giovedì 24 febbraio 2011

EUROPA - L'Ungheria si allontana dall'euro

Per il primo ministro ungherese Viktor Orbán l'addio al fiorino non avverrà prima del 2020. Il governo vara un piano ambizioso che prevede la creazione di un milione di nuovi posti di lavoro entro dieci anni.

a cura di Osservatorio sociale mitteleuropeo
Le recenti dichiarazioni del primo ministro ungherese Viktor Orbán non danno spazio a visioni ottimistiche sull'adozione dell'euro: per il premier infatti l'addio al fiorino non avverrà prima del 2020. A suo modo di vedere i termini per l'adozione della moneta unica stanno subendo una modifica radicale e rendono necessaria una politica fiscale unitaria all'interno dell'Unione europea con aliquote uguali e questo darebbe luogo a una perdita di vantaggio competitivo per l'Ungheria.

Orbán che è anche presidente di turno dell'Ue ritiene che allo stato attuale delle cose sia meglio star fuori dall'euro e considera l'Estonia un paese coraggioso per essere entrato nell'eurozona lo scorso primo gennaio. Non capita di rado che le dichiarazioni del premier magiaro e dei suoi più stretti collaboratori mostrino una sostanziale divergenza dalla filosofia comunitaria. Di certo c'è che il suo governo ha dovuto prendere le redini di un paese duramente provato da una crisi interna iniziata ben prima di quella globale e incapace di soddisfare i requisiti richiesti dall'Ue per l'adozione dell'euro.

Nel 2008 Fmi, Unione europea e Banca mondiale hanno concesso all'Ungheria un prestito di 20 miliardi di euro. L'attuale governo di centrodestra non ha tuttavia voluto sottoscrivere nessun nuovo accordo con l'Fmi e ha detto di non voler utilizzare nuove tranche del prestito come se la crisi fosse passata, cosa, quest'ultima, che non risponde a verità. L'economia ungherese deve essere rilanciata e di questo Orbán è cosciente.

Il piano Széchenyi – Il piano che porta il nome del conte István Széchenyi, nato a Vienna nel 1791, uomo politico, economista e scrittore, uno dei promotori dello sviluppo sociale ed economico del paese, è stato presentato dal governo all'inizio dell'anno e ha l'obiettivo di rilanciare l'impiego attraverso misure che diano luogo a un vero e proprio sviluppo economico e sociale. Si tratta di un piano assai ambizioso in quanto prevede la creazione di un milione di nuovi posti di lavoro in un periodo di dieci anni. Certamente più ambizioso di quello del primo governo Orbán (1998-2002) che si limitò a un tentativo peraltro modesto di rilanciare l'economia nazionale con 120 miliardi di fiorini che non bastarono a realizzare gli obiettivi individuati dal Fidesz.

Oggi il governo intende destinare 7.000 miliardi di fiorini (al cambio attuale un euro equivale a 270 fiorini) al piano Széchenyi, per il periodo che va dal 2011 al 2014. L'intervento, secondo il ministro dell'economia György Matolcsy, dovrebbe far aumentare il tasso degli investimenti annuali di 5 punti.

Il ministro dello sviluppo Tamás Felleg ha precisato che la somma riservata al piano dovrebbe essere alimentata da fondi nazionali e comunitari. Entro il 2013 dovrebbero essere disponibili finanziamenti europei per un valore di 2.000 miliardi. Per Orbán il successo del piano Széchenyi è vitale per il futuro del paese in quanto è stato concepito per equilibrare il budget, mantenere il deficit al di sotto del 3% e ridurre il debito.

Le priorità - Il piano che viene presentato come un cambiamento radicale della politica economica ungherese, individua i seguenti punti principali: il miglioramento della vita politica e del settore sanitario, lo sviluppo delle energie rinnovabili e di un'economia sostenibile e rispettosa dell'ambiente, la politica degli alloggi, gli incentivi alle imprese, ai settori delle scienze, dell'innovazione, dell'impiego e dei trasporti. Tra i progetti pensati all'interno del piano vi sono quelli relativi al miglioramento delle infrastrutture, della rete stradale, la costruzione di un ponte pedonale tra le due sponde di Budapest, la ricostruzione dello stadio intitolato a Puskás (ex Stadio del Popolo) e l'estensione delle piste ciclabili per migliorare la qualità della vita cittadina.

Incentivi alle piccole e medie imprese - Uno dei compiti del nuovo piano economico consiste nell'incentivare il sistema delle piccole e medie imprese che secondo il primo ministro rappresenta la base di un'economia solida. È quindi previsto l'alleggerimento degli iter burocratici e amministrativi necessari per richiedere e ottenere sovvenzioni. I settori produttivi dell'Ungheria postcomunista sono stati ristrutturati e sostenuti dal capitale straniero. A differenza di quanto avveniva all'epoca del regime l'ossatura dell'economia ungherese è rappresentata soprattutto dalle piccole e medie imprese, quindi la misura concepita dal governo ha un senso; tali imprese dovranno però inserirsi in un processo moderno sul piano della produttività. Il problema sarà comunque sviluppare una cultura di impresa che allo stato attuale delle cose manca.

Riforme sociali - Il primo ministro ha sottolineato il fatto che ogni ungherese dovrà dare il suo contributo alla ricostruzione del paese e che il governo esclude la possibilità che i cittadini meno responsabili e volenterosi si sottraggano al mondo del lavoro e ai loro doveri a spese dei contribuenti. Il piano prevede una serie di tagli alla spesa sociale, tra gli altri la riduzione degli aiuti da dare ai disoccupati e delle prestazioni gratuite in ambito sanitario. C'è da sperare che gli effetti benefici del piano promessi dall'esecutivo si facciano sentire presto nel mondo del lavoro caratterizzato da una situazione di crisi. Non bisogna infatti dimenticare che in Ungheria il tasso di impiego è tra i più bassi dell'Unione europea.

L'anno scorso la disoccupazione è aumentata sensibilmente e nel mese di aprile ha raggiunto il valore dell'11%. Oggi il tasso di disoccupazione continua ad essere di quell'ordine e ha raggiunto il 27% nelle fasce giovanili. Oltre la metà dei disoccupati è senza lavoro da circa diciotto mesi mentre nel 2009 la media era di sedici mesi. I corposi licenziamenti effettuati nella funzione pubblica non hanno certo contribuito a migliorare la situazione e si prevede la soppressione di 25.000-30.000 altri posti di lavoro nel medesimo settore. Il ministro dell'economia ha promesso 300 mila nuovi posti di lavoro entro il 2014. Il governo dovrà dimostrare l'efficacia del suo programma d'azione per risanare un'economia depressa.

IPSE DIXIT
Il Badalucco - «Il Badalucco non c'entra in sé con Berlusconi. Ma ci porta a pensare la figura dell'adulto italiano. È il Furbone, che noi conosciamo tutti. Quell'essere per cui Cesare Zavattini proponeva di defurbizzare l'Italia. Si tratta di defurbizzare l'Italia. Viviamo in un mondo in cui tutti sono furbi. Hanno imparato a essere furbi... Questa cosa dell’essere furbi, se voi ci pensate bene, ti toglie il pensiero del fatto che tu sei: un mortale. Che arriverai: a quel punto lì. Furbo o non furbo.» – Gianni Celati

http://wanna-blues.blogspot.com/2008/07/gianni-celati-il-cinema-deve.html

L'eredità di Pertini per i nostri giovani

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
A ventuno anni dalla morte, resta un esempio di grande rigore
di Giuseppe Tamburrano
Sandro Pertini. E’ morto ventun anni or sono (il 24 febbraio 1990). Sembrano secoli! Il mondo di Pertini – il mondo di Berlusconi! Che cosa avrebbe fatto Pertini presidente?.

Penso che avrebbe ignorato i limiti che la Costituzione impone al Capo dello Stato.
Nasce a Stella il 25 settembre 1896. Fu socialista da giovanissimo, allievo di Filippo Turati. Con l’avvento di Mussolini espatriò, dopo aver avuto scontri e condanne all’esilio dal regime, in una fuga rocambolesca con un motoscafo per salvare Turati insieme con Rosselli, Parri, Oxilia ed altri. Ma non si sentiva suo agio combattendo il fascismo stando “al sicuro” all’estero. E rientrò in Italia. Fu subito arrestato nell’aprile del 1929. Sarà recluso tra carcere e confino fino al 1943: i migliori anni della giovinezza!

Durante la prigionia ebbe un contrasto con la madre illuminante del suo carattere. La signora Pertini, che adorava il figlio, si dette da fare per ottenere la grazia o un’attenuazione del rigore carcerario. Quando Sandro lo seppe scrisse ripetutamente alla madre scongiurandola di non inchinarsi a Mussolini: fino a minacciarla di disconoscerla come madre.

Alla caduta del regime fascista si impegnò nella lotta armata di Liberazione e fu uno dei capi della Resistenza. Tra i tanti episodi che illustrano il suo coraggio indomito, ricordo quello della fuga dal carcere di Regina Coeli ove era detenuto con Saragat ed altri compagni, in attesa di finire davanti al plotone di esecuzione. La fuga fu organizzata in modo temerario dai socialisti Vassalli, Giannini, Gracceva, Monaco. L’ordine era di far uscire solo Saragat e Pertini, per non dare nell’occhio. Ma Pertini si impuntò: o usciamo tutti o io resto qui. Uscirono tutti, miracolosamente.

Non volle cariche di governo. Fu presidente della Camera e poi eletto alla Presidenza della Repubblica a 82 anni (18 luglio 1978). I suoi anni al Quirinale, mentre il terrorismo spargeva sangue e paura, sono ricordati come un tempo di assoluto rigore. Pertini mise lo Stato al riparo dal discredito istituzionale. Lo ricordiamo come un militante e un difensore integro e fermo del socialismo e della Repubblica. Il suo nome viene tra i primi quando vogliamo ricordare uomini politici della prima repubblica onesti, tutti di un pezzo, che credevano nei loro ideali, uomini che non ci sono più in questa povera Italia. Ma io vorrei ricordare anche gli italiani di quei tempi, i tanti italiani che si riconoscevano nelle virtù e nell’esempio di Pertini, considerato un compagno, un amico, un esempio, una guida. E’ stato l’unico Presidente che le folle hanno acclamato per nome: Sandro! Sandro! I sondaggi ci dicono che sono rimasti pochi italiani militanti di un ideale.

Ai giovani che ha ricevuto a migliaia al Palazzo di Montecitorio prima e del Quirinale dopo diceva: “Non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza libertà”. E’ il socialismo! Dimenticato?

Ci sono giovani che vogliono raccogliere quell’eredità e quell’insegnamento per un nuovo socialismo?


LETTERA DI UN GIOVANE SU SANDRO PERTINI
Probabilmente l’ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini è stato uno dei simboli di unione e democrazia. Molti lo definiscono il miglior Presidente che la Repubblica italiana abbia mai avuto, grazie al suo infinito carisma riusciva a risolvere anche le più controverse problematiche.

Purtroppo attualmente nella scena politica nazionale non vi sono esponenti di questo livello, lui era unico nel suo genere, anche perché aveva provato sulla sua stessa pelle i disastri della seconda guerra mondiale e le lotte partigiane, quindi sapeva benissimo cosa volesse dire la parola libertà.

Per lui la libertà e giustizia sociale costituivano un binomio imprescindibile, perché non vi può essere libertà senza la vera giustizia sociale...

Pertini rimarrà per sempre nel cuore di tutti anche per le generazioni che non hanno potuto ammirare la sua innata umiltà, lui era il presidente del popolo, ricordiamo quando fu presente ai tentativi di salvataggio di Alfredo Rampi, un bambino di circa sei anni caduto in un pozzo nel lontano 1981, o della sua esultanza allo stadio di Madrid dopo che la nazionale di Bearzot si laureò campione del mondo nel 1982.

E’ difficile ammetterlo ma la nostra società sta attraversando un periodo di egoismo sociale, tutti pensano solo a se. Chissà che cosa ne direbbe Pertini?

L’attuale classe dirigente dovrebbe prendere spunto di questo straordinario personaggio politico che grazie alle sue lotte contribuì a far nascere la democrazia in Italia.

Il socialismo deve ritornare ad essere una fonte essenziale per ripartire, costruendo una società migliore dove la parità sovrasti le disuguaglianze economiche.

Ci vuole una riforma politica a 360 gradi, solo così potremo aspirare ad un mondo migliore. Pertini ci avrebbe creduto.

Agrippino Castanìa, Catania

mercoledì 16 febbraio 2011

Pudore e Giustizia


IPSE DIXIT

La necessità di difendersi - «"Pudore e Giustizia" era la coppia di concetti che regolava i rapporti sociali. . . L'estrema alterigia, l'inverecondia, la sfacciataggine, l'esercizio deliberato e programmatico della provocazione e dell'intolleranza tipico del comportamento cinico... fanno parte di una conformazione psichica, alla base della quale sta la necessità di difendersi soprattutto dal senso di colpa.» – Mario Perniola

Dieci anni di più - «Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L'amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell'animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così, piano piano, questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più.» – Mario Monicelli




Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Appello di Bersani - Lettera del Segretario del PD agli italiani nel mondo.
In queste settimane il mio pensiero è andato spesso agli italiani nel mondo. A chi quotidianamente tiene alto il buon nome dell'Italia con il suo impegno nel lavoro, con lo studio, nelle università o nei centri di ricerca, con le attività volontarie nelle missioni civili, religiose, militari e di cooperazione.

    Proprio voi, oggi più che mai, state vivendo sulla vostra pelle le conseguenze sull'immagine del nostro Paese che hanno avuto le vicende personali del Presidente del Consiglio, vicende che hanno trovato ampio spazio e risonanza sui media internazionali.

    Si tratta di una situazione insostenibile, che ammutolisce la voce dell'Italia nel mondo e la mette ai margini nel contesto internazionale, rendendo ancora più inefficace l'azione già debole del governo di centrodestra, che continua così a lasciare senza risposta i problemi del Paese, dei suoi cittadini in Italia e di quelli sparsi in ogni angolo del pianeta, in questi due anni e mezzo completamente ignorati e penalizzati dall'esecutivo.

    Tutti coloro che, anche nel centrodestra all'estero, hanno a cuore il buon nome dell'Italia e i suoi interessi fondamentali, devono chiedere a Berlusconi di dimettersi, togliendo il Paese dall'imbarazzo e dal disagio non più sopportabile in cui l'ha costretto.

    Per questi motivi, dunque, vi invito ad aggiungere la vostra firma di italiani all'estero a quelle di migliaia di cittadini in Italia che non accettano di essere messi alla berlina da un governo vergognoso e da un premier al tramonto. Questo è il testo dell'appello promosso dal Partito Democratico:

Berlusconi, lei è diventato un

ostacolo alla riscossa dell'Italia

"Presidente Berlusconi, lei ha disonorato l'Italia agli occhi del mondo, non ha più la credibilità per chiedere agli italiani un impegno per il cambiamento e con la sua in capacità a governare sta facendo fare al paese solo passi indietro.

    Lei dunque se ne deve andare via. L'Italia ha bisogno di guardare oltre, per affrontare finalmente i suoi problemi: la crescita, il lavoro, un fisco giusto, una scuola che funzioni, una democrazia sana.Noi dobbiamo dare una prospettiva di futuro ai giovani. Con la sua incapacità a governare e con l'impaccio dei suoi interessi personali lei è diventato un ostacolo alla riscossa dell'Italia.

    Per questo presidente Berlusconi lei si deve dimettere. L'Italia ce la può fare, dispone di energie e di risorse positive. E' ora di unire tutti coloro che vogliono cambiare. E' ora di lavorare tutti insieme per un futuro migliore".

Potete firmare sul nostro sito: www.pdmondo.it.
Firmate per cambiare l'Italia. Grazie!
Pierluigi Bersani
       


LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

Fiat, Michigan arriviamo!

C'è qualcosa di comico, per non dire di tragicomico, nelle reazioni addolorate all'ultima esternazione statunitense di Sergio Marchionne, ovvero dell'uomo che è amministratore delegato, contemporaneamente, di Chrysler e Fiat

di Fernando Liuzzi

C'è qualcosa di comico, per non dire di tragicomico, nelle reazioni addolorate all'ultima esternazione statunitense di Sergio Marchionne, ovvero dell'uomo che è amministratore delegato, contemporaneamente, di Chrysler e Fiat.

    Il quale, partecipando venerdì 4 febbraio, nella lontana San Francisco, a un convegno organizzato dalla società di consulenza JD Power, ha così risposto a una domanda relativa alla possibile fusione delle due case automobilistiche: "Chissà? Fra due o tre anni potremmo essere di fronte a un'unica entità. Che potrebbe essere basata qui".

    Laddove "qui" non vuol dire, evidentemente, in California, ma negli Stati Uniti. Cioè, a Auburn Hills, attuale sede della Chrysler.

    Apriti cielo. In Italia, alcuni hanno mostrato stupore chiedendosi "Ma come? Il quartier generale della Fiat non sarà più a Torino, ma in una sperduta contea del Michigan?". Il governo, per bocca dei ministri Sacconi e Romani, ha inizialmente teso a rassicurare tutti. Poi è arrivato Berlusconi, che è più furbo, e ha fatto nta di chiamare Marchionne a rapporto.

    In realtà, anche i rmatari degli accordi separati dovrebbero aver capito cosa Marchionne stia facendo. Con Fiat Group Automobiles, separata nel 2010 da Fiat Industrial (Iveco + Cnh), si sta comprando la Chrysler. A ne 2011, quando raggiungerà il 51 per cento della composizione azionaria, userà la Chrysler per comandare su quella che ormai, nei comunicati ufciali, si chiama già Fga. Con tanti saluti per la famosa Fabbrica Italiana Automobili Torino.    

mercoledì 9 febbraio 2011

Sono tornati i Suv

LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

La crisi non insegna. Nel 2010 i bestioni che inquinano, consumano e intasano le nostre città hanno venduto il triplo: il mercato è cresciuto del 17,9%. E le auto elettriche hanno fatto flop. Anche Fiat si butta a capofitto sul "segmento".

di Fabrizio Ricci, rassegna.it

In molti ci avevamo sperato: la crisi più pesante degli ultimi 80 anni, oltre a produrre danni ingenti da un punto di vista sociale ed economico, avrebbe però anche decretato la fine dell'epoca del sovraconsumo e dello spreco. C'erano segnali incoraggianti che confermavano questa ipotesi: ad esempio sembrava fosse giunta l'ora di accantonare uno dei simboli dell'eccesso per antonomasia, il Suv, il gigante della strada, altamente inquinante e ingombrante, con consumi elevati, semplicemente incompatibile con la crescente scarsità di risorse energetiche e con il sempre maggiore inquinamento del pianeta.

    Nel 2008 lo avevamo dato per spacciato. Basta andarsi a rivedere il tono degli articoli che si scrivevano allora. Per esempio il Sole24Ore: “Addio Suv e vetture di grande cilindrata: la cultura dell'auto negli Stati Uniti si trasforma”. Oppure Repubblica: “Addio Maxi Suv, si chiude un'era”. O anche il New York Times che al tempo titolava: “Per i Suv siamo vicini al capolinea”.

    Purtroppo l'illusione è durata poco, appena due anni, giusto il tempo di riportare il costo del petrolio a livelli più ragionevoli rispetto ai 150 dollari di luglio 2008 e di annusare i primi segnali di ripresa economica ed eccoli già tornati in voga come non mai.

    I dati del mercato Usa nel 2010 parlano chiarissimo. Lo scorso anno le vendite di Suv, Pick Up e altri colossi della strada (la categoria che gli americani chiamano “light trucks”) sono cresciute del 17,9%, più del triplo rispetto al mercato delle auto “normali” (+ 5%). E nel primo mese del 2011 il trend sembra consolidarsi con i Suv che crescono del 27% contro il 7% delle auto (i dati sono del Wall Street Journal).

    E poi c'è il flop delle auto elettriche che è davvero clamoroso. I primi due modelli disponibili sul mercato Usa, la Chevrolet Volt e la Nissan Leaf, nel primo mese di commercializzazione (dicembre 2010) hanno fatto segnare consegne ridicole: 300 Volt e appena 10 Leaf. E secondo i dealer locali, a quanto riferisce l'Associated Press a sua volta citata da Repubblica, le previsioni per il prossimo futuro sono drammatiche. In questo modo, l'obiettivo del Presidente Obama di immettere un milione di auto elettriche sulle strade americane entro il 2015 sembra davvero un'utopia.

    Insomma, come ha osservato recentemente il Washington Post, “se i consumatori americani sono entrati nella 'green revolution', la notizia non è ancora arrivata a chi compra auto”. Il capo del maggiore gruppo di concessionari negli States, Mike Jackson della AutoNation, usa una metafora molto efficace e paragona le piccole auto efficienti ai broccoli e le grandi succhia-benzina alle ciambelle: “Se vendi entrambe – osserva – la maggior parte dei clienti sceglierà le ciambelle”. E questo perché “finché la benzina costa poco è difficile portare le persone a fare quel che è salutare per loro e per il Paese. Ed è sempre stato così”.

    Va bene, ma se la crisi non ha insegnato molto agli americani (almeno in materia di mobilità sostenibile), per non parlare della Cina dove in un anno la produzione di Suv è raddoppiata (1,3 milioni di unità nel 2010), possiamo almeno provare a cercare consolazione nel vecchio continente. Il problema è che resteremo di nuovo delusi. Nel 2010 infatti i Suv sono andati fortissimo anche in Italia e in Germania, due dei principali mercati europei. Nel nostro Paese in particolare, secondo i dati dell'Unrae, nei primi 10 mesi del 2010 ne sono stati immatricolati 199.577, ovvero l'11,8% di tutte le vetture. In altre parole, oltre una nuova macchina ogni 10 è un Suv.

    E come se non bastasse, adesso anche Fiat si butta a capofitto su questo segmento. La nuova Mirafiori (quella post referendum-ricatto) stando alle promesse di Marchionne, dovrebbe infatti sfornare 280mila Suv all'anno sotto i marchi Alfa Romeo e Jeep. Mentre da metà 2011 dovrebbe arrivare sul mercato anche un nuovo modello targato Fiat. Insomma, la strada intrapresa non è certo quella dell'auto elettrica cara ad Obama.

    E allora? Allora sembra proprio che bisogna rassegnarsi alla dura legge del mercato: c'è chi li compra (pagandoli cari, magari con un bel finanziamento), quindi noi continuiamo a farli e tanti saluti alla green revolution e al consumo consapevole. Domanda e offerta, in piena libertà, senza patemi d'animo. E' il vecchio e collaudato schema pre-crisi che torna in voga senza nemmeno essersi rifatto il trucco.

    Però, a guardar bene un ostacolo ci potrebbe essere ed è lo stesso che nel 2008 ci aveva fatto gridare alla fine dei Suv e dei consumi sfrenati: il barile di Brent, anche sull'onda del caos egiziano, è tornato ormai sopra i 100 dollari (in estate era a 70) e il prezzo della benzina è quasi ai livelli di tre anni fa. E come ha scritto qualche giorno fa Francesco Paternò sul Manifesto - citando uno che di oro nero se ne intende, il presidente dell'Opec Chakib Khelil - “più alto è il prezzo del petrolio e più la gente fa sforzi per consumarne meno”. E allora, quasi quasi verrebbe da augurarselo un rialzo, se non fosse che poi la benzina dobbiamo pagarla tutti e che un aumento ulteriore del costo dei carburanti stroncherebbe sul nascere ogni possibilità di ripresa economica.      

La prossima settimana a Fahrenheit
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/

Le donne di Allah

Inaspettatamente - Mentre in Italia impera il modello velina, dall'Islam dei veli arrivano esempi di emancipazione femminile.

Mentre in Italia impera il modello velina, dall'Islam dei veli arrivano esempi di emancipazione femminile. Li racconterà lunedì a Fahrenheit l'iranista Anna Vanzan,  autrice di "Le donne di Allah", edito da Bruno Mondadori. Una galleria di ritratti disegnati dalla Vanzan attraverso i suoi viaggi verso Est, dai Balcani alla Turchia, dall'Indonesia alla Malesia passando per l'Egitto, in questi giorni al centro del mondo, per raccontare come le donne musulmane possano conciliare Corano e integrazione sociale. Di altro tipo, ma ancora più pesante, la diacronia la centro di un libro che esploreremo martedì con il suo autore, lo storico Piero Bevilacqua: si chiama "Il grande saccheggio" (Laterza), e sostiene la devastante incompatibilità tra un sistema capitalistico in grado di produrre immense ricchezze e una architettura sociale ancora ottocentesca. Mercoledì, alla vigilia del giorno del ricordo, faccia a faccia con Gianni Oliva, storico tra i più attenti alla tragedia delle foibe e all'esodo giuliano-dalmata. Il suo ultimo libro ha per titolo: "Esuli. Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia" (Mondadori). Il comunitarismo tecnico è invece il nodo centrale del pensiero di Lelio De Michelis . In "Società o comunità. L'individuo, la libertà, il conflitto, l'empatia, la rete" (Carocci) il sociologo già autore di "Bio-Tecnica" lamenta la crisi di una società sempre meno aperta e il trionfo delle comunità, soprattutto tecnologiche, sempre meno aperte: con conseguenze negative sulla libertà individuale e sulla partecipazione civile. Venerdì la filosofia scende, come sempre più frequentemente le accade, nella palestra della vita quotidiana. Maurizio Ferraris, nel suo "Filosofie per dame" (Guanda) definisce ulteriormente il campo d'applicazione della sua disciplina,  descrivendo possibili approcci filosofici a una serie di eventualità tipiche del mondo femminile.  

I libri del giorno: Pellegrino Artusi, grande cuoco ma anche geniale detective. Questa la bizzarra evoluzione dell'autore del manuale di gastronomia più noto d'Italia nell'ultimo romanzo di Marco Malvaldi, lo scrittore pisano inventore del Bar Lume, stravagante luogo d'indagine del pisano, teatro dei suoi precedenti gialli. In "Odore di chiuso" (Sellerio) si torna indietro di molti decenni, per una storia tra cucina e delitti: sarà il libro del giorno di lunedì. Martedì scopriremo invece l'esordio di Barbara Di Gregorio, "Le giostre sono per gli scemi" (Rizzoli): un lungo inseguimento tra due fratellastri sullo sfondo di un oggetto simbolo della loro infanzia perduta: un ottovolante portato in giro dal padre nelle notti di provincia. Mercoledì un singolare poliziesco tra ecologismo radicale e complotto planetario: cosa si nasconde dietro "La rivoluzione delle Api" minacciata da una multinazionale dell'agro alimentare? Ce lo racconta Serge Quadruppani, noirista francese di chiare origine italiane, nel suo nuovo romanzo pubblicato dalle Edzioni Ambiente. La scuola tornerà tema  centrale dei nostri pomeriggi attraverso il Contromano Laterza di Silvia Dai Prà: reportage di una giovane insegnante in un istituto professionale della periferia romano, tra tentativi di salvezza e voluttà di omologazione, al punti che il titolo del libro è "Quelli che però è lo stesso". La ricostruzione della figura paterna è invece il filo del romanzo di venerdì: un imprenditore agricolo di successo, proprietario di una florida azienda ereditata, è costretto a interrogarsi sull'origine di questo lascito e a rivedere così tutte le sue sicurezze. Il libro si chiama "La città di Adamo (Fazi) e lo ha scritto Giorgio Nisini.   

Le cinque storie - Sarà Francesco De Filippo, giornalista esperto di questioni di immigrazione e legalità a raccontarci, ogni giorno, una storia di immigrazione a partire dalle testimonianze di tanti stranieri giunti nel nostro paese: vicende molto diverse le une dalle altre, uomini e donne di diversa provenienza etnica, geografica, sociale, culturale e diverso destino.

Dal nostro sito potete riascoltare tutte le nostre puntate, gli speciali trasmessi dai Festival, le interviste agli scrittori, le poesie, le recensioni realizzate dagli ascoltatori per Youbook .

Vi ricordiamo che potete partecipare a Fahrenheit scrivendoci mail per commentare con noi i temi e i libri, per partecipare alla Caccia al Libro e per parlare dei libri che amate (o che detestate) registrando il vostro Youbook al numero 06.3724737 o mandando un file audio o video all'indirizzo fahre@rai.it .

Buon Ascolto su Radio 3!
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/     

A 120 dalla nascita di Pietro Nenni

Sulle spalle di un gigante per costruire il socialismo di domani *)

A 120 anni dalla nascita resta intatta la sua lezione politica e morale. Non sono superati i valori fondamentali che l’hanno ispirato: l’uguaglianza, la giustizia sociale, la libertà per tutti. occorre che i più giovani si ispirino a quel modello per costruire il socialismo di domani.

di Giuseppe Tamburrano
Presidente della Fondazione Pietro Nenni

Cari compagni, l’anno in cui nasce Nenni, il 1891, nasce anche Critica Sociale, diretta da Filippo Turati e Anna Kuliscioff; nasce a Catania il primo “fascio siciliano” promosso da De Felice Giuffrida; nasce la gloriosa federazione mantovana degli operai e contadini; nascono le Camere del lavoro di Piacenza, Milano e Torino; i metallurgici proclamano un grande sciopero; a Bruxerlles si riuniscono i socialisti di tutta Europa in quello che fu, dopo la prima riunione dell’Aja del 1876, il vero affratellamento dei socialisti di tutta Europa. L’anno dopo nasce il Partito socialista.

    La vita politica di Nenni è lunghissima: 80 anni. Ricevette il battesimo a sette anni, nel maggio del 1898, quando assistè “impietrito” alla carica della cavalleria nella piazza di Faenza contro donne e lavoratori che avevano assaltato i forni per potere sfamarsi. “Quel giorno – disse – ho scelto da quale parte stare”.

    Nenni è il Partito socialista non solo perchè lo ha diretto per tanti anni, ma perchè lo ha salvato tante volte. Nel 1922-23 – è nel partito solo da un anno – vince la battaglia contro Serrati e i massimalisti che avevano deciso di “svendere” il Partito a Mosca e al PCI.

    Nel 1930, nell’esilio francese, realizza insieme a Turati l’unificazione con i riformisti. Durò fino al 1947, anno della tragica scissione di Saragat: il quale aveva ragione a rifiutare l’unità con i comunisti, ma torto a lasciare il Partito.

    L’alleanza strettissima con il PCI fu l’errore di Nenni che rischiò di far scomparire il PSI. Nenni se ne riscattò nel 1956 rompendo l’alleanza subalterna con il PCI.

    I migliori anni della nostra storia repubblicana furono quelli, specie i primi, del centro-sinistra. E recano l’impronta di Pietro Nenni. Due grandi vittorie democratiche portano il suo nome: la Repubblica e il divorzio.

Il socialismo di Nenni è superato, ma non sono superati i valori fondamentali che l’hanno ispirato: l’uguaglianza, la giustizia sociale, la libertà per tutti. E’ un gigante e salendo sulle sue spalle vedremo più lontano di lui in questo mondo in cui le ingiustizie sociali sono enormi, in cui il mercato deregolato ha fallito restituendo attualità al socialismo riformista, in questa Italia devastata da una gravissima crisi economica, sociale e soprattutto etica e culturale.

    Egli è stato un modello di militante: occorre che i più giovani si ispirino a quel modello per costruire il socialismo di domani.

*) Dal messaggio inviato dal Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni, a Felice Besostri, Portavoce del Gruppo di Volpedo.       



IPSE DIXIT

Night and day - «Noi non accettiamo che l'Italia giri attorno ai suoi [=di Lui, ndr] giorni inconcludenti e alle sue [=di Lui, ndr] disdicevoli notti.» – Pierluigi Bersani

http://www.youtube.com/watch?v=PEM_63_P0CY


Se non ora quando? - «Non vogliamo giudicare le ragazze che frequentano la casa del premier cercando di cambiare la propria vita in una serata...  Neppure condividiamo quelle letture che riducono le donne a vittime... Nella nostra vita incontriamo tante donne, magari affaticate e un po’ sole, precarie o in cerca di lavoro, ma libere e sicure del proprio valore... Crediamo sia urgente, nella politica e nella società, fare una grande e limpida battaglia politica contro questo sistema di potere e di corruzione, contro la mercificazione del corpo femminile e il modello di relazioni che propone, contro la svalorizzazione del lavoro e della vita delle donne.» – Titti Di Salvo, Cecilia D’Elia, Monica Cerutti

http://www.youtube.com/watch?v=gc5u6r7GBGE     


Segnalazione

SE NON ORA, QUANDO?

Filo diretto con
SUSANNA CAMUSSO
su RadioArticolo1
(www.radioarticolo1.it)
Martedì 8 febbraio alle ore 13.30

Scrittrici, lavoratrici, ricercatrici, casalinghe, studentesse. Le donne italiane si stanno mobilitando in tutte le città per reagire al degrado della politica e della società. Un cartello composito di donne e associazioni sta lavorando ad un grande appuntamento nazionale, domenica 13 febbraio, con manifestazioni in tutte le città d'Italia. La Cgil è in prima fila nella promozione di questa iniziativa e il suo Segretario generale, Susanna Camusso, sarà ospite di un filo diretto di RadioArticolo1 (www.radioarticolo1.it) in programma per il prossimo martedì 8 febbraio alle ore 13.30.

Si può intervenire telefonando allo 06.40043376, mandando una e-mail all’indirizzo redazione@radioarticolo1.it, attraverso la pagina facebook: http://www.facebook.com/radioarticolo1, oppure inviando un sms al  331.3423318. 



martedì 1 febbraio 2011

GLI OPERAI L'ANTIMAFIA E LA NOSTRA DIGNITÀ

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dopo Cuffaro, dopo Berlusconi... Facciamo rete, tutti insieme. Da soli (giornali e gruppi) siamo deboli. Insieme - ma insieme davvero, senza egoismi e ritrosie - ce la possiamo fare.


di Riccardo Orioles

Non è una vittoria di tutti, l'arresto di Cuffaro. E' una vittoria per coloro che, seguendo Falcone e Borsellino, hanno lottato anno dopo anno per la dignità e per il bene di tutti. Ma questa è stata una minoranza, anche se in certi momenti molto forte,.

Per la maggioranza del popolo siciliano, invece, l'arresto di Cuffaro è un giorno di vergogna e - auspicabilmente - di riflessione. Per anni e anni, tradendo il ricordo dei morti e i valori della vecchia Sicilia contadina, abbiamo liberamente votato per un mafioso. Fra tutte le regioni italiane, siamo quella che ha peggio usato la propria libertà e democrazia, appoggiando gli assassini e i trafficanti di droga e chiamando “politica” ciò che era semplicemente vigliaccheria e servilismo.

Da qui bisogna partire, senza mezze parole, se vogliamo tornare - tutti, non solo alcuni - un popolo civile. Abbiamo una storia altissima alle spalle - il movimento contadino, le rivolte, le centinaia di sindacalisti, giudici e giornalisti ammazzati - e una gioventù che, a differenza della classe dirigente, si è dimostrata spessissimo degna di stima. Ripartiamo da queste. Non perdiamo un istante a guardarci indietro, non regaliamo un attimo alla vecchia “politica” cuffariana e lombardiana, di chiunque ci abbia a che fare. “Voi avete svergognato e distrutto la Sicilia. Noi giovani la ricostruiremo”.


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Questo impegno a Palermo può contare, oltre che sui militanti civili, su una scuola di giudici al servizio di verità e giustizia da generazioni, presidio vitalissimo di democrazia e libertà. Non a Catania. Qui, nello strapotere di un Sistema contrastato solo dai ragazzi dei movimenti, il Palazzo di giustizia per decenni si è erto solitario e inutile a tutti se non ai potenti. E tuttora è così.

Travagliato da scontri interni, riconducibili più che ad ansie di giustizie alle contrastanti ambizioni di poteri superiori, conteso fra screditati esponenti fra cui è impossibile la scelta, esso urgentemente richiede un intervento preciso e duro dell'organo di autogoverno della Magistratura, fin qui efficiente e attento altrove ma non sulle faccende catanesi.

Venga un buon giudice, venga finalmente un giudice a Catania; deciso d'autorità dal Csm, dato che i concorrenti attuali danno scandalo o sono inadeguati. Catania, coi suoi dolori e i suoi travagli, e i suoi movimenti civili che durano da trent'anni, non merita un po' di giustizia, non merita almeno questo? Si legga, alla fine di questo numero, il drammatico e purtroppo attuale rapporto del più autorevole testimone catanese, e lo si prenda finalmente a pietra di paragone.


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Che differenza c'è fra obbligare un commerciante a “fare un regalo” minacciandogli il negozio che è il suo posto di lavoro e obbligare un operaio a “fare un regalo” (il lavoro, i diritti, la rinuncia al sindacato) minacciandogli la fabbrica in cui lavora?Ricatti del genere, del resto, nel mondo industriale sono sempre esistiti: ma mai con una tale chiarezza, diciamo così, didascalica e insistita: “Devi pagare il pizzo, e si deve sapere in paese”. “Devi rinunciare al sindacato e lo devono sapere tutti”. Il pizzo, o il ricatto del lavoro, come gesto esemplare, come manifesto. I brigatisti, più colti dei mafiosi ma meno sofisticati di Marchionne, riepilogavano rozzamente: “Colpisci uno per educarne cento”.

Così, due mesi dopo Pomigliano, non c'è fabbrica italiana in cui i lavoratori siano ancora sicuri dei loro diritti: che anzi, dopo le cortesie di rito, sono praticamente spariti dall'agenda politica. Il proprietario industriale di Repubblica “Ha proprio ragione Marchionne!” ha detto. E subito il giornale liberal s'è adeguato.

Così, adesso gli operai sono soli, soli in mezzo alle chiacchiere come i ragazzi antimafiosi del sud.
Che però, in fondo in fondo, soli non sono mai stati del tutto. Hanno avuto, in taluni momenti, la capacità e la fortuna di muoversi insieme con altri, di “fare rete”: la prepotenza e le minacce insegnano a molti la vigliaccheria, questo è vero, ma a molti insegnano anche la buona organizzazione e il coraggio.

Così, dallo sciopero operaio di oggi, può benissimo nascere tutta una serie concreta di momenti unitari e civili - fino allo sciopero generale, sindacale e antimafioso - da cui unicamente può sorgere la salvezza della Repubblica e la sconfitta profonda, non gattopardesca, dell'attuale regime.

Non è affatto casuale - scrivevamo pochi giorni fa su Casablanca - che questo giornale, nato come giornale antimafioso (e con radici non superficiali nè casuali) in questo numero sia dedicato prevalentemente ai problemi degli operai, ai diritti degli operai. E' lo stesso discorso. E quando riusciremo a profondamente comprendere, e non solo nei dibattiti ma nelle strade, il legame che esiste fa ingiustizia sociale e potere mafioso, allora avremo già quasi vinto la nostra battaglia.


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Dunque, il lavoro è questo. Difendere i diritti, la Costituzione, la legge e quelli che ora l'incarnano, i nostri Magistrati. Difendere la vita quotidiana delle persone “comuni”, di quelli che non vanno nei giornali ma che, nel loro complesso, costituiscono la Nazione. Sfrondare d'ogni sovrastruttura ideologica (ma non politica) questa lotta.

“L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: questo è il nostro programma, e non ci serve altro. Ma per queste poche parole siamo pronti a combattere, senza compromessi. Vedremo chi è disposto a difenderle, e chi vorrà invece confonderle in un abile e vano fumo di parole.

Facciamo rete, tutti insieme. Da soli (giornali e gruppi) siamo deboli. Insieme - ma insieme davvero, senza egoismi e ritrosie - ce la possiamo fare.

(Ucuntu n.102, 28 gennaio 2011)

IPSE DIXIT

Crescita insopportabile - «Aumentare i desideri fino all'insopportabile, rendendo la loro realizzazione sempre più inaccessibile, era il principio unico su cui poggiava la società occidentale.» - Michel Houellebecq


Dilagante - «La cocaina dilagante è un simbolo dell'avvelenamento a cui tutti soggiaciamo.» - Dino Segre (Pittgrilli)


Inaudita - «La società erotico-pubblicitaria in cui viviamo si adopera a organizzare il desiderio, a sviluppare il desiderio in proporzioni inaudite, mantenendo la soddisfazione nella sfera della vita privata. Perché la società funzioni, perché la competizione continui, bisogna che il desiderio cresca, si estenda e divori la vita degli uomini.» - Michel Houellebecq

Amnesty: "Si rischia un bagno di sangue"

Rivolta popolare in Egitto

Amnesty International chiede alle autorità egiziane di "riprendere il controllo delle forze di sicurezza" e sottolinea che i manifestanti "hanno il diritto di organizzare e svolgere le proteste senza paura di intimidazioni, violenze e arresti"

Le autorità egiziane "devono riprendere il controllo delle forze di sicurezza per evitare un bagno di sangue e smetterla di fare affidamento sul trentennale stato d'emergenza per vietare le manifestazioni e procedere a perquisizioni e arresti sommari". E' quanto dichiara in una notaHassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

    Amnesty International sottolinea che i manifestanti hanno il diritto di organizzare e svolgere le proteste senza paura di intimidazioni, violenze e arresti. Al contrario, sottolinea l'ong, la scorsa notte le comunicazioni con gran parte dell'Egitto sono state interrotte, comprese Internet e la telefonia mobile. In precedenza, erano stati bloccati anche i servizi di messaggeria mobile, nonché Twitter e Bambuser. Noti attivisti per i diritti umani si sono visti disattivare le loro schede telefoniche.

    "Con questa decisione di impedire le comunicazioni tra gli egiziani - aggiunge Sahraoui - le autorità hanno mostrato fino a che punto sono determinate a impedire il diritto di manifestazione pacifica". Amnesty International ha quindi condannato l'uso sproporzionato della forza e il ricorso immotivato a proiettili di gomma e forza letale nei confronti dei manifestanti.

    L'intervento delle forze di sicurezza per stroncare la rivolta popolare in corso in Egitto da martedì 25 gennaio ha così provocato almeno otto morti e un numero maggiore di feriti. Secondo avvocati e attivisti per i diritti umani, i manifestanti arrestati sono almeno 1120. Alcuni di essi hanno riferito ad Amnesty International di essere stati picchiati durante e dopo l'arresto e di essere stati privati di cure mediche. Ieri, 27 gennaio, sono stati arrestati anche otto esponenti del direttivo dei Fratelli musulmani, tra cui Eissam Aryan e Mohamed Mursi, e altri 20 rappresentanti del movimento in varie città del paese    


LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

Gli operai con la Fiom

Dopo i 30mila di Bologna, le tute blu Cgil incrociano le braccia e scendono in piazza in tutta Italia contro il modello Marchionne. Adesioni al 70%, cortei nelle città degli stabilimenti Fiat, sfilano anche gli studenti. Landini: "Ora sciopero generale"

di Maurizio Minnucci

Alla fine è andata come speravano in casa Fiom: adesioni massicce allo sciopero generale dei metalmeccanici del 28 gennaio delle tute blu Cgil contro gli accordi separati alla Fiat. Dopo l'anticipo del 27 in Emilia-Romagna, la protesta si è estesa al resto d'Italia con manifestazioni nelle città degli stabilimenti Fiat (Torino, Cassino, Pomigliano, Termini Imerese, Melfi e Lanciano) e di altre aziende come la Eaton di Massa in Toscana. Sommando i dati delle 18 manifestazioni regionali e delle quattro provinciali si può affermare che decine di migliaia di lavoratori, non solo metalmeccanici, sono scesi in piazza, anche se è impossibile fornire cifre esatte sulla partecipazione.

    Più precisi, invece, i dati sulle adesioni (media superiore al 70%) che sono andate ben oltre la percentuale delle tessere Fiom. È il caso delle della meccaniche di Mirafiori, stabilimento simbolo della vertenza Fiat, dove la percentuale di astensione dal lavoro ha toccato quota 80%, e della Iveco (70%). Negli stabilimenti di Cassino e Melfi ha aderito allo stop la metà dei dipendenti. Alte percentuali anche alla Marcegaglia di Alessandria (65%) e di Asti (95%). A Terni hanno incrociato le braccia otto dipendenti su dieci dello stabilimento ThyssenKrupp, il più grande dell'Umbria.

    La piazza chiedeva a gran voce lo sciopero generale e il segretario generale della Fiom Maurizio Landini, che ha concluso il corteo di Milano, non l'ha delusa: "Abbiamo bisogno che nella nostra discussione si metta in campo anche lo sciopero generale di tutti i lavoratori. Sappiamo che non è facile e che da solo non risolverà i problemi, ma la Fiom deve farlo, non per polemica contro qualcuno". I lavoratori, ha detto Landini tra gli applausi, "sono pronti a battersi. Va bene partecipare, ma è il momento di vincere questa battaglia, ci vuole il coraggio di agire, perché se non lo fai, di sicuro hai già perso". Il sindacalista ha sottolineato che "la maggioranza dei metalmeccanici è con la Fiom, anche quelli iscritti agli altri sindacati o non iscritti". Motivo in più "per continuare a difendere il contratto nazionale fabbrica per fabbrica e per dire no a Marchionne e a chi vuole cancellare i diritti, è un fatto di dignità e democrazia".

    Di diverso avviso Alberto Bombassei, vicepresidente degli industriali, secondo cui è stato "uno sciopero generale di un sindacato che, pur rappresentando una parte importante, è comunque una parte. In democrazia la maggioranza vince e gli altri si devono adeguare: non trovo in linea con questo principio lo sciopero di oggi". L'esponente della Confindustria si è anche augurato un calo della tensione sociale: 'Penso ci voglia la buona volontà da tutte le parti, da parte di Confindustria credo che almeno in un paio di occasioni nel passato abbiamo teso la mano per cercare di aiutarci a vicenda". Non cambia idea il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che bolla lo sciopero come "iniziativa politica", definendolo "un errore".

    Non solo metalmeccanici. Tanti i giovani e gli studenti che hanno scelto di partecipare alle manifestazioni. "Siamo qui per reclamare il futuro per noi ragazzi, vogliamo un cambiamento", dice uno di loro arrivato a Cassino, lo stabilimento del frusinate che potrebbe essere il prossimo tassello del progetto Marchionne. "Non si può prevedere cosa accadrà nel 2011, con il calo delle vendite c'è il pericolo di tornare in cassa integrazione", osserva un operaio che lavora lì da trent'anni. "Mirafiori e Pomigliano - afferma ai microfoni di RadioArticolo1 - fanno paura, perché sono accordi che limitano i diritti dei lavoratori. Siamo preoccupati perché Marchionne annuncia 20 miliardi di investimenti, ma finora non si è visto nulla".

    La giornata si è svolta senza particolari incidenti, anche se un paio di momenti di tensione si sono registrati a Milano e Genova. Nel capoluogo lombardo, un centinaio di giovani antagonisti, staccatosi dalla manifestazione in piazza del Duomo, si è scontrato con la polizia schierata a presidio della sede di Assolombarda. Situazione analoga a davanti alla sede della Confindustria ligure. Atti di violenza da cui la Fiom di Genova si è immediatamente dissociata: "Chi viene al corteo deve rispettare la Fiom, le sue regole e i lavoratori metalmeccanici. Chi non lo ha fatto se ne assume la responsabilità. Noi non siamo disponibili a iniziative di questo tipo: la lotta dei metalmeccanici si fa in fabbrica, nelle piazze con le forme che decidono i metalmeccanici. Se altri vogliono prendere altre strade non vengano ai nostri cortei"