Le idee
"Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo", ha detto recentemente Nichi Vendola, accendendo tante speranze. Bene. Ma occorre fare i conti con la questione del socialismo, e del socialismo italiano.
di Paolo Bagnoli
Nei vari luoghi in cui si articola, oggi, la dispersa presenza dei socialisti in Italia, la relazione che Nichi Vendola ha tenuto l’11 marzo scorso alla presidenza di SEL ha intrecciato un dibattito serrato, soprattutto perché un accenno alla possibile adesione al PSE ha riacceso la speranza di avere, o riavere, dopo un travaglio di tanti anni, finalmente, in Italia un soggetto socialista di sinistra. E che si arrivi ad averlo in un tempo non biblico è l’aspirazione di molti, compreso, naturalmente, di chi scrive. E’ logico, quindi, che i portatori di una tale sensibilità stiano con le orecchie aperte a tutto quanto suona, o sembra suonare, in tale direzione.
Ora, si tratta di una questione che investe non tanto la suggestione del ricordo, ma la vicenda stessa della sinistra in Italia, anch’essa da ricostruire, e, con essa, quella della democrazia, della “nozione sociale” che alla sinistra è propria e che è, in buona ragione, quella stessa della democrazia costituzionale.
Poiché la questione sociale è estremamente seria e poiché su di essa l’azione del governo Monti ha scatenato una furia distruttrice, per tutto ciò occorre esaminare l'intera cosa con attenzione, senza pregiudizi, senza pretendere di avere la soluzione a portata di mano, senza nascondersi le difficoltà, ma nemmeno le questioni così come stanno, se vogliamo che il dibattito innestato dalla relazione di Vendola non rimanga uno dei tanti. Occorre capire bene e andare a fondo; perché, insomma, sia un fatto politico e non un episodio di politique politicienne.
Vendola è un uomo politico pieno di cultura e di intelligente ragionamento; uno di quelli, dei pochi forse, che in accordo o in disaccordo, va preso sul serio. La relazione ce lo conferma e, va detto, che, pur se certi passaggi ci sono sembrati non molto chiari, complessivamente non si nasconde nel gioco verbale delle formule; che non nasconde, con onestà intellettuale, le luci e le ombre, a cominciare da quelle che gravano sul partito di cui è leader. Intanto perché relativizza l’esperienza del proprio movimento – “noi siamo una parte del problema e non la soluzione del problema” – perché denuncia lucidamente i ritardi della sinistra europea e, soprattutto, quando si dilunga sul partito democratico – vero riferimento dialettico di tutto il suo ragionamento – cercando di chiarire l’irrisolutezza di SEL rispetto al “riformismo del partito democratico e il radicalismo alla nostra sinistra (…) miopi nella stessa identica maniera.”
La ventilata adesione al PSE, se non teniamo conto di questo passaggio, perde come di senso. Il suo ragionamento, tuttavia, è tutto condizionato dalla situazione di chi, in effetti, si sente alla stregua di una sinistra “esterna” al Pd e non perché si tratti di un’altra formazione, ma in quanto funzionale, in certo modo, al partito democratico, potendo dire cose di sinistra che il PD non può dire e del quale questi non può non tener conto per motivi di alleanza.
Quanto siffatto meccanismo abbia funzionato lo si è visto quando Bersani ha ritenuto di opporsi alle richieste di Monti. Che in politica ci possano essere dei giochi articolati è normale; quello che ci sembra di rilevare è che SEL si è, sostanzialmente, molto pensata in funzione del PD. Vendola non lo ha peraltro nascosto quando ha detto: "dobbiamo partire dal fatto che la crisi importante del partito democratico coincide con la nostra crisi, cioè la nostra ipotesi è quella di una sinistra di governo capace di partire da qui, dall’Italia, per far massa critica e rimettere insieme un fronte dei progressisti in Europa."
Si tratta di un passaggio impegnativo e rivelatore poiché esso presuppone il PD quale forza di sinistra, tanto che la crisi di questo e quella di SEL vengono rappresentate come due vasi comunicanti intrecciati dentro l'almanacco leopardiano dei progressisti, categoria vaga e indefinita che forma un “fronte” che sembra oggi prendere il posto di quello che nell’ieri prossimo erano riformisti.
Noi, nel ragionamento di Vendola, riscontriamo un vuoto di autonomia, ossia di capacità di pensare SEL indipendentemente dal PD. Il senso dell’autonomia è fondamentale ai fini della rinascita socialista e della sinistra quale soggetto di massa. Naturalmente, non vi è nulla di scandaloso e di improprio nell’allearsi da sinistra con il PD. Ma chissà poi cosa avrà pensato Vendola dei "progressisti" dopo i tanti voti di questo schieramento mancati a Laura Boldrini nell’elezione a presidente della Camera.
Vendola, inoltre, nell’esaminare lo scenario complessivo, non ha timore a dire che “si è esaurita una storia, sia la nostra sia quella del partito democratico” in quanto “si è esaurito un ciclo, si è esaurita una fase.”
Come dargli torto. Non si può che condividere; bisognerebbe aggiungere che il problema più grande del PD sta nel fatto che non è mai riuscito a essere un “partito”, anzi ne è impossibilitato, sicché la sua tenuta, già in condizioni d'instabilità, sembra ora molto a rischio. Che la sua fase si sia chiusa, non c’è dubbio, Vendola ha ragione.
Non potendo parlare, come noi, d’incapacità del PD a essere un partito, Vendola ha declinato questa incapacità come si addice a un leader, per lo più alleato: "I partiti non nascono in laboratorio, non sono delle creature che nascono in provetta; si fanno nella società, nel vivo della contesa, nell’organizzazione degli interessi delle culture.” Verissimo. E ciò vale anche per la questione socialista in Italia.
Poi si giunge al punto nodale. In tutta la sua relazione, così come a suo tempo nel programma del partito, la parola "socialismo" non compare. Naturalmente, non era obbligatorio farla comparire. Se Vendola non l'ha fatto, però, ciò vuol dire che per lui questo non è un problema, a differenza di noi. Si lascia intravedere un altro fine che ha nella formula “casa dei progressisti” il suo approdo poiché – sono parole da soppesare – “dobbiamo essere capaci di parlare al paese e di parlare al partito democratico parlando al paese.”
Da qui la frase che ha acceso tante speranze socialiste: ”Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo.”
Allora, se proviamo a rimettere tutto in colonna, ci sembra che le cose stiano così. Il non successo elettorale del centro-sinistra chiude sia la fase di SEL che quella del PD, destinato a lacerarsi in un prossimo futuro. Ed è proprio tale crisi a togliere la ragione di SEL che è stata sì l’unica sigla di una sinistra visibile né “riformista” né “radicale”, ma in funzione di trattenere aperto uno spazio per allargare quello del possibile centro-sinistra giocoforza centrato sul PD.
Forza per lo più residuale e sostanzialmente tattica, SEL al di là di idealità rispettabili e pure talora condivisibili non ha nemmeno essa la fisionomia del partito, cioè quel profilo autonomo – cultura, identità, idealità spiccate, un ruolo storico preciso e un insediamento sociale vero – che fa diverso un partito da un movimento.
Per sopravvivere in qualche modo alla propria esperienza, SEL ha necessità di sganciarsi dal passato cercando una collocazione. Nel caso questa collocazione è il PSE dove è ormeggiato, peraltro, anche il PD pur non essendo una forza socialista. Anche dell’Internazionale può fungere da “sigla contenitore” non esclusiva in cui ritrovare il PD che a sua volta, se si frantumerà, troverà SEL pronta a costruire la richiamata “casa dei progressisti”.
Questo ci sembra il verso del salmo, quello finale, che può essere pensato, ma non scritto.
Bene. Ma il socialismo che c’entra? Vendola non dice mai, né meno fa capire, di volere mettere la nuova fase del suo movimento applicata a un disegno ricompositivo e largo del socialismo italiano. Il pensiero non lo sfiora lontanamente. E se i postcomunisti avessero voluto andare in questa direzione, sia nella versione PDS-DS sia nella derivazione bertinottiana, le occasioni non solo non sarebbero mancate, ma non sarebbe nato né SEL né il PD.
In un paese che vira oltraggiosamente a destra e nella “non-politica”, anche una generica “casa dei progressisti” non è certo da disprezzare; ma la questione del socialismo è altra e ben più complessa cosa. È significativo che poi l’auspicata “casa dei progressisti” avvenga dentro il contenitore del socialismo europeo dimostra che l’unico soggetto storico cui, chi si dichiara progressista, possa fare riferimento non può che essere quello del socialismo. Ma questo non significa che i "progressisti" per ciò stesso si sentano socialisti.
D’altro canto, anche al parlamento europeo esiste un gruppo dei socialisti e dei democratici, e non perché i socialisti europei siano diventati “democratici italiani”, ma solo in quanto i deputati dei vari partiti socialisti hanno fatto un gruppo con quelli del PD presente in Italia. Con ciò gli uni non sono divenuti gli altri né viceversa. Quindi è evidente che una tale vicinanza è significativa, ma non risolutiva della questione socialista italiana.
In Italia il socialismo non esiste come forza organizzata, ma esistono tanti luoghi socialisti variamente articolati e talora tra loro raggruppati. Forse sarebbe giunta l’ora di vedere, con una visione larga del problema, senza escludere nessuno di coloro che vogliano parteciparvi, compreso il partitino di Nencini, se non sia giunto il momento di darsi appuntamento in una convenzione socialista nazionale per iniziare un cammino che dalle tante sparse membra punti a fare un corpo. Nel caso sarebbe certamente importante sapere se Vendola e il suo movimento – nel quale militano diversi socialisti – volesse divenire uno dei protagonisti di questo processo.
Se davvero una fase si è chiusa, come ha detto Vendola, quella della “casa dei progressisti” può certo essere una fase nuova, ma punta ancora sul PD, non sul socialismo. Mentre sarebbe importante vedere un’unica lista in occasione delle prossime elezioni europee; non una lista di "socialisti più qualche altra cosa"; bensì nella lista di una soggettività autonoma.
Magari all’inizio del cammino potremmo pensare a un “movimento del socialismo italiano” che raccolga in forma federata gli aderenti, ma che, senza equivoci di sorta, sia marcato da un'esplicita intenzione socialista quale primo passo politico che si sviluppi per ridare al movimento operaio italiano, alle forze del lavoro tutte, alla democrazia e al progresso del paese il suo soggetto storico. Non si tratta di rifare il vecchio PSI, ma di riagganciare in modo chiaro la storia nel segno di un’esperienza che non può essere cancellata dal suicidio craxiano; magari riflettendo sulle parole di Filippo Turati per il quale il socialismo non era né riformismo né progressismo, bensì "rivoluzione sociale".