martedì 25 gennaio 2011

Contordine, confratelli?

       
Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Ormai anche la Chiesa –a parere di alcuni autorevoli commentatori - sta "mollando" Berlusconi, dopo il sostegno accordatogli dall'era Ruini a oggi. Oltretevere si parla di uno "sganciamento soft", che non cancella un osceno patto di potere che va avanti da molti anni.

da "Cattolicesimo reale"
www.cattolicesimo-reale.it

Dopo che Silvio Berlusconi è riuscito a comprarsi il voto di fiducia della Camera, le alte gerarchie cattoliche si sono precipitate a dargli il loro sostegno in nome dei “valori” e della “stabilità”.

    Il primo è stato Ratzinger che il 17 dicembre, ricevendo il nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede, ha espresso “apprezzamento al Governo italiano” per essersi opposto al “tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l’esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso”.

    Tale condotta, secondo Benedetto XVI, corrisponde “a una corretta visione della laicità” perché il crocifisso ”è certamente l’emblema per eccellenza della fede cristiana, ma allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina”.

    Ovviamente buon senso e logica vorrebbero che a dire se il crocifisso parla o no a tutti gli uomini di buona volontà fossero gli interessati e non il papa al posto loro. Ma logica e buon senso, si sa, non sono di casa in Vaticano.

E il problema non è solo questo. Il problema è che Ratzinger trova il tempo di elogiare il governo per l’esposizione dei crocifissi nelle scuole mentre non trova il tempo di criticarlo per aver esposto i richiedenti asilo eritrei alla tortura e alla morte con i respingimenti in mare, o per aver esposto alla disoccupazione e alla precarietà milioni di giovani.

    Posizione tuttavia ben comprensibile dato che né la “solidarietà”, né la “accoglienza”, né “la lotta alla corruzione”, né la “giustizia” rientrano per la Chiesa fra i valori “non negoziabili” che tutti i governi, di destra o di sinistra, devono difendere, mentre vi figurano “la vita, la famiglia, la libertà di educazione e ancor prima quella religiosa” (/crocifisso incluso). Tale è infatti l’elenco enunciato dal cardinal Bagnasco nell’intervista a “La Repubblica” del 19 dicembre scorso, e ripetuto a fine anno, insieme al valore supremo della “governabilità” (cioè non far cadere Berlusconi).

    Anche Ruini è d’accordo, come mostra il suo elogio della “stabilità” nell’intervista data al “Corriere della sera” la notte di Natale. A chi gli chiedeva se i centristi cattolici (UdC) potrebbero contribuire alla stabilità, Ruini ha risposto sornione: “La stabilità è certamente un bene per il Paese. Quindi è opportuno che ogni forza che può farlo contribuisca”. Chi ha orecchie per intendere, intenda (ossia: Casini capisca che è bene per il paese separarsi dal “laicista” Fini, come suggerito da “Avvenire”, e correre in aiuto a Berlusconi, in nome dei famosi valori non negoziabili).

    Per chi avesse ancora dubbi sulle simpatie del cardinale, Ruini avverte che non ama “dare giudizi pubblici sui comportamenti privati delle singole persone” (toh!, sul comportamento di Welby che rivendicava il diritto a morire con dignità il cardinale aveva eccepito; su quello del Caimano che candida nelle sue liste le escort con cui va a letto, Ruini ”non ama” invece mettere becco).

    E alla domanda “L’ espansione della Lega la preoccupa?” il cardinale risponde: “Non credo sia da collegarsi a una volontà separatista, ma più che altro a una rivendicazione delle autonomie locali e in genere di concretezza”. Anche lui è assolutorio, come Fisichella, e neppure si accorge dei barconi di profughi respinti, mandando i loro occupanti a morire nel deserto libico.

    Quando si dice essere uomini, anzi cardinali, di fermi e cristiani principi.
    La Chiesa, fautrice per anni di Berlusconi, ma incerta o tentennante nella difesa del suo governo e pronta a cambiare cavallo quando pareva inevitabile il tracollo, torna dunque ad appoggiarlo. Come fece nei confronti di Mussolini dopo il delitto Matteotti, quando “fiutò” che il Cavaliere (quell’altro) sarebbe rimasto in sella. Niente di nuovo, nella storia dei rapporti fra Chiesa e governo italiano, fra Chiesa e potere. C’è solo la conferma del ruolo della Chiesa, come “sponda” essenziale per i regimi autoritari e per le dittature, e del ruolo nevralgico di una battaglia per la laicità dello stato.

    Troppo spesso e da troppe parti si considera questa battaglia come una battaglia per diritti marginali che interessano solo piccole minoranze (i gay, le coppie di fatto). A parte che difendere i diritti delle minoranze è essenziale per garantire la libertà di tutti, resta il fatto che oggi, in Italia, ristabilire la laicità dello stato, metterlo al riparo dalle quotidiane scorribande del Vaticano, è indispensabile per ridurre il ruolo delle gerarchie cattoliche nelle vicende politiche e quindi per difendere la vacillante democrazia del nostro paese.




Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Formigoni: Non è Minetti a doversi dimettere, ma Formigoni

di Marco Cappato *)

Certamente le inchieste che riempiono in questi giorni le pagine dei giornali riguardano ipotesi di reato gravi. Ma non si può non notare come i fatti che noi Radicali denunciamo da mesi e per i quali ci siamo di nuovo stamani recati in tribunale riguardano ipotesi di reato ancora più gravi, relativi alla massiccia falsificazione del voto regionale in Lombardia. E le due vicende non sono scollegate.

  Da 11 mesi denunciamo il fatto che le liste di Roberto Formigoni siano state modificate a tre giorni dalla consegna. Inizialmente lo stesso Sostituto Procuratore, oggi Procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati chiese l'archiviazione. Il Tribunale amministrativo regionale, con il giudice Leo, ha dichiarato i nostri ricorsi addirittura inammissibili. I vertici nazionali e lombardi delle cosiddette "opposizioni" non hanno mai speso una parola chiara di denuncia dell'accaduto, nonostante le prove siano pubblicate da mesi.

    Oggi, improvvisamente, assistiamo a un massiccio impiego di mezzi investigativi (che speriamo possano essere in parte "distratti" sulla questione della legalità delle elezioni) e a parola durissime delle "opposizioni" Partito Democratico e altri per chiedere le dimissioni di... Nicole Minetti? Come abbiamo documentato in tribunale, l'ingresso di Nicole Minetti nelle liste di Formigoni e la conseguente falsità sia delle 2.000 firme già raccolte (su quali liste, se Minetti non era ancora candidata?) che di buona parte di quelle successive, falsificate dopo in tutta fretta sulle nuove liste, non è un'operazione che può essere scaricata alla responsabilità politica o giudiziaria di Minetti o di qualche poveraccio di autenticatore.

    Formigoni, obbedendo a Silvio Berlusconi e d'accordo con Umberto Bossi, è il titolare politico di Liste falsificate, che rappresentano una vergogna e un crimine contro i diritti civili e politici dei cittadini ben peggiore di qualsiasi bunga bunga. Non è Nicole Minetti, ma Formigoni a doversi dimettere dal suo mandato, già abusivamente protratto oltre i limiti imposti dalla legge.

*) Segretario dell'associazione Luca Coscioni, già deputato europeo