La prima scena di questa storia remota, per dirla con Thomas Mann, «s'è svolta ed ebbe a svolgersi nel tempo che c'era una volta, nei giorni antichi del mondo di prima della Grande guerra, il cui inizio tante cose iniziò che ben difficilmente hanno già cessato d'iniziare».
Questa non è tutta né soltanto la storia della Giornata della donna, lo Woman's Day che nasce a Chicago nel 1908 per iniziativa di Corinne Brown, leader socialista americana, allo scopo di unire le rivendicazioni sindacali delle camiciaie e delle altre lavoratrici con la battaglia per il diritto di voto, dal quale la metà femminile della cittadinanza americana era allora esclusa.
Due anni dopo lo Woman's Day sbarca in Europa, a Copenaghen, dove Clara Zetkin riesce far accogliere dalla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste una risoluzione che istituisce la “Giornata della Donna”. Non ovunque si formalizza subito la data dell'Otto marzo. Ma “la nave va”, e con l'anno successivo la Giornata viene celebrata in un numero crescente di città, a partire dalla metà di febbraio.
Il 10 marzo 1917 su L'Avvenire del lavoratore (così, al singolare, si chiamava allora la nostra testata) si legge che: «Come tutti gli anni… le donne socialiste di diversi paesi organizzano la giornata… di lotta e di dimostrazioni, [che] deve servire di conforto e di incitamento alle sfruttate del mondo intero, perché guidate dal pensiero socialista rivendichino i loro diritti – tutti quanti i loro diritti».
Tutti quanti i loro diritti! A scrivere queste parole è Angelica Balabanoff (1878-1965), che si prepara a un giro di comizi in lingua italiana e tedesca nella Svizzera centro-orientale. E, infatti, poco sotto il suo pezzo, un poscritto annuncia che il 18 marzo 1917 la compagna Balabanoff parlerà a Zurigo, nella sala grande del Volkshaus, e che sarà «ben lieta, qualora ci fosse un discreto intervento di proletarie italiane, di rivolgere a queste un discorso in italiano perché dai comizi esca un voto unanime di donne svizzere ed italiane, unite dalla visione delle ingiustizie che subiscono oggi e della radiosa liberazione che porterà loro il socialismo» .
Ma, se nella Confederazione elvetica è ancora possibile convocare pubblicamente una regolare manifestazione a favore dei diritti delle donne, tutt'intorno infuria una guerra tremenda che, giunta al suo terzo anno, ha già mietuto dieci milioni di morti. Perciò Angelica, che guida la battagliera testata pacifista degli emigranti italiani, riprende dal giornale delle socialiste svizzere le parole che seguono, e che le servono a collegare la questione femminile con le indicibili sofferenze provocate dal grande massacro bellico:
«Non più luce per illuminare le loro case, non più carbone per scaldarsi, non più pane per sfamarsi. Non più sangue nei corpicini denutriti dei bimbi, non più sangue nelle vene dei superstiti figli adulti destinati a tornare ad innaffiare del loro sangue di campi di battaglia. Non più forza nelle braccia per stringere al cuore straziato i poveri mutilati tornati dalla guerra, non più forza per informarsi all’apposito ufficio o al giornale, se esiste o non esiste più quello che era l’unico bene loro».
Questo scriveva un secolo fa Angelica Balabanoff. E, nelle stesse ore in cui mandava in stampa queste parole, fu proprio una Giornata della Donna a scoccare la scintilla che incendiò una grande prateria.
L'Otto marzo 1917 le operaie di alcune fabbriche tessili pietroburghesi entrarono in agitazione, appellandosi al sostegno dei metalmeccanici: «Sembrava non esserci alcun nuovo motivo, salvo le code sempre più lunghe per il pane, a farle scioperare», leggiamo nelle memorie del rivoluzionario russo Vasilij Kajurov.
In poche ore quelle operaie tessili in sciopero aggregano circa centomila manifestanti. La dimostrazione spontanea che segue si svolge in maniera tutto sommato pacifica. Scoppia qualche scontro con la polizia zarista solo quando il corteo vira verso il centro della capitale, il cui accesso è per ora impedito. E non di meno quella sera iniziano a finire la Prima guerra mondiale e tre imperi.
Il giorno dopo duecentomila lavoratrici e lavoratori invadono San Pietroburgo, manifestando per il pane e la pace, e quindi contro la guerra e contro l'autocrazia zarista. L'insurrezione dilaga. La polizia inizia a sparare sulla folla, ma dalla folla c’è chi risponde al fuoco.
Il 15 marzo 1917, lo zar Nicola II (1868-1918) si vede costretto a compiere un passo indietro, cedendo i poteri al Primo ministro liberale Georgij L'vov (1861-1925), al quale in luglio succederà il laburista (trudovik) Aleksandr Kerenskij (1881-1970). Ma la guerra continua e Kerenskij dilapida ogni popolarità in una sanguinosa offensiva militare, fallita la quale per Vladimir Lenin (1870-1924) diviene possibile ordinare l'assalto del Palazzo d'Inverno al grido: Pace subito!
Un anno dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi – alle ore 11.00 dell'11.11.1918 – entra in vigore l'Armistizio che segna la fine della Grande guerra.
Lo stesso giorno ha luogo l'abdicazione del Kaiser tedesco Guglielmo II (1859-1941): dopo lo sciopero generale proclamato dalla maggioranza di sinistra nel Parlamento di Berlino i poteri passano al presidente socialdemocratico Friedrich Ebert (1871-1925). Ma quell'11 novembre anche il Kaiser austriaco Carlo (1887-1922) deve rimettere i propri poteri ai rappresentanti del popolo, sotto l'egida del cancelliere socialdemocratico Karl Renner (1870-1950).
Questo articolo inaugura una serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi intensamente impegnati insieme al PS svizzero nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.