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A cura di Internazionale - Prima Pagina
La sinistra italiana a pezzi
Lo scrittore di gialli italiano Andrea Camilleri ha votato per il Partito democratico (Pd) alle ultime elezioni politiche. Nove mesi dopo, la profonda delusione verso il leader del Pd, Walter Veltroni, l'ha spinto a entrare in politica.
Camilleri si è alleato con il giudice Antonio Di Pietro e il direttore della rivista Micromega, Paolo Flores D'Arcais, per formare un Partito dei senza partito in vista delle elezioni europee di giugno. La scelta di Flores e Camilleri è l'ultimo sintomo della dissoluzione di un centrosinistra diviso in tante correnti, e spesso accusato di essere troppo compiacente verso il governo di Berlusconi.
El País, Spagna
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Nel segno della frammentazione
La sinistra a Roma, frammentata come la destra a Gerusalemme, è mini-autoreferenziale: giustamente indignata per lo sbarramento elettorale introdotto da Berlusconi e Veltroni prima alle politiche poi alle europee non trova il tempo, tra una manifestazione di velleitaria indignazione e un bruciamento di bandiere israeliane, per reagire nell'unico modo concreto, associandosi in una lista elettorale unica.
di Claudio Bellavita
A breve si vota per il rinnovo del parlamento israeliano, in una situazione interna e internazionale tra le più difficili della storia di Israele. Nell'incertezza sui risultati e sulle conseguenze per la politica estera e militare del piccolo stato, c'è una sola certezza: come sempre, non ci sarà nessun sbarramento per impedire la moltiplicazione dei partitini che rappresentano, talvolta ai limiti dell'assurdità, la storica tendenza al settarismo degli israeliani, soprattutto di quelli religiosi. Moltiplicazione che rende sempre più difficile la costituzione di un governo che abbia una politica unitaria, soprattutto quando la situazione interna e internazionale rende necessari dei coraggiosi cambi di rotta.
Non credo che sia un argomento su cui riescano a riflettere le schegge della nostra sinistra alternativa e mini-autoreferenziale, giustamente indignate per lo sbarramento elettorale introdotto da Berlusconi e Veltroni prima alle politiche poi alle europee, che tra una manifestazione di velleitaria indignazione e un bruciamento di bandiere israeliane non trovano il tempo e il modo per reagire nell'unico modo concreto, associandosi in una lista elettorale unica.
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Barack Obama e l'Essenza meticcia
Obama recupera l’essenza meticcia dell’America, le sofferenze delle generazioni passate, soprattutto degli uomini e delle donne che nell’oscurità, conoscendo anche “la sferza della frusta”, hanno fatto l’America. Una riflessione sul fenomeno Obama dal punto di vsita delle organizzazioni migranti.
di Rodolfo Ricci *)
Nulla si crea e nulla si distrugge, dicono. Tutto permane trasformandosi oppure tutto di trasforma, permanendo. Obama recupera toni e vessilli antichi, quelli dei “padri fondatori”, quelli che fecero la prima grande guerra di indipendenza e si emanciparono dalla colonizzazione inglese. Quelli che fecero la guerra civile contro la schiavitù. In mezzo c’è la rivoluzione francese, quella dell’egalité, liberté, fraternité.
Toni che un po’ lasciano perplessi noi europei, più avvezzi alla gestione del gestibile, al pragmatismo –non raramente ideologico- che lascia intatta la struttura delle cose.
Obama recupera l’essenza meticcia dell’America, le sofferenze delle generazioni passate, soprattutto degli uomini e delle donne che nell’oscurità, conoscendo anche “la sferza della frusta”, hanno fatto l’America.
Senza di loro, senza le schiere dei neri e dei migranti che “solcarono gli oceani”, non ci sarebbe stata America.
Manca, forse, una parallela considerazione di coloro che in America c’erano già; di quelli, annientati a milioni, Obama non ha parlato.
Ma tant’è: l’America attuale è effettivamente il prodotto dei migranti e degli schiavi africani, e insieme, lo sappiamo almeno da quando il piccolo grande uomo raccontava le sue peripezie e da quando Kevin Costner ballava coi lupi, del genocidio dei nativi.
Ascoltando Obama, mi tornava in mente qualche discorso del meticcio Chavez, per il suo rimando a Bolivar, interprete della liberazione tentata e mancata, il giuramento a Montesacro, il richiamo ai milioni di diseredati del sud, quelli che cominciarono a rifarsi vivi alla fine del secolo scorso, quelli che portano al potere in Brasile, il migrante nordestino e metalmeccanico Lula, quelli che eleggono Evo Morales, primo indigeno a tornare al potere in Bolivia, dopo 500 anni di dominazione bianca e gringa.
I sopravvissuti alla terribile stagione degli anni ‘60 e ‘70, incarcerati, squartati, desaparecidos, che vanno al potere democraticamente in Venezuela, Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Bolivia, Paraguay, dove un vescovo memore della breve quanto grande epoca delle missiones gesuitiche, Fernando Lugo, governa il paese guaranì.
Mi tornava in mente che nel lontano 2001, sei mesi, prima di Genova e otto mesi prima delle Torri gemelle e dell’inizio della guerra infinita della banda dei quattro, a Porto Alegre si era riunito per la prima volta, quel mondo di sconfitti, insieme ai contadini asiatici e africani, ai “ribelli” europei, con tanti premi nobel e intellettuali di diverse latitudini emarginati dai media mainstream. C’erano anche i nordamericani cresciuti sulle note di Peete Seeger e Woody Gutrie, le cui canzoni degli anni ’40 hanno preceduto, il 19 gennaio, il giuramento di Obama, come ci ricorda oggi Alessandro Portelli.
C’erano i pacifisti israeliani e i palestinesi. E c’erano, come ho ricordato in altre occasioni, decine di migliaia di discendenti di emigrati italiani nell’America Latina.
Le avvisaglie di un nuovo mondo stavano presentandosi per la prima volta insieme, da tutto il mondo, per dire che “un altro” mondo era - ed è - possibile.
Nel pomeriggio dell’11/09, ricevetti la telefonata di una cara amica che mi disse, sconcertata: “ora tutto quello che si stava costruendo, sarà distrutto”. E venne, effettivamente, l’Afganistan con il Mullah Omar e venne l’Irak, con le sue armi di distruzione di massa. E le centinaia di migliaia di morti civili. Ed ultima, ed in extremis, venne Gaza, dove le vittime di un tempo si trasformarono, nuovamente in bestie.
Ma è importante ricordare che prima dell’11/09 c’era stata la crisi della new economy clintoniana: l’enorme bolla speculativa che aveva scoperto “l’economia immateriale”, come succedanea soluzione al “problema” costituito dalla crescita della conoscenza globale, del lavoro cognitivo non riconosciuto. Era il tentativo di imbrigliare dentro il meccanismo capitalistico, l’enorme valore del sapere universale diffuso, il tentativo di utilizzare, come nuova miniera di valorizzazione, il sapere delle persone che viaggiava nella rete, in internet, questa strada che mostra, per la prima volta nella storia –forse- come lo spirito umano, insieme alle sue braccia, sia la fonte imprescindibile della conoscenza e della ricchezza.
Il crollo delle borse mondiali che avevano investito su questo sapere libero e diffuso convinse la leadership globale alla guerra. Con tutti i suoi vassalli, valvassori e valvassini nazionali, prezzolati (molti) o meno (purtroppo tanti anche loro).
La regressione verso il burda (islamico e nostrano) e le altre infinite ragioni a sostegno della guerra che abbiamo dovuto sorbirci in questo decennio, sono le stesse che oggi fanno affermare al nostro ministro dell’Interno che è uno scandalo pregare (da islamici) di fronte a chiese cattoliche. Ma Dio, se c’è, non è unico e incommensurabile ?
E Cristo, adorato –come la Madonna- dagli adepti di Hallah, massimo dei profeti e persino più grande di Maometto (valoroso, ma semplice amanuense della divinità), non è forse l’uomo della speranza che il cardinal Martini, perdente di fronte al pontefice tedesco, tentava di reintepretare contro la logica dell’assedio e della paura?
Ora che Obama, col suo dizionario, con le parole necessarie alla lingua degli anni dieci del terzo millennio, parla al mondo, già si intravvedono i cambiamenti di posizione.
Certo che il comunismo ha fallito. O meglio il socialismo reale. Ma le parole dei padri fondatori vanno interpretate. Dal modo in cui si interpretano dipende come gira il mondo.
“Verrà un giorno un uomo dagli occhi chiari che rileggerà quelle di Francesco”, diceva Pasolini in Uccellacci e Uccellini.
Verranno da sud, uomini e donne, si potrebbe dire, oggi, a rinverdire le stesse parole, fratello sole, sorella acqua, ecc., ecc.
La battaglia delle estetiche, delle ermeneutiche, delle puntuazioni di potenza, non è affatto conclusa. La grande crisi che secondo la Banca Europea “coinvolgerà le future generazioni”, è la grande occasione della storia.
Certamente, le sciocchezze relative alle misure di rilancio dell’economia (capitalistica), del salvataggio delle banche, della salvaguardia degli interessi diffusi di chi ha prosperato negli anni della guerra infinita, fanno il paio con il dibattito parrocchiale tra PD e PDL, commissione di vigilanza RAI, e con il tentativo di rilanciare la lotta tra poveri e migranti, ultimo escamotage di riserva di un potere nazionale che si accinge ad abbandonare il paese.
Casini, leader dell’UDC ha affermato martedì scorso che tra tre, quattro mesi, “la gente ci tirerà dietro pomodori ed altro” se non risolviamo i problemi. “Saggia apostrofe a tutti i caccianti”.
Ma i problemi sono irrisolvibili al di fuori di una nuova equilibrata ridistribuzione di redditi e ricchezze. “Dentro e fuori delle frontiere”, come ha detto il grande capo Obama.
*) Segretario nazionale Fiei.