Punto di partenza
Martin Schulz sarà il candidato socialista alla guida della Commissione europea
di Paolo Bagnoli
La notizia che era nell’aria da tempo, ora è ufficiale: Martin Schulz sarà il candidato unico alla guida della Commissione europea per i socialisti e coloro che, variamente denominati, condivideranno questa scelta. Essa non può farci che piacere, naturalmente, poiché rappresenta, se non altro, un minimo di soggettività unitaria di un socialismo europeo non certo all’altezza della situazione. E anche se la candidatura decisa dal Consiglio tenutosi a Sofia, accompagnata da una carta d’intenti, denominata “Programma fondamentale”, nella quale vengono ricordati i valori di sempre del socialismo, è un fatto da valutare positivamente, essa, al massimo non può che considerarsi un punto di partenza.
Perché occorre una ripresa del socialismo europeo? Nella Carta di Sofia gli ingredienti ci sono tutti, o quasi, anche se in maniera paludata e molto istituzionale. L’acquisizione di una carica, per quanto rilevante quale quella della presidenza della Commissione europea, sempre che ciò avvenga, non è risolutiva, ma soprattutto simbolica: è meglio avere alla guida dell’organismo comunitario un rappresentante della sinistra che non uno della destra. Il problema è che, nel documento di Sofia, manca il movimento; vale a dire la capacità, a fronte di una vittoria alzo zero della destra economica, finanziaria e civile in ogni campo, di rilanciare la ragione strutturale che giustifica il socialismo, ossia la lotta di classe; una vera e propria azione “rivoluzionaria” da portare avanti democraticamente nelle istituzioni.
Al dilagante capitalismo finanziario non si può solo contrapporre, rilanciandola, la scelta dello welfare state considerato che, da un lato non ci sono più le risorse per il modello e, dall’altro, considerato che lo scontro è di una qualità diversa rispetto a quella che portò al compromesso del cosiddetto stato del benessere. Il compromesso non è possibile e la salvaguardia di quanto rappresenta il socialismo richiede il rilancio del movimento secondo forme e metodi, naturalmente adeguati agli anni 2000.
Colpisce, se non abbiamo letto male la Carta di Sofia, che difetti del tutto il tema fondamentale della strutturazione politico-istituzionale dell’Europa considerato che le decisioni politiche, quelle che contano, che decidono appunto, non stanno né nella Commissione né del Parlamento – un’assemblea legislativa che poi tale non è – ma in una sorta di para-Stato (il Consiglio) che si sovrappone alla sovranità degli Stati aderenti alla Comunità.
Ciò rende naturale ciò di cui ci si scandalizza: mancanza di rappresentatività democratica, di solidale nozione sociale della democrazia medesima, di strapotere da parte delle alte burocrazie senza alcun obbligo di rendicontazione; di riduzione di ogni cosa alla logica del più forte nel nome di improbabili politiche di bilancio. Non che queste, beninteso, non ci debbano essere e non debbano essere controllate. Ma, stante la situazione, esse vanno rapportate a decisioni politiche assunte da sovranità che ne rispondano. La rigidità astrattamente concepita, quasi appartenesse ai principi filosofici, alla fine diviene solo un’arma impugnata dai più forti verso i più deboli.
Il fatto, poi, che la debolezza derivi da errori compiuti è un’altra questione. Più Stati comunitariamente legati non fanno uno Stato. Sicché poi ce n’è uno che tende a farlo per tutti.
È questo lo spirito e il senso dell’Europa?
Può ciò andar bene ai socialisti e ai progressisti che vi si affiancano?
E’ chiaro che la soluzione comunitaria richiede cooperazione – e non sempre la cosa è avvenuta nelle maniere giuste. Ma la cooperazione non può escludere la lotta politica poiché senza essa non esiste democrazia.
I socialisti devono dare un segno unitario a cifra europea di lotta politica, identitaria e socialmente marcata; solo così l’eventuale successo di Schulz avrà un significato politico. Speriamo che esso segni allora una ripresa più generale. In caso contrario si tratterebbe solo di un cambio di mano.