di Emanuele Macaluso
Il governo è sempre più in bilico tra l’essere e il non essere, anzi, dopo l’addio di Clemente Mastella pende più verso il non essere. La crisi politica si acuisce, ma non si intravedono vie d’uscita. Prodi e Berlusconi dicono la stessa cosa: se cade questo governo si va subito alle elezioni, con la legge elettorale vigente. Quale sarà la situazione in cui, con quella legge, si ritroverà il paese non interessa né all’uno né all’altro. Il primo, Prodi, deciso a resistere, costi quel che costi (e questo è anche comprensibile), fa dell’esistenza di questo governo l’ultima trincea del centrosinistra. Il secondo, il Cavaliere, ha una sola ambizione e un solo interesse: tornare al più presto a Palazzo Chigi.
L’Italia, ancora una volta, è prigioniera di un "bipolarismo" rovinoso, espresso da due persone che da quattordici anni condizionano e paralizzano la politica italiana. Ma questa paralisi è stata possibile perché nelle forze politiche che compongono i due poli non c’è stata una reale dialettica democratica e i rapporti con i leader sono stati fondati sul parassitismo o sul ricatto. Tuttavia, con lo sganciamento dell’Udc di Casini e, soprattutto, con la nascita del Pd con le ambizioni indicate dal suo leader Veltroni, sembrava che il quadro politico dovesse essere rivoluzionato. Non è così.
Tutti i giornali hanno considerata rivoluzionaria la decisione, solennemente annunciata da
Veltroni al convegno di "Libertàeguale", che il Pd, in ogni caso, anche se si votasse con la legge attuale, si presenterà da solo. E ha chiesto di fare lo stesso a Berlusconi. Il quale, invece, puntando sulla crisi, rimette insieme i cocci della sua Casa delle Libertà. E Casini, dal momento che si è allontanato la possibilità di varare una legge elettorale come quella "tedesca" che gli consentiva una ripresa di autonomia, è già pronto a rientrare in "casa". E siamo punto e daccapo.
Ma veramente il Pd, se si vota, si presenterà da solo? Con quale legge elettorale? Con quali alleanze? I socialdemocratici tedeschi si sono sempre presentati soli, ma sempre hanno dichiarato prima le alleanze. E nelle ultime elezioni hanno detto che non avrebbero fatto il governo con Lafontaine e gli ex-comunisti del Pds. Dire, come dichiarato Franceschini ieri al Corriere, a proposito delle alleanze, che più «che alle sigle guardiamo agli italiani», è incredibile. Quindi tutti i partiti sono solo sigle? Tranne il Pd? La verità è un’altra e va individuata nel rapporto tra sinistra e Berlusconi.
Infatti nel momento in cui Veltroni propone al Cavaliere di presentarsi come lui con una sola lista, questi non è più il "cancro della democrazia" ma un perno virtuoso del sistema. E se, come pare, Berlusconi rimette insieme i cocci della Casa e anche Casini rientra nella sua stanza, come ha fatto capire, cosa fa il segretario del Pd?
Francamente ho l’impressione che con questa iniziativa - che ha pure una sua forza perché raccoglie il disgusto della gente per il frazionamento politico e i partiti personali - Veltroni tende ad evitare uno scontro politico sulle scelte da fare, sulle riforme sociali, sulla laicità, sulle istituzioni e sulla forma del suo partito. Il Pd, ha detto Chiamparino, è solo un contenitore, e Gianni Cuperlo ha scritto che è una «confederazione di personalità». Veramente si pensa che l’identità di questo partito possa emergere da una sfida elettorale in cui a prevalere sarebbe solo un appello alla semplificazione del sistema politico chiedendo un "premio" alto a un vincitore? Si ignora che l’esito di questa competizione a due sarebbe segnato da un’ingovernabilità dovuta all’opposizione sociale e politica della maggioranza reale del paese.
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