giovedì 7 febbraio 2019

Un Conte a Davos

EDITORIALE

  

Adelante, Pedro, con juicio! Mentre nelle strade delle città nord-europee si susseguono le manifestazioni giovanili di protesta contro il World Economic Forum di Davos e contro l’immobilismo dei governi sul surriscaldamento climatico, il presidente del Consiglio Conte ha preso la parola nell’ampio auditorium riservato ai leader delle élites mondiali ringraziando con consueto sussiego “per l’opportunità di parlare ad una platea così illustre”.

 

di Andrea Ermano

 

Il premier italiano, di fronte a una sala che si era svuotata per due terzi dopo l’affollatissimo intervento di Angela Merkel, ha voluto rappresentare di fronte ai super-ricchi la “visione radicalmente nuova” del governo penta-leghista da lui guidato. «È una visione nuova – ha detto – perché non è costruita in termini di una contrapposizione tra statalismo e liberismo, come ha fatto la tradizionale divisione tra sinistra e destra per più di un secolo».

    Fermiamoci un momento su questo punto. La tradizionale divisione tra statalismo e liberismo non riflette quella tra destra e sinistra da un bel po’ di tempo. Ci si permetta di osservare che il superamento della contrapposizione tra stato e mercato – superamento che ha un nome ben definito, chiamandosi “economia mista” – rappresenta una delle caratteristiche specifiche della socialdemocrazia europea da sei decenni. Le politiche ispirate all’economia mista, infatti, hanno informato di sé l’intero “trentennio glorioso”, che va dal 1945 al 1975 e che ha registrato la fase di maggior espansione economica della storia occidentale, realizzando una grande estensione del benessere e una straordinaria redistribuzione della ricchezza.

    Nel programma SPD di Bad Godesberg, questo principio fondamentale dell’economia mista viene così enunciato: «Nello Stato democratico ogni potere deve sottostare al controllo pubblico. Gli interessi della collettività devono avere priorità sugli interessi del singolo. Nell’economia dominata dalla sete di profitto sono in pericolo la democrazia, la sicurezza sociale e la libertà personale. Per questo il socialismo democratico auspica un nuovo ordinamento sociale ed economico.»

    Il programma socialdemocratico divenne parte integrante della cultura politica europea e garantì un costante miglioramento della qualità della vita nella gran parte della popolazione. Questa è stata la storia della sinistra di governo anche in Italia, quanto meno fino al 1992. Ciò premesso, si potrà dire che, in quest’ultimo quarto di secolo, però, i partiti del socialismo europeo hanno poco o pochissimo difeso lo Stato sociale, secondo il principio enunciato a Bad GodesbergUna critica di questo genere non ci parrebbe certo infondata (soprattutto verso i transfughi dell’osservanza moscovita, passati dal muro di Berlino a Wall Street senza fermate intermedie), anche perché in Italia fu proprio l’abbattimento della Prima Repubblica e la distruzione giudiziaria del PSI craxiano a forzare, non senza violenza, una sorta di “salto di dottrina” dall’economia mista alla cosiddetta “economia di mercato”, con tutto il seguito di liberalizzazioni, privatizzazioni, detassazioni, delocalizzazioni, razionalizzazioni, regalini, regaloni e condoni che hanno concorso a realizzare un trasferimento di ricchezza “dal basso in alto” inaudito e senza precedenti storici.

    Ma torniamo al discorso tenuto a Davos dal premier Conte, il quale per inciso è sembrato volersi profilare come leader a cinque stelle in vista della crisi di consensi cui Di Maio sta portando il “MoVimento” a causa della sua subalternità nazional-leghista.

    Secondo il Presidente del Consiglio il programma di governo che andrà realizzato nei prossimi anni è «vasto e multiforme, guidato da un concetto semplice: sostenere il merito mentre si combattono i monopoli e le rendite di posizione. Una sequenza infinita di riforme può scaturire dal perseguimento di questa idea fondamentale. Il sostegno del merito porterà la nostra attenzione sull’istruzione».

    Anche su questo punto, dell’istruzione e soprattutto dell’istruzione elementare cui Conte si riferisce, siamo di fronte ad antiche questioni socialdemocratiche, e non certo alle tanto propagandate novità a cinque stelle. Senza contare che, dopo venticinque anni di liberismo selvaggio, l’edilizia scolastica ha raggiunto in Italia livelli di estrema precarietà.

    Conte ha anche parlato, in modo forse un po’ velleitario, di «una revisione radicale delle regole per accedere ai mercati, per entrare negli ordini professionali e di una revisione di tutte le norme burocratiche che non perseguono altri obiettivi se non proteggere gli insider».

    Si tratta di obiettivi molto difficili da realizzare al di fuori di un concerto europeo. Contro di esso però l’Italia penta-leghista, sempre più isolata sul piano internazionale, sta muovendo le sue pedine lungo la linea di un’escalation propagandistica che un tempo si sarebbe detta “ostile” e “guerresca”. Oggi ci allarmiamo un po’ meno perché nessuno, in Europa occidentale, può razionalmente ripromettersi qualche vantaggio dall’opzione bellica. Ma come scrive Yuval Harari: «sarebbe ingenuo presumere che una guerra sia impossibile. Anche nel caso in cui un conflitto sia catastrofico per tutti, nessun dio e nessuna legge della natura ci protegge dalla stupidità umana».

    Dei gravi pericoli sottesi all’isolamento internazionale che l’Italia (al netto degli amici americani Bolsonaro e Trump) paga come tributo all’irresponsabile campagna elettorale anti-francese dei due vice-premier, Salvini e Di Maio, il Presidente Conte sembra essere del resto consapevole nella “chiusa” del suo intervento davosiano: «Ogni comunità, se lasciata sola, faticherà a fronteggiare i venti contrari che provengono da chi mette una Nazione contro l’altra solo per il proprio vantaggio. Se noi, come europei, fossimo più uniti in questi sforzi, saremmo molto più forti nel sostenere la visione originale che ha ispirato il sogno di un’Europa che protegge i suoi cittadini e i valori a noi cari: la libertà, la giustizia sociale, un trattamento equo per ciascuno, la solidarietà fra popoli e nazioni, lo Stato di diritto». Insomma, speriamo bene. Qui Davos, a voi Roma.

 

 

 

 


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