giovedì 18 aprile 2013

Vendola, Barca, Landini e il Partito che vorrei

FONDAZIONE NENNI

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Parliamo di socialismo

 

 

Il Partito che vorrei dovrebbe costruire una grande sinistra fuori dalla dimensione televisiva della politica a cui ci siamo abituati in questi lunghi vent’anni. 

 

di Antonio Tedesco

 

L’esito delle ultime elezioni ha mostrato la grande inadeguatezza delle forze progressiste a rispondere alle nuove esigenze ed ai nuovi fermenti della società contemporanea.

    I limiti riguardano prevalentemente la struttura organizzativa della forza più grande della sinistra, il Pd, un partito privo di una precisa identità dove convivono sempre più a fatica componenti che hanno come unico collante il potere e la sua occupazione; inoltre si sono evidenziati tutti i difetti di una struttura burocratizzata “vecchio stampo” incapace di comprendere le esigenze dei territori che lottano contro la cementificazione, le trivellazioni (ieri 40.000 manifestanti a Pescara) e le opere pubbliche inutili e dannose. Forse dalla disastrosa condizione in cui versa la sinistra italiana sta emergendo qualche timido tentativo di riportare al centro dell’attenzione il lavoro e la partecipazione democratica dei cittadini.

    Landini recentemente incontrando il ministro Barca ha espresso l’esigenza di costruire un partito del lavoro. Il ministro dopo 16 mesi di esperienza governativa ha avanzato il dodecalogo per un nuovo Partito “Un partito nuovo per un buon governo”. Il testo di Barca riguarda prevalentemente la forma di partito. “Per cambiare lo Stato è assolutamente necessario che i partiti funzionino bene e in modo diverso rispetto a oggi e il loro compito è gestire un aperto e regolato conflitto sociale”.

    Il ministro usa espressioni come sperimentalismo democratico,  mobilitazione cognitiva. Il partito, secondo Barca, deve fare due cose: selezionare la classe dirigente e appunto promuovere la “mobilitazione cognitiva”, fatta di “un confronto pubblico informato, acceso e ragionevole fra iscritti e simpatizzanti aperto al confronto e separato dallo Stato”.

    Vendola ha chiesto di entrare con Sel nel PSE e auspica un polo unico della sinistra. Qualcosa si muove! Sono d’accordo con il ministro che si deve mettere in discussione l’attuale forma dei partiti, perché la crisi è figlia anche della crisi di essi.

    Credo che il problema della sinistra non sia il leader. Molti hanno ipotizzato che se al posto di Bersani ci fosse stato Renzi, la coalizione di centro-sinistra avrebbe vinto. Questo non si può dimostrare. Non basta essere giovane, di bella presenza e capace di stare ai ritmi della comunicazione moderna per essere un grande e capace leader.

    Oggi sono i Partiti ad aver perso credibilità e sono convinto che non basti rinunciare ai rimborsi elettorali per recuperare la credibilità persa negli anni ma si deve ridiscutere l’idea di partito, con i suoi organismi autoreferenziali, con le logiche di potere. Il partito che vorrei dovrebbe sostenere la costruzione di presidi di partecipazione nei quartieri, dei civic-center, capaci di includere i cittadini nei processi partecipativi botton- up che respingano ogni deriva autoritaria e autoreferenziale dei partiti e siano capaci di rendere i cittadini protagonisti di un epocale cambiamento culturale e sociale e di preparare e selezionare le future classi dirigenti. Il Partito non deve essere più il luogo dello “scambio”, della conservazione dei “clientes” ma deve diventare il luogo dove i cittadini diventano protagonisti. Un luogo carico di identità che guardi al passato, come elemento imprescindibile per osare nel futuro, che abbia come modelli di riferimento l’antifascismo, Pertini e Nenni. Un partito che si deve reggere esclusivamente sul contributo dei cittadini, dei volontari, privo di funzionari, senza federazioni e burocrazie sovra comunali.

    Il Partito che vorrei dovrebbe costruire una grande sinistra fuori dalla dimensione televisiva della politica a cui ci siamo abituati in questi lunghi vent’anni. Una sinistra che guardi all’Europa e realizzi una politica che non sia più provinciale e ancorata all’antiberlusconismo con l’obiettivo di ridare slancio e entusiasmo a milioni di persone che in assenza di una alternativa hanno votato Grillo o non hanno votato, per costruire un Italia dove la gente non muore schiacciata nei mezzi pubblici e dove si riconquista il sentimento di Comunità e di solidarietà. Insomma, un partito Socialdemocratico del Lavoro!

 

 

IPSE DIXIT

Ammirazione e affinità - «Sono stato legato da ammirazione e crescente affinità ideale e politica a Willy Brandt, ed ebbi con lui come Presidente dell'Internazionale Socialista schietti e proficui colloqui personali e incontri formali, in occasione del Congresso di Stoccolma e di diverse sessioni del Consiglio dell'Internazionale Socialista cui venni invitato come osservatore per il Partito Comunista Italiano. È rimasto impresso nella mia memoria soprattutto un singolare incontro con lui, per la straordinaria coincidenza con lo storico evento della caduta del “muro di Berlino”. Avevamo mesi prima concordato di discutere da vicino in modo approfondito il tema del rafforzamento dei rapporti del PCI con l'Internazionale Socialista, nella prospettiva di una vera e propria adesione. L'appuntamento venne fissato per il giorno 9 novembre 1989 alle ore 14.00, a Bonn, nell'ufficio di Brandt al Bundestag. Discutemmo di tutto a lungo, in termini di piena reciproca apertura e comprensione, per ben due ore, non immaginando che di lì a poco - dopo che io ero appena ripartito da Bonn per l'Italia - la storia avrebbe conosciuto un'improvvisa, esaltante svolta verso la libertà.» – Giorgio Napolitano