2017 (8) - Il Rimpatrio dei "senza patria" e il tailleur della "rivoluzionaria russa"

Freschi di stampa, 1917-2017 (8)

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

Il Rimpatrio dei "senza patria" e il tailleur della "rivoluzionaria russa"

L'ADL del Primo Maggio 1917 è dominato, in prima pagina, da un comunicato del Partito Socialista Italiano nella Svizzera che esorta le lavoratrici e i lavoratori a sostenere la mobilitazione internazionale per la pace, contro guerra e contro sfruttamento:

    «Abbandoniamo il lavoro, tutti! (...)

    Urliamo l'imprecazione ai massacratori della umanità, tutti.

    Il socialismo vuole la pace per la giustizia.

    Primo Maggio 1917!

    Lavoratori, Lavoratrici!

    Nei cortei e nei comizi, nelle case, per le vie, tutti!

    Abbasso la guerra! Evviva il Primo Maggio! Evviva il Socialismo! Evviva l'Internazionale operaia!

    Vogliamo la pace! Evviva la Rivoluzione sociale!»

    Così si conclude l'appello della Commissione Esecutiva socialista, sovrapposto a una cornice tipografica rossa, in stile liberty, contenente una lirica dedicata alla giornata dei lavoratori e alla Giustizia "dea vendicatrice".

    Il testo di maggior contenuto e interesse storico si trova sulla "spalla" della prima e gira poi in seconda trattando del «Rimpatrio dei "senza patria"», così recita il titolo. Si parla, apertis verbis, del rientro in Russia degli emigrati politici russi dopo la Rivoluzione di Febbraio.

    «Diceva a questo proposito Tschendze, deputato socialista e presidente del Consiglio dei delegati operai – cioè l'esponente massimo delle lotte e delle aspirazioni proletarie della Russia odierna – che il popolo russo attraversa una delle più belle ore sue, perché stanno tornando ora i più valorosi figli suoi.»

    Lenin è rientrato da due settimane, mentre solo in Svizzera sono alcune centinaia gli esuli russi che trattano per poter anch'essi fare rientro in patria. Il testo, firmato "ab", sigla di Angelica Balabanoff, passa a ricordare i sacrifici dell'opposizione antizarista:

    «Nella Russia non può sventolare la bandiera rossa, non può risuonare un inno rivoluzionario senza che siano ricordati coloro che, per aver innalzato l'una e aver fatto risuonare l'altro, hanno dovuto, sul patibolo, nelle casematte, nei lavori forzati, negli ergastoli e nell'esilio, scontare il delitto d'aver voluto dare al popolo russo quella libertà e quella pace, per la cui conquista esso ha affrontato ora il più acerrimo e il più ignominioso nemico di ogni libertà: lo czarismo russo».

    Che le trattative per il rientro fossero ormai a buon punto, lo si deduce dallo stile dell'articolo, che prelude a un commiato di Angelica dai suoi lettori e dai suoi compagni di lingua italiana.

    «Col rimpatrio dei "senza patria" verrà a mancare, nei paesi europei, un elemento caratteristico. Già se ne rammarica qualche esteta. Non si vedranno più nelle Università, nelle assemblee, nelle strade, quei "tipi originali" di donne e di uomini...

    La maggior parte di questi emigrati hanno condotto una vita appartata, circondata da un'aureola... di originalità.

    La loro stranezza consisteva nella loro grande, assoluta spregiudicatezza, nella ribellione a tutte le forme della schiavitù, a tutti i vieti convenzionalismi. (...) ribelli della morale corrente, basata sull'interesse e sulla schiavitù, ribelli al dogma della religione, dell'opinione pubblica, gelosi di una cosa sola: della propria coerenza, indifferenti, perché superiori, ad ogni giudizio borghese.

    Erano dei precursori in tutto. Molto prima che l'evoluzione capitalistica – coronata dalla bolgia imperialista – avesse reso la donna uguale all'uomo nel campo economico e politico, la donna rivoluzionaria russa si era conquistata la piena uguaglianza individuale nella politica come nei rapporti fra uomo e donna (...). La rivoluzionaria russa non volle essere seconda a nessuno nelle battaglie per l'emancipazione dell'umanità, come essa esponeva il suo corpo alle sferze profanatrici del dispotismo, pur di non retrocedere nella lotta per il santo ideale, così a pari degli uomini il suo capo veniva cinto dell'aureola del martire e dell'eroe.

    Per arrivare a questo, la rivoluzionaria russa dovette abbattere que­gli ostacoli, e spezzare quelle catene che la donna in genere fanno schiava.

    Non si rassegnò ad essere una schiava legata all'uomo con vincoli esteriori, sebbene volle e seppe esserne la compagna uguale e libera».

    Come si vede, qui il testo assume contorni autobiografici di notevole interesse anche per la storia dei costumi, nel momento in cui esso contiene una sorta di autocoscienza ante litteram da parte di una protagonista del movimento delle donne, la cui Internazionale nel 1909 aveva fondato insieme a Clara Zetkin, a Rosa Luxemburg e ad altre storiche esponenti del femminismo socialista.

    Angelica si sofferma qui sul significato antiborghese e anticonformista dell'originalità che caratterizzava i "senza patria" russi. Ma non si tratta semplicemente di una divagazione, il testo va inteso anche e non da ultimo in senso apologetico, contro la campagna di vera e propria diffamazione portata avanti dai nemici politici dell'oggi, e tra questi in modo particolare si distingueva il futuro duce.

      I "rivoluzionari guerraiuoli", i sostenitori della "guerra come igiene della storia" non risparmiano le più volgari illazioni maschiliste contro la Balabanoff, come si deduce da un altro articolo sulla stessa pagina:

    «Osano tentare di profanare Lei, la migliore fra tutti noi. Indegni! I De Falco, i Mussolini (…) i venduti alla borghesia ed ai fornitori militari, le coscienze traviate, e le anime luride, tentano di mordere alla nobile figura di Angelica Balabanoff. Indegni, e miseri!

    Tutto ciò è vano.

    Nella vostra vita conosceste l'inganno e d'inganno volete lordare coloro che l'inganno non conobbero mai. Conosceste il mendacio, la corruzione, la compra-vendita delle coscienze e lo spionaggio... Indegni e miseri!»

    Così si legge nel commento in seconda intitolato "Omaggio", un testo attribuibile a Misiano, che mostra molto bene il livello di scontro verbale, e non solo verbale, tra i pre-fascisti al seguito di Mussolini e i vecchi esponenti del socialismo italiano d'emigrazione.

    Uno dei temi, che traspare abbastanza chiaramente, riguarda l'ipocrisia morale e la morale sessuale cattolica, delle quali Angelica poco si curò essendo una donna libera che improntava i propri rapporti personali a un'etica della sincerità e della lealtà interpersonale.

    Ma sono tempi di guerra e persino un ossessivo affetto di dongiovannismo, quale Mussolini indubbiamente fu, non disdegnava l'impiego di ogni mezzo, incluse gli sputtanamenti moralistici a mezzo stampa contro certe signore pacifiste e di troppo liberi costumi, pur di continuare la sua propaganda guerra: prove di clerico-fascismo, si potrebbe dire oggi, a cent'anni da quegli eventi senza dubbio penosi.

    Per Angelica Balabanoff, che con i giovane Mussolini aveva avuto una lunga relazione sentimentale oltre che un'intensa collaborazione politico-giornalistica alla direzione dell'Avanti! milanese, questi bassi attacchi del futuro duce non potevano riuscire completamente indolori.

    Non nominò mai più in vita sua i trascorsi sentimentali e trent'anni dopo, finita la Seconda Guerra mondiale, rientrerà a Roma, capitale della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista, indossando un tailleur rosso fuoco, nella esibita soddisfazione di poter camminare per le piazze della Città Eterna, lei, donna libera e fedele ai propri ideali, mentre "l'Innominabile" è stato inghiottito dall'abisso della Storia.

8. continua