lunedì 27 ottobre 2008

La Catena di San Libero Saviani

di Riccardo Orioles *)
Anche oggi Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n'è andato in cerca di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet a quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di cui finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo solo i poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative inchieste. Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una decina d'anni. Ha perso, per farle, la collaborazione all'Ansa, la possibilità di uno stipendio qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore: anche qui, difatti, l'hanno licenziato in quanto "giornalista pacifista". Marco non ha paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali) ed è contento di quel che fa.
Anche oggi Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro numero della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia. Se ne parla in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro sono riusciti a mettere su una redazione, a organizzare non solo il giornale ma anche un buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano niente e i mafiosi del quartiere hanno già fatto assalire una volta una sede. Max non ha paura, almeno non ufficialmente, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono a qualche chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e contiene tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate) ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il suo giornale, Napoli Monitor, esce da un po' più di due anni e dice le cose che i giornalisti grossi non hanno voglia di dire. E' da quando è ragazzo (ha iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla, manco il caso di dirlo, e non è un momento facile da attraversare. Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Ho messo i primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e Antonella di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per quell'inchiesta sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per vivere, ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato di Antonio, a Bologna? Vent'anni sono passati, da quando gli puntarono la pistola in faccia per via di quell'inchiesta sui clan Vassallo e gli affitti delle scuole. Eppure non ha cambiato idea. E Graziella? E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E... Vabbè, lasciamo andare. Mi sembra che un'idea ve la siate fatta. C'è tutta una serie, in Italia, di piccoli giornali e siti, coi loro - seri e professionali - redattori. Ogni tanto ne fanno fuori qualcuno, o lo minacciano platealmente; e allora se ne parla un po'. Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente e soli, senza che a nessuno importi affatto - fra giornalisti "alti" e politici - se sono vivi o no. Eppure, almeno nel settore dell'antimafia, il novanta per cento delle notizie reali viene da loro.

Saviano è uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima su un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia s'interessava davvero, se l'è cagati. Poi è successa una cosa ottima, cioè che l'industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto di metterci) le mani sopra. Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato carissimo, per lui. Ma ne è derivato soprattutto che - poiché l'industria culturale è stupida: vorrebbe creare personaggi mediatici, da digerire, e finisce per mettere in circolo contenuti "sovversivi" - un sacco di gente ha potuto farsi delle idee chiarissime sulla vera realtà della camorra, che è un'imprenditoria un po' più armata delle altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata, vincente.

* * *
Ci sono tre cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti, dobbiamo a Saviano. Una, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra non è la degenerazione di qualcosa ma la cosa in sè, il "sistema". Due, che il lato vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre, che lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è solo la notizia classica, ma anche la sua narrazione "alta", "culturale"; non solo "giornalismo" ma anche, e contemporaneamente, "letteratura". (Quante virgolette bisogna usare in questa fase fondante, primordiale: fra una decina d'anni non occorreranno più). Dove "letteratura" non è l'abbellimento laterale e tutto sommato folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della stessa notizia che si fa militanza.

Nessuna di queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di "sistema", anziché di semplice (folkloristica) "camorra" è stato espresso contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio Nazzaro (non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e forse prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli. L'aspetto fortemente etico-personale della lotta non alla "mafia" ma al complessivo sistema mafioso è egemone già nelle lotte degli studenti (siciliani ma non solo) dei tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e "letteratura", che è forse l'aspetto più "scandaloso" (e che più scandalizza; e non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe Fava, e nella sua scuola.

Le "scoperte" di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo essere umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco, nell'estraneità e indifferenza dell'industria culturale, in tutta una filiera di giovani cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la "fortuna" di incontrare, esattamente nel momento-chiave, anche l'industria culturale. Che tuttavia non l'ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata anzi (grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell'humus da cui vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa.

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Questa è la nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco o dei Veltroni, benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e promuovano (in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli intellettuali organici, dei militanti ("siamo" qui ha un senso profondissimo, di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro cui sta accudendo lui. Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo, e sappiamo che in essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto che da se stesso. Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di questo orrendo "sistema" e avrà l'orgoglio di avervi contribuito: non - poveramente - da solo ma volando alto e insieme, con le più forti anime di tutta una generazione.

*) Riccardo Orioles, giornalista antimafia, fondatore assieme a Giuseppe Fava de "I siciliani", è un punto di riferimento nel panorama delle firme giornalistiche in Sicilia impegnate a contrastare la mafia e la corruzione. - www.riccardoorioles.org / www.sanlibero.it

lunedì 20 ottobre 2008

Il dibattito a sinistra : Unire i riformisti per cambiare l'Italia

"Vogliamo guardare al futuro. C’è in noi il convincimento profondo che il pensiero e la cultura socialista costituiscano il più importante e decisivo fattore di innovazione, di partecipazione, di giustizia e di libertà delle moderne democrazie e delle società contemporanee". Il dibattito sulla sinistra e il socialismo in Italia si è arricchito del documento del gruppo “Democrazia e Socialismo” che gravita intorno a Gavino Angius. Pubblichiamo il testo e segnaliamo che “Democrazia e Socialismo” ha convocato un'assemblea a Roma il 18 ottobre prossimo, presso la Sala della Conferenze di Piazza Montecitorio 123, dalle ore 9.30

1.
La tempesta economica e finanziaria che ha colpito le piazze economiche mondiali ha assunto connotati eccezionali ed è destinata a produrre i suoi effetti per lungo tempo. E’ sempre più chiaro che la crisi partita dagli Stati Uniti d’America sta avendo conseguenze gravi in tutta Europa e anche in Italia, sia per quanto riguarda il contesto economico generale sia per il suo impatto di breve e medio termine sull’economia reale. Il tema non è quello della sopravvivenza del capitalismo e nemmeno è in discussione la funzione decisiva del mercato, perché essi hanno assunto nel corso della storia forme e connotati diversi, ma semmai di questa loro versione “virtuale” che da molti era stata indicata come una loro inevitabile evoluzione alla quale occorreva prontamente rassegnarsi. Le positive trasformazioni del capitalismo in senso redistributivo nel corso del secolo scorso sono state determinate dalla grande vicenda del socialismo democratico, dal movimento dei lavoratori e da scelte di politica economica a partire dal New Deal rooseveltiano. Esperienze preziose e irrinunciabili per poter effettuare una analisi rigorosa a cui far seguire delle scelte efficaci. Le sfide che stanno di fronte alla sinistra socialista, democratica e riformista sono quindi squisitamente politiche: tra esse hanno assunto particolare rilievo le regole che dovrebbero governare il mercato, i caratteri, i contenuti, le forme dell’intervento dello Stato nell’economia e ancora le politiche pubbliche di sostegno alla domanda e le politiche fiscali redistributive. Ma la crisi in atto è destinata a produrre i suoi effetti anche in uno storico cambiamento degli equilibri politici mondiali a vantaggio di paesi come la Cina, l’India, la Russia e il Brasile.

Il capitalismo finanziario e le economie dei paesi più avanzati usciranno trasformati da questa crisi. Nelle grandi democrazie occidentali la rottura dell’alleanza storica tra capitalismo globalizzato, capitalismo nazionale e Stato Sociale a vantaggio di una finanziarizzazione diffusa e di un liberismo selvaggio teorizzato prima dal reaganismo e dal thatcherismo poi dall’amministrazione Bush, hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe. Il liberismo di fine secolo e quello del terzo millennio non hanno affatto mantenuto le loro promesse. Le economie sono cresciute, ma le disuguaglianze sono aumentate. L’economia di carta ha sopraffatto l’economia reale e il lavoro. La Democrazia si è diffusa ma le libertà sono state spesso limitate e compresse. In questo drammatico contesto il pensiero e le culture socialiste e democratiche insieme a quelle liberali e democratiche si riappropriano del loro valore, come fonte inesauribile di giustizia, di crescita, di benessere. Il socialismo democratico e liberale come pensiero politico e culturale non può essere espunto da un qualsiasi progetto che abbia ora l’ambizione di superare queste grandi contraddizioni e questo lascito di rovine, non solo economiche e finanziarie, che ereditiamo dalla destra conservatrice che negli Usa e in Europa ha egemonizzato culturalmente la guida dei governi.

2.
Anche per le ragioni appena esposte e per le conseguenze economiche e sociali che da esse scaturiscono c’è in noi la piena consapevolezza dell’immane compito cui sono chiamate oggi in Italia le forze democratiche e di sinistra.

Il centrosinistra ha subito una sconfitta storica, nessuna forza di sinistra è in Parlamento e il Pd ha perso la sua sfida con il Pdl. Il centrodestra è maggioranza in Parlamento e nel Paese. L’Italia attraversa una crisi economica e sociale tra le più gravi della sua storia. Il carattere congiunturale della crisi si intreccia però con carenze strutturali con un sempre più accentuato divario economico e sociale tra nord e sud del paese che rischia di sospingere l’Italia verso una recessione reale, tra alta inflazione e crescita zero. In un paese percorso da tensioni e paure per il futuro la sua coesione sociale è sul punto di sgretolarsi. Intolleranza, violenza, xenofobia e razzismo si diffondono in modo crescente. L’allarme sollevato da una parte importante della Chiesa italiana è, a questo proposito, di grande significato. I valori fondanti della Repubblica e della nostra Costituzione sono messi a rischio. Una destra aggressiva e senza ritegno porta l’Italia verso una regressione politica, ideale, morale, che mina le fondamenta e gli equilibri della nostra democrazia e della convivenza civile. Ci sono valori come l’unità del nostro paese, la sua coesione sociale, la sua aspirazione alla giustizia, il suo insopprimibile diritto di libertà, senza distinzione alcuna, che non sono né trattabili né discutibili. Così come ci sono principi come quello della laicità dello Stato che costituiscono una barriera insormontabile a tutela della effettiva pienezza della nostra democrazia.

Nel governo del Paese, e nella sua costituzione materiale, si affermano forme abnormi di presidenzialismo nell’essenza del potere, se non di autoritarismo, che, senza contrappesi e senza controllo, svuotano le funzioni degli organi di garanzia a cominciare da quella del Parlamento. Siamo in presenza di una alterazione crescente degli equilibri democratici su cui si regge l’ordinamento della Repubblica. Non è in discussione la legittimità del governo e la facoltà di attuare il suo programma. Parliamo della necessità di preservare beni comuni: la nostra democrazia, la nostra libertà, la nostra società. Noi avvertiamo il rischio che in una situazione tanto difficile, l’opposizione al governo Berlusconi appaia impotente, evanescente e divisa. Sentiamo di correre il pericolo che un’Italia che è “contro”, stenti a trovare voce, che perda fiducia in se stessa e in ciò in cui crede, che possa aumentare quella sorta di frustrazione civile che già esiste, e infine temiamo che una grande parte del paese non riesca a esprimere ciò che sente. Qui c’è il compito nuovo della politica. Un compito non solo nostro.

3.
Noi avvertiamo la necessità di una riforma profonda della politica: il rinnovamento dei suoi contenuti, delle sue forme organizzative e partecipative, dei suoi fini, della sua capacità di ascolto delle sue motivazioni di fondo. E’ su queste basi che le culture politiche riformiste che si riconoscono nel centrosinistra dovranno impegnarsi per offrire agli italiani un progetto nuovo per la crescita non solo economica, ma sociale, civile, culturale del nostro Paese. Non sconfiggeremo né il governo né il Pdl con furbizie tattiche, manovre contingenti o mosse politiche di corto respiro. Possiamo imprimere contenuto ideale alle nostre politiche, dare ad esse un respiro innovativo e riformatore, possiamo avere l’ambizione di offrire a questo nostro Paese un’alternativa seria, credibile e giusta rispetto alle disastrose scelte del governo. Ma ciò dipende in buona misura da noi. E’ sulla base di questa considerazione che pensiamo si debba lavorare per costruire un nuovo centrosinistra riformista. Il Pd ne è la forza principale. Noi ci sentiamo parte significativa di quelle forze, democratiche e socialiste, di centro e di sinistra, laiche, cattoliche, ambientaliste che in questi anni hanno affrontato le difficili sfide prima contro il governo di centrodestra e poi nel governo del Paese guidato da Prodi. La nascita del Pd non ha risolto la crisi politica in cui a lungo si è dibattuto nel centrosinistra, lacerato da insanabili contraddizioni. Era necessario a nostro giudizio un chiaro confronto e un’aperta battaglia politica che le forze riformiste avrebbero dovuto condurre contro ogni forma di radicalismo, di settarismo, di ideologismo che ha lacerato il nostro campo politico e che è stato la causa del venir meno del rapporto di fiducia con larghi strati di cittadinanza. Non solo dopo la crisi del governo Prodi ma anche prima è stato un errore pensare di poter fare a meno di quelle forze che ai valori e alle idee del socialismo democratico europeo hanno sempre fatto riferimento.

4.
Vogliamo guardare al futuro. C’è in noi il convincimento profondo che il pensiero e la cultura socialista costituiscano il più importante e decisivo fattore di innovazione, di partecipazione, di giustizia e di libertà delle moderne democrazie e delle società contemporanee. A quei valori non solo non rinunciamo ma intendiamo riaffermarli in un impegno politico e in una battaglia ideale di cui vogliamo essere protagonisti. Noi abbiamo profuso le nostre energie – e in essa abbiamo profondamente creduto – nel sostegno e nell’avvio della Costituente socialista. Essa aveva come fine la costruzione di un partito nuovo, socialista, di sinistra, europeo, riformista e di governo, che fosse aperto ad altre culture politiche e che potesse finalmente avviare in Italia la costruzione di un partito che per insediamento sociale, forza organizzata, consensi elettorali, e quindi capacità rappresentativa, fosse paragonabile ad altri partiti europei. Era un progetto certamente ambizioso e sicuramente difficile da realizzare. Ma non impossibile. Questo nostro impegno e questo nostro sforzo è stato vanificato da errori e limiti soggettivi, ma anche da ragioni oggettive. In tutta la sinistra italiana ha infatti prevalso, sia durante il biennio del governo Prodi, che successivamente, quando la sua caduta ha portato allo scioglimento del Parlamento, un riflesso identitario autorefernziale. Ciascuna delle componenti di sinistra è stata risucchiata dal vortice delle dichiarazioni quotidiane; ciò ha fatto smarrire alla sinistra, sia radicale sia riformista, il senso della sua missione e della sua funzione politica. La Costituente socialista così come era stata pensata si è esaurita. E’ stata un’occasione perduta.

Lo stesso risultato elettorale, per la sinistra e per i socialisti, ne è stata la prova. Quel voto ha segnato anche la disfatta della sinistra radicale e la sconfitta del disegno politico del Pd. Il governo del Paese, infatti, è andato al Pdl. Nessuna forza politica del centrosinistra ha fatto una seria analisi degli errori, delle ragioni e delle caratteristiche, aggiungerei anche, di quella sconfitta politica. Anche da qui derivano le difficoltà e lo smarrimento di oggi. A noi pare chiara una cosa. Le autosufficienze identitarie dei diversi partiti del centrosinistra, così tenacemente difese dalle diverse nomenclature, sono un ostacolo se non addirittura un danno, al ritorno di una politica di lungo respiro capace di creare quelle condizioni indispensabili al cambiamento e al rinnovamento di cui ha bisogno l’Italia. Lo stesso Pd, così com’è, non basta. C’è un divario tra la sua ambizione ad essere una forza politica a vocazione maggioritaria e la forza e i consensi che raccoglie.

E forse è proprio per il suo modo di essere che non riesce ad espandere sufficientemente i suoi consensi.
Ma dal Pd non si può prescindere. Questo ci dice la rapida trasformazione del sistema politico italiano. Una trasformazione sempre più bipolare. Come abbiamo detto, il Pd è quel che è, ma è quel che c’è.

5.
Il sistema politico italiano, per una serie di diversi fattori è radicalmente cambiato. Si è affermato un bipolarismo a maglie strette che è destinato ad accentuarsi ulteriormente fino ad arrivare ad un sostanziale bipartitismo. Questo impressionante e rapido mutamento produrrà i suoi effetti sui partiti politici, sulle istituzioni, sul Parlamento, sui suoi regolamenti, e sull’intero ordinamento costituzionale. Nel centrosinistra dunque la funzione politica del Pd diventa fondamentale. Ma non sarà affatto insignificante la funzione che altre culture politiche democratiche e di sinistra che oggi non si riconoscono nel Pd possono svolgere. Noi avvertiamo la urgente necessità di una svolta. In un anno è cambiato tutto. Misurarsi con questi mutamenti vuol dire anzitutto prendere atto di essi e affrontarli in modi nuovi e diversi dal passato, affinché quelle idee e quei valori che costituiscono il nucleo essenziale della storia, della cultura e del pensiero socialista, laico e democratico, non siano dispersi vanificati e affidati alla memoria storica. Noi pensiamo che in forme diverse dal passato e con una progettualità fortemente innovativa ci si debba porre l’obiettivo di raccogliere un insieme di forze, e di culture politiche diverse che possano riconoscersi in un nuovo centrosinistra riformista e condividere un progetto di rinnovamento della società italiana e dello Stato. Noi vediamo i limiti e le criticità del modo di essere del Pd. Restano per noi irrisolte questioni non secondarie come la piena e chiara affermazione del principio di laicità, la collocazione internazionale, la definizione della forma partito. Ma in una forza politica in cui convivono diverse culture ed esperienze la definizione di queste questioni è affidata al dibattito aperto, al confronto schietto e infine alle decisioni del partito stesso. Sarebbe tuttavia insensato non valutare come essenziali le forze, le persone e il ruolo che nella società italiana e nelle istituzioni repubblicane ha il PD e non aprire con esso un dialogo e cercare di assumere impegni comuni.

D’altra parte le sfide della competizione globale e le crisi che su scala mondiale stanno così marcatamente segnando la società contemporanea, - parliamo dei rischi di ritorno alla guerra fredda, della non sopita minaccia del terrorismo fondamentalista, dei cambiamenti climatici indotti dal riscaldamento del pianeta, e dal diffondersi delle condizioni di miseria e di fame in cui vivono oltre un miliardo di esseri umani - devono indurre ad una riflessione nuova sul ruolo dell’Italia nella crisi internazionale.

I riflessi possibili in Europa e in Italia del crollo dei santuari della finanza mondiale negli Usa e delle drammatiche conseguenze su milioni di cittadini e di famiglie stanno portando a riflettere sulla precarietà e sui pericoli cui espone quel liberismo sfrenato che ha costituito per anni il credo della destra conservatrice non solo in America.

Il fallimento del cd. ‘Washington Consensus’ pone l’urgenza di ridisegnare le regole che presiedono al trasparente funzionamento dei mercati e dei prodotti a livello globale, e un ruolo chiave dovrà essere assolto da una ben più coordinata e convincente politica europea che ancora stenta ad affermarsi. Occorre dunque riflettere attentamente su questa dimensione.

6.
L’area politica che noi rappresentiamo si compone di personalità che hanno alle spalle percorsi politici diversi ma che sono unite nel convincimento profondo che una sinistra riformista, socialista, laica europea possa dare un contributo importante nella battaglia ideale, culturale e politica oggi in Italia.

Per queste ragioni è nostro intendimento riaprire con il PD un dialogo e un confronto che si erano spezzati, sapendo che il riformismo italiano nelle sue componenti essenziali socialiste democratiche, cattolico popolari, laiche, ambientaliste, costituiscono un bene prezioso della democrazia italiana. Mettere a frutto questo grande patrimonio di energie, di volontà, di pensieri, è compito di tutti noi. Perché questa è la grande responsabilità che grava sulle nostre spalle. Unirle in un progetto comune è un compito molto difficile. Ma è il solo, oggi, praticabile. In un momento così carico di incertezze per il futuro dell’Italia noi siamo persuasi che valori di libertà e di giustizia, principi di laicità e di rispetto, vadano riaffermati come fondamento della nostra costituzione e della nostra democrazia. E siamo fermamente convinti che una forza politica democratica e di sinistra possa assolvere alla sua funzione e alla sua missione se è capace di dare al suo agire una dimensione europea e un orizzonte globale. In questo senso rimane per noi decisivo non solo il rapporto ma l’appartenenza al campo delle forze socialiste, democratiche e progressiste europee, uniche ed essenziali, per noi, in grado di affrontare le sfide cui siamo chiamati per costruire un nuovo modello di sviluppo che riconosca la dignità della persona umana, l’affermazione delle sue esperienze, l’espansione delle sue capacità, il valore delle sue competenze e del suo lavoro.

E’ dunque a noi del tutto chiaro che oggi si inizia un percorso che noi auspichiamo di compiere con quanti hanno creduto e credono che le idealità socialiste non siano affatto morte e pensano al contrario che quei valori e quel pensiero in rapporto con altre culture politiche, possano costituire il nerbo del più avanzato riformismo italiano da mettere a disposizione per un nuovo impegno e una nuova battaglia politica al fine di rafforzare la democrazia italiana, per rendere più giusta e più sicura la nostra società e per restituire agli italiani una rinnovata fiducia nel proprio futuro.

Gavino Angius, Antonio Foccillo, Alberto Nigra, Franco Grillini, Accursio Montalbano, Fabio Baratella.

Politicamente irrealistico

Ipse dixit
La via dell'impero - «Sparita l'Urss, c'erano soggetti potenti che avrebbero voluto svolgere la loro parte attivamente: Cina, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia e, naturalmente, la Russia. Invece, a Washington scelsero la via più facile, quella dell'impero. Pensarono di potere, anzi di dovere, decidere da soli e per conto di tutti. Adesso tocchiamo con mano che il mondo unipolare ha fallito. Perché, oltre a essere profondamente ingiusto, era ed è politicamente irrealistico e insostenibile fisicamente». - Michail Gorbaciov, premio nobel per la pace 1990

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Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina

Classi separate per gli immigrati

Il parlamento ha approvato un emendamento proposto dalla Lega nord che prevede la creazione di un sistema d'accesso alla scuola solo per gli alunni immigrati, mediante un testd'ingresso e corsi separati.
I partiti di opposizione hanno criticato duramente questa misura, giudicandola discriminatoria. Il progetto italiano è simile a quello già in vigore in Catalogna, dove i bambini provenienti da altri paesi vengono
scolarizzati in centri specifici. Quando questa misura venne approvata, molti la giudicarono "segregazionista".

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martedì 14 ottobre 2008

Italiani all'estero

Una catastrofe annunciata
I drammatici tagli ai capitoli di spesa per gli italiani all’estero: necessaria una forte mobilitazione democratica in ogni circoscrizione consolare. Il rispetto della data prevista per il rinnovo dei Comites e del Cgie. Il lavoro e l’impegno unitario degli eletti in Parlamento.

di Gianni Farina *)
Le spese per la tutela e l’assistenza diretta ai connazionali all’estero, soprattutto indispensabili per gli interventi in America latina, meno 18 milioni; lo stanziamento per l’assistenza educativa, scolastica e culturale dei lavoratori italiani all’estero e delle loro famiglie, da trentaquattro a quattordici milioni, vanificando di fatto ogni possibilità di proseguire con successo nell’opera di crescita culturale e formativa della nostra collettività. Per i contributi ai Comitati degli italiani all’estero, meno cinquecentomila; una tosatura di oltre cinquantamila per le riunioni annuali dei presidenti dei Comites; consistenze limature agli stanziamenti annuali per il funzionamento del Consiglio Generale e dei Comitati degli Italiani all’estero. Azzeramento dello stanziamento per l’istituzione del Museo dell’Emigrazione Italiana. Il pur insufficiente tentativo di ricreare la memoria e il senso di appartenenza della moltitudine italofona nel mondo, cancellato con un tratto di penna, la penna della vergogna e dell’irriconoscenza. Non è nemmeno il tutto di una pur sommaria lettura di una catastrofe annunciata. Il segno di un governo arrogante e allo sbando nei cui provvedimenti possiamo persino scorgere, e sarebbe di una gravità senza precedenti, un intento punitivo verso la comunità italiana nel mondo. Nulla di più facile, nulla di più possibile Basta una pur labile memoria, riandare indietro di poche settimane e di pochi mesi, per scorgere i segni premonitori dello tsunami che si sta abbattendo sul Parlamento, ridotto ad esercitare l’unico atto finale del suo fondamentale e costituzionale ruolo legislativo: il voto di fiducia. Non abbisognano, i cittadini emigrati, di straordinarie conoscenze nel campo della economia e della finanza (dato e non concesso che i presunti specialisti, viste le catastrofi finanziarie di questi giorni, ne sappiano molto di più) per comprendere che, sull’ICI e sulla tassa dei rifiuti in Italia, si sia tolto ai nostri connazionali nel mondo, ripristinando, e solo per loro, l’ingiusta gabella, togliendola, nel contempo, ai ricchi proprietari in Italia. Cosa fare? Ora, quali gli obblighi e i doveri per i rappresentanti dei nostri emigrati nel parlamento repubblicano. Diritti e doveri per il Consiglio Generale, gli organismi elettivi dei Comitati degli Italiani all’estero, l’associazionismo democratico, le espressioni sindacali e patronali italiane in Europa e nel modo. Essenziale mi appare l’esigenza di una forte e marcata mobilitazione in ogni paese o continente ove più grave è lo smacco e più forte la preoccupazione per quanto sta accadendo. Mobilitarsi in ogni circoscrizione consolare per raccogliere il massimo di consenso e dare quindi strumenti più efficaci ai nostri rappresentarsi in parlamento nel continuare una battaglia di lunga lena a difesa degli interessi della nostra collettività. Si rischia di esaurire il rapporto tra l’Italia e gli italiani nel mondo Particolare attenzione meritano i documenti finali scaturiti dalle riunioni continentale e del comitato di presidenza del CGIE di fine settembre a Parigi. Una preoccupazione, matura e consapevole, dei rischi di un possibile esaurimento del rapporto dell’Italia con i propri connazionali nel mondo. La riaffermazione della richiesta del rispetto delle scadenze naturali degli organismi elettivi (Comites e Consiglio Generale) e del loro rinnovo nella primavera del 2009. Raccogliere le sirene interessate di chi, nel MAE (on. Sottosegretario Mantica?), e ne capiamo i motivi e altrove, meno comprensibile!, lega il rinnovo dei consigli alla riforma di due pur buone leggi (naturalmente perfettibili, anche in un futuro prossimo), mi appare una drammatica e irresponsabile operazione a difesa dei gravi atti di governo. Permettere che tutto quanto sta avvenendo si disperda nelle nebbie della rassegnazione e del disinteresse generale per ogni tipo di rappresentanza delle nostre collettività. Nella catastrofe dei tagli, i capitoli riguardanti le spese per le elezioni di tali organismi, risultano, miracolosamente, invariati. Vanno utilizzati per lo scopo indicato, e se così non fosse, il governo se ne assumerebbe intera la responsabilità. La premessa per una efficace e lunga campagna di sensibilizzazione e di attenzione ai problemi dei nostri cittadini, per atti concreti di rinnovamento e di rispetto del pluralismo associativo e democratico, per poter uscire dal momento elettivo con organismi ricchi di nuovi soggetti disponibili a dare un loro innovativo e creativo contributo. Penso e spero nell’onestà di ogni attore protagonista e nella saggezza degli eletti in Parlamento perchè sappiano, pur nella dialettica maggioranza opposizione, trovare le ragioni dell’unità nei superiori interessi della comunità italiana nel mondo.

*) Deputato (PD) eletto nella Circoscrizione Estero

IL MEZZOGIORNO E IL MEDITERRANEO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Gianni Pittella
Alfredo Reichlin sulle colonne de "l'Unità" e Predrag Metvejevic su "Il Mattino" del 30 settembre hanno offerto un contributo di riflessione importante sui temi del Mezzogiorno e del Mediterraneo che mi auguro aprano finalmente un confronto di respiro politico e culturale slegato da una visione emergenziale.

L'analisi di Reichlin è un'istantanea impietosa e vera della condizione socio economica del Mezzogiorno (e mi chiedo cosa accadrà quando la stagflazione si trasformerà in recessione anche per l'effetto domino della tempesta finanziaria americana).

Ed è anche un autorevole richiamo ad una maggior attenzione, anche del Pd, alla durezza della crisi meridionale ed alla sua "crucialità" ai fini della ripresa del Paese. E Metvejevic scrive del Mediterraneo, mare trascurato e incapace di diventare progetto, e di un'Italia e di un'Europa che crescono fuori dalla loro culla. La mia opinione è che non esista una via di uscita credibile alla crisi del Mezzogiorno, senza che sia identificata una sua "funzione" utile all'Italia e preziosa all'Europa. E questa funzione è indissolubilmente legata al Mediterraneo. Del Mediterraneo il Mezzogiorno d'Italia può essere la piattaforma logistica. Il Governo italiano si faccia promotore di un Tavolo interistituzionale per il Mezzogiorno.

Questa è la mia proposta. Un Tavolo per il confronto tra i vari livelli istituzionali per varare un piano finalmente moderno e razionale per l'infrastrutturazione del meridione. Possiamo trasformare il Mezzogiorno in una grande piattaforma logistica del Mediterraneo intercettando le navi che provengono dall'Oriente e dall'Africa e che oggi fanno scalo in altri Paesi come la Spagna. Per fare questo è necessario rendere idonea la nostra rete a partire dal porto di Gioia Tauro, dall'intera rete portuale e infrastrutturale meridionale, a cominciare dall'alta velocità ferroviaria e soprattutto coinvolgere le Regioni e la deputazione italiana al Parlamento europeo per concentrare una parte delle risorse europee e nazionali su questo obiettivo.

Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere la piattaforma per lo sviluppo e la valorizzazione dell'energia da fonti alternative. Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere il motore progettuale nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, della cooperazione, dell'Università del Mediterraneo.
Ricerca e sviluppo tecnologico rappresentano l'ombrello sotto il quale sviluppare prodotti e programmi destinati tanto a migliorare la sicurezza dei cittadini europei quanto a combattere i cambiamenti climatici. Funzionali a questi obiettivi sono i finanziamenti del Settimo Programma Quadro ed è bene ricordare che l'industria italiana ricopre posizioni di rilievo in settori di punta che vanno dalla sicurezza dei porti alle celle a combustibile, dai satelliti al trasporto aereo pulito, ambiti importanti considerato che la riduzione delle emissioni è legata anche allo sviluppo di energie alternative.

Ma L'Europa sta "investendo" anche nella sicurezza e nell'ambiente, elementi centrali di uno dei grandi programmi tecnologici su cui punta l'UE per i prossimi anni: il GMES (Global Monitoring system for Environment and Security), un sistema concepito per fornire ai decisori europei le informazioni necessarie ad affrontare le crisi legate all'ambiente ed alla sicurezza con cui si dovrà confrontare l'Europa nei prossimi anni. Il contributo del GMES, nell'area mediterranea, può essere particolarmente importante laddove consideriamo i servizi legati all'ambiente marittimo. Catastrofi ambientali dovute ad eventi naturali, incidenti o azioni illegali richiedono un impegno condiviso da tutti i paesi dell'area.

Ma ci sono anche altre iniziative che potrebbero rilanciare l'asse Mezzogiorno-Mediterraneo come ad esempio:
- creare un fondo di investimenti per lo sviluppo del Mediterraneo a partire dal fondo apposito di cui è dotata la Bei;
- istituire un osservatorio delle popolazioni delle emigrazioni e della regolazione dei movimenti delle persone;
- favorire le cooperazioni trasversali al livello delle regioni e delle città (con) la creazione di un consiglio permanente delle regioni mediterranee, che sarebbe l'interlocutore privilegiato delle istituzioni europee;
- la creazione di un agenzia di formazione professionale per favorire una immigrazione qualificata attraverso un programma di formazione degli ingegneri e tecnici specializzati nelle energie rinnovabili;
- creazione di un programma Erasmus mediterraneo, a termine, la creazione di una Università mediterranea a pieno titolo, che potrebbe svilupparsi più avanti anche in molte città del nord e del sud;
- istituire una federazione che riunisca le fondazioni culturali del mediterraneo.

Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorrono tre condizioni:
- un'Europa che smetta di concentrare le sue azioni lungo l'asse est ovest e comprenda pienamente la sua "convinzione" nell'essere "mediterranea"
- una classe politica italiana che riconosca l'utilità del Mezzogiorno, il suo valore prezioso per l'intero Paese e per l'Europa, legato ad una funzione che svolge appunto nel Mediterraneo;
- una classe dirigente meridionale meno dedita alle faccende della cucina domestica e capace di misurarsi su una grande sfida. Su quest'ultimo punto, io dico, iniziamo da noi del Partito democratico.

La fondazione Italianieuropei e Mezzogiorno Europa aprendo una sede di lavoro comune a Napoli potranno certamente darci una mano per riportare il gusto del progetto, dell'elaborazione e della sfida su un terreno così decisivo per il Pd, per il Paese e per l'Europa.

*) Europarlamentare, presidente della delegazione italiana presso il gruppo PSE








lunedì 6 ottobre 2008

La libertà d'informazione nel non-regime del Cav

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Due perquisizioni in otto giorni. Criminale? No, giornalista. Alcuni giorni fa, in seguito alla pubblicazione di una inchiesta sugli affari della Camorra nel nord Italia la Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Napoli, ha perquisito (per la seconda volta nell'arco di otto giorni) la redazione del settimanale l'Espresso e gli appartamenti dei giornalisti, Emiliano Fittipaldi e Gianluca Di Feo, autori dell'inchiesta. La prima perquisizione risaliva a venerdi 12 settembre subito dopo la pubblicazione dell'articolo "Così ho avvelenato Napoli". Poi è uscita l'inchiesta "Gomorra fronte del Nord". Ed ecco la seconda perquisizione. Cosa sta succedendo alla libertà di stampa in Italia? Lo chiediamo a uno dei due "perquisiti".

di Gabriele Paglino *)

Gianluca Di Feo, avete toccato un nervo scoperto, questo è indubbio. Ma due perquisizioni nel'arco di otto giorni sono preoccupanti, praticamente come se foste voi i camorristi. A questo punto la prima domanda che sorge spontanea è perchè i cittadini non possono essere informati su cosa realmente accade? A chi non piaciono questi articoli, la serenità di chi vanno ad intaccare?

Di Feo: La Procura interviene a tutela del segreto istruttorio. Noi riteniamo però che questo intervento sia assolutamente sproporzionato nei modi e nei mezzi utilizzati: personalmente ho subito nella mia attività professionale una decina di perquisizioni e una cinquantina di procedimenti penali però non si era mai vista una azione del genere non soltanto nei confronti dei singoli giornalisti ma anche nei riguardi della redazione. La perquisizione di sabato mattina (20 settembre), scattata in un momento in cui il settimanale era chiuso, in un momento quindi in cui non c'era assolutamente nessuno, ha visto l'ingresso di una dozzina di finanzieri con dei periti tecnici esterni in tutta la redazione de l'Espresso, con un mandato della Procura di Napoli che permetteva a loro le ricerche più vaste e indiscriminate sull'attività di un intero giornale. Questo è qualcosa che non ha precedenti nella storia del giornalismo di qualunque democrazia occidentale.

Qual'è esattamente l'ipotesi di reato contenuta nel mandato di perquisizione?
Di Feo: L'ipotesi di reato è abnorme: noi la consideriamo un insulto alla storia de l'Espresso e all'attività professionale mia e di Emiliano Fittipaldi. Perchè oltre ad essere accusati della violazione del segreto istruttorio, che ci aspettavamo e che abbiamo violato consci di servire un bene pubblico superiore ovvero la libertà di stampa, in più ci accusano di aver favorito la camorra casalese. Con questa contestazione, che personalmente vivo come un insulto, possono utilizzare contro di noi tutti gli strumenti di indagine antimafia: dalle intercettazioni alle microspie, con qualunque procedura invasiva. A noi sono state perquisite la macchina (ad Emiliano Fittipaldi due volte) e il motorino. Però anche il numero di persone impiegate è veramente abnorme: per una settimana oltre venti finanzieri si sono occupati de l'Espresso e questo è accaduto nella settimana in cui i Casalesi mettevano a segno altri otto omicidi.

Cosa vi hanno sequestrato?
Di Feo: Hanno sequestrato completamente i nostri computer. La prima volta hanno sequestrato il mio hard-disk e hanno fatto copia della memoria di Fittipaldi. La seconda volta hanno proprio portato via integralmete il mio computer e a Fittipaldi, oltre al computer, hanno portato via le copie che glia avevano consegnato la prima volta. Quindi noi abbiamo perso completamente tutte le nostre banche dati, le nostre mail, gli archivi e tutto quello che era il nostro background informatico. In più a me hanno sequestrato diverso materiale riguardante i Casalesi e i loro rapporti con la politica. Tutto materiale lecitamente acquisito, nulla insomma che fosse coperto da segreto istruttorio. A casa non hanno sequestrato nulla ma le perquisizioni a casa dei giornalisti sono un qualcosa di assurdo: nessuno in un mondo di informatica si tiene a casa qualcosa, sia per non esporre le famiglie al rischio di perquisizioni invasive, diventate ormai prassi, sia perchè in un settimanale si lavora in redazione non si va a casa. Eppure questa prassi viene ripetuta, anche di sera: a casa della collega Fiorenza Sarzanini (NdR redattrice de Il Corriere della Sera) hanno identificato la figlia quindicenne e le amicche della figlia. Cosa pensavano che fosse un raduno di brigatisti?

In questo secondo "raid", nelle stesse ore a Napoli veniva perquisita anche la casa di collaboratore de l'Espresso «del tutto estraneo» alle inchieste no?

Di Feo: Lui non ha firmato nessuno degli articoli di questa inchiesta, aveva cofirmato con me un precedente ritratto del personaggio chiave dell'inchiesta, ed è probabilmente la figura che ha determinato indirettamente la violenza delle perquisizioni, ovvero il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Io e il collega Claudio Papaianni avevamo scritto assieme un ritratto delle relazioni pericolose di Cosentino. Papaianni è un collaboratore esterno ed è anche un testimone della vicenda, quindi in qualità di testimone non ha diritto alla facoltà di non rispondere, che abbiamo noi, è obbligato a fornire informazioni. A lui, oltre ad aver perquisito la casa e averlo trattenuto fino al pomeriggio sotto interrogatorio, hanno sequestrato il computer della moglie senza rilasciargli una copia, creando con ciò un danno professionale gravissimo all'attività della moglie.

Purtroppo il vostro caso (tuo, di Fittipaldi e di Papaianni) non è isolato. Poco più di una settimana fa perquisizioni sono arrivate anche contro, come ricordavi tu, Fiorenza Sarzanini e Guido Ruotolo colleghi rispettivamente del Corriere della sera e de La stampa "rei" di aver informato gli italiani sugli sviluppi delle indagini di polizia e magistratura sugli appalti legati alla Expò Milano 2015. Ecco alla luce di questo pensi che in Italia abbiano valore le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa?

Di Feo: Le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa vengono sistematicamente ignorate dalle procure italiane le quali ignorano anche alcune sentenze di Cassazione che hanno annulato i sequestri e le perquisizioni nei confronti dei giornalisti soprattutto quando vengono eseguite in modo indiscriminato. Cioè se loro stanno indagando su una fuga di notizie per stabilire chi ha commesso questo reato devono ricercare materiali attenenti la fuga di notizie, non possono impadronirsi della mia intera vita professionale contenuta nel mio computer. Perchè la legge riconosce ai giornalisti il segreto professionale, ma non perchè siamo una categoria privilegiata ma, perchè la possibilità di mantenere la riservatezza sulle fonti è l'unica garanzia di poter accedere a notizie riservate, a notizie scomode, e quindi è l'unica garanzia che permette ai giornalisti di esercitare quella libertà di stampa fondamentale per il funzionamento di una democrazia. La prassi delle perquisizioni con modo intimidatorio è incominciata a dilagare in Italia nel 1993, fu la prima ondata. Io ne subii una enorme nel '94, quando feci la fuga di notizie sull'avviso di garanzia a Berlusconi per Il Corriere della sera, e poi tanti colleghi la subiscono. La subiscono i colleghi che scrivono cose scomode. Scrivere di rapporti tra Casalesi e politica a me non darà nessun vantaggio, contrariamente alla contestazione che è stata fatta, ma può soltanto dare guai. Questo sistema adottato dalle procure italiane, nonostante le sentenze, non è stato sanzionato da nessuno, perchè a fronte dei contenuti dell'inchiesta de l'Espresso e a fronte delle perquisizioni tutta la classe politica, tutti gli organi istituzionali preposti alla libertà di stampa se ne sono beatamente fregati. E alla fine anche la maggior parte dei giornali italiani scrivono "C'è stata una perquisizione qual'è il problema?" La duplice perquisizione de l'Espresso ha innalzato l'invasività: la perquisizione dell'intera redazione in assenza di testimoni negli uffici della direzione non c'era mai stata. Ma le reazioni quali sono state? Voi mi state intervistando, ieri l'altro Il manifesto ha intervistato la mia direttrice (NdR Daniela Hamaui ), la grande stampa, i grandi media, soprattutto il mondo delle tv se ne frega. La politica compatta se ne frega. E' un segnale drammatico, cosi come è drammatico che sui contenuti dell'inchiesta, ossia i rapporti, evidenziati dalle indagini della Procura di Napoli, tra un sottosegretario di Stato e i gruppi camorristici che hanno trasformato l'emergenza rifiuti campana in un'occasione per avvelenare un'intera regione e fare tanti soldi, siano completamente taciuti dalla classe politica. E' un argomento che l'opposizione ha sostanzialmente ignorato e che tutti i partiti hanno fatto finta di non vedere.

Arriviamo a ciò che ha fatto scattare queste perquisizioni: ovvero la pubblicazione dei vostri due articoli. Il primo "Cosi ho avvelenato Napoli", mea culpa dell'ex boss e attuale collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, che svela, con l'ausilio anche di alcuni documenti, 20 anni di nefandezze legate allo smaltimento illegale di rifiuti tossici con la complicità di alcuni politici e imprenditori. Un articolo dal quale vengono fuori verità agghiaccianti che confermano come i rifiuti, siano essi urbani o industriali, sono una fonte ineseauribile di ricchezze, legata spesso ad attività illecite, ma non solo in Campania?

Di Feo: Si è vero il business dei rifiuti è un'attività italiana ed europea. Il problema è che in quell'articolo la figura di Gaetano Vassalo riguarda un aspetto drammatico: come per 20 anni i rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia siano stati sistematicamente smaltiti in una parte della Campania grazie ad un accordo tra imprenditori, massoneria, politica e clan. Ci tengo a dire che quando abbiamo avuto in mano questi verbali, abbiamo avuto un'unica preoccupazione evitare dei favoreggiamenti (in questi verbali c'è un elenco mostruoso di pubblici ufficiali, amministratori locali e imprenditori coinvolti in questa attività criminale) quindi abbiamo riportato soltanto nomi di personaggi che fossero indagati. Allo stesso tempo ci siamo posti quello che è il nostro dovere ossia informare i lettori. E non si poteva tacere delle accuse circostanziate, supportate a un membro del Governo (Nicola Cosentino) che in questo momento ha responsabilità nella gestione attuale della situazione rifiuti a Napoli e soprattutto, quale sottosegretario all'Economia, gli è stata affidata la gestione di un budget enorme. Lui ha respinto le accuse, è giusta la presunzione di innocenza ma è anche da vedere la compatibilità di una persona sotto accusa per crimini cosi gravi con un incarico di Governo. Tantissimi ministri nel momento in cui è stata aperta un'indagine contro di loro hanno scelto le dimissioni. Ricordo una prassi che era stata mantenuta anche durante la prima Repubblica. Non capisco perchè invece adesso siamo arrivati al paradosso che neanche venga posto il problema.

Possibile che la magistratura, la GdF, che ha perquisito la sede de L'espresso, l'appartamento tuo e quello di Fittipaldi, non hanno mai effettuato dei reali controlli in queste imprese che si occupano ( usiamo questo termine) di rifiuti? Nessuno ha mai ispezionato quei 70/80 autotreni carichi di rifiuti che - come racconta Vassallo - ogni giorno formavano sulla strada una fila di 1,5 Km?

Di Feo: Vassallo descrive un sistema di corruzione in cui ci sono uomini delle forze dell'ordine, gli ispettori dele asl, gli ispettori della regione ein cui ci sono gli uomini del commissariato di Governo. Vassallo descrive come le varie emergenze dei rifiuti urbani siano servite per poter mantenere intatto per 20 anni il sistema di smaltimento dei rifiuti tossici. "Noi - racconta Vassallo - avevamo delle discariche legali ma senza confini: la regione ci autorizzava ad aprire una discarica senza stabilire quanto materiale ci dovessimo mettere dentro e che confini dovessimo avere. Noi continuavamo ad allargare la discarica e la riempivamo di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia. Poi quando c'era la prima emergenza di rifiuti (urbani) a Napoli, interveniva il commissariato di Governo che gettava nelle nostre discariche, pagandoci a caro prezzo tutti i rifiuti urbani di Napoli". Quindi sopra ai rifiuti tossici veniva fatto un gigantesco strato di rifiuti urbani con un effetto micidiale sull'ambiente. Ma allo stesso tempo legalizzando e rendendo impossibile ogni controllo sull'attività illegale precedentemente svolta, per 20 anni! Gaetano Vassallo nel corso di questi 20 anni è stato arrestato almeno tre volte. Lui stesso racconta che dopo l'arresto per circa un anno e mezzo era tagliato fuori dall'attività, poi, appena esplodeva una nuova emergenza rifiuti Napoli, la priorità di rendere pulite le strade di Napoli faceva si che si rivolgessero a lui nonostante fosse sotto processo per poter sfruttare la sua "professionalità" e ricominciare a trovare buchi dove versare rifiuti.

Dalla vostra inchiesta, che lo ricordiamo, fa riferimento alle confessioni di un pentito, saltano fuori i nomi di alcuni politici collusi con la camorra come il sottosegretario all'Economia, Cosentino ma anche il presidente della Commissione di vigilanza della Rai, Mario Landolfi se non sbaglio?

Di Feo: Si anche Landolfi. Lui è chiamato in causa da Vassallo per le vicende di un consorzio di raccolta rifiuti di Mondragone. Per questa vicende Landolfi è stato già indagato, ha già ricevuto un avviso di garanzia con l'accusa di corruzione aggravata dal favoreggiamento alla camorra. Attualmente dovrebbe essere in corso l'udienza preliminare per decidere il rinvio a giudizio. Anche Landolfi ha smentito i fatti che si basano sulle dichiarazioni di imprenditori e su intercettazioni telefoniche. Teniamo presente che uno dei protagonisti di questa vicenda, uno dei personaggi che ha accusato Landolfi e Cosentino per le attività di questo consorzio, è l'imprenditore Orsi assassinato dai casalesi il 1° giugno 2008. Non stiamo parlando di vicende banali come bustarelle o cose del genere.

A proposito di politici coinvolti: qualche mese fa, Marco Travaglio per aver ricordato durante una trasmissione tv le confessioni di un altro pentito, Francesco Campanella, riportate peraltro qualche anno prima dal tuo collega di redazione Marco Lillo, confessioni relative ai rapporti di amicizia del presidente del Senato, Schifani con persone condannate per mafia. Ebbene Travaglio, cosi come illo tempore anche Lillo, è stato querelato. Pensi che oltre alle perquisizioni possa arrivare anche la querela da parte di alcuni dei politici menzionati?

Di Feo: Loro l'hanno già annunciata ma non vedo che problema ci sia. La querela non mi preoccupa perché io sono in grado di portare elementi a suffragio di tutto quello che ho scritto. Mi sento assolutamente tranquillo nei confronti di una querela per diffamazione. Anzi la querela per diffamazione può essere la sede per affrontare tantissimi aspetti sulla "carriera" di questi politici. Mi permette di portare davanti ad un giudice tantissimi elementi che altrimenti restano chiuse nei cassetti delle procure. Non vedo l'ora.

*) Radio Città Aperta, www.radiocittaperta.it

C'è puzza!

IPSE DIXIT
La credenza dei veleni
«Le religioni non hanno mai salvato nessuno, sono sempre state motivo di divisione. Dio è stato usato come pretesto per i crimini più crudeli e come strumento di prevaricazione sui più deboli». - Ermanno Olmi

Una sana laicità
«Voglio dirvi una cosa a causa della quale noi israeliani ce l'abbiamo con Mosè: ci ha fatto camminare quarant'anni nel deserto per portarci nell'unico posto del Medio Oriente dove non c'è petrolio». - Golda Meir

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A cura di Internazionale - Prima Pagina
Le donne di San Luca
Le donne di San Luca, cittadina calabrese considerata un feudo della 'ndrangheta, ci tengono subito a mettere in chiaro una cosa: non tutti, in città, sono affiliati alla criminalità organizzata. E spesso il motivo che spinge a diventare mafiosi è la povertà unita al degrado. A San Luca, comunque, molte donne sono madri, mogli o complici dei criminali. Ma altrettante sono impegnate in prima persona nella lotta contro la 'ndrangheta.

Los Angeles Times, Stati Uniti vai al sito

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La Catena di San Libero
I Minorenni
di Riccardo Orioles *)
Gli abitanti di Catania hanno deciso che bisogna lasciare l'immondizia per le strade, che bisogna tenere la città al buio, che non bisogna pagare i comunali, che i politici si debbono prendere tutti i soldi che vogliono e che bisogna vendere il teatro Bellini al Qatar e Sant'Agata ai giapponesi. L'hanno deciso in piena libertà due volte, prima votando Scapagnini e poi dando l'ottanta per cento dei voti agli amici suoi.

Poi si sono messi a piangere: "Siamo senza una lira! C'è buio! C'è puzza! Aiuto, settentrionali!". E il buon coglione di Bergamo (o di Torino, o di Pescara, o di Bari: insomma, qualcuno che ci ha i soldi perché lavora) commosso s'è impietosito, ha messo la mano in tasca e: "To', eccoti 'sti centoquaranta milioni! E bada di non spenderteli subito come al solito, bricconcello!".

Che i catanesi, in quanto popolo, siano minorenni, non c'è il minimo dubbio. Non i politici, proprio i cittadini. Purtroppo, un quattrocento milioni se l'è beccati pure er Popolo de Roma, cor centurione in testa. Eppoi, gli americani, che stanno a strillà? Lo senti, er dabbliù? "So' pieno de debiti! Nun li voglio pagà io! Chin-chin-chin, sceicco Hussein, Ivan, nun me lasciate fallì! Dateme 'na mano!". Vabbe'. Consolamose così.

*) Riccardo Orioles, giornalista antimafia, fondatore assieme a Giuseppe Fava de "I siciliani", è un punto di riferimento nel panorama delle firme giornalistiche in Sicilia impegnate a contrastare la mafia e la corruzione. - www.riccardoorioles.org / www.sanlibero.it