domenica 5 aprile 2020
THE TEMPEST


domenica 22 marzo 2020
Nessuno si salva da solo


Il coronavirus insegna che
non esistono le frontiere e le nazioni
di Toni Ricciardi *)
Ed è proprio la Svizzera – il Paese dal quale viene trasmesso questa Newsletter elettronica dell'ADL – che oggi si interroga sul come affrontare l'enorme problema di un mondo interconnesso. Chiudere le scuole, le università, finanche i ristoranti, i bar, significa non farsi prendere dalla paura o dal panico, ma adottare misure, o meglio, protocolli universalmente riconosciuti. Nelle ultime settimane, ogni nazione ha cercato di adottare le proprie misure, di diversificarle, di adeguarle al proprio contesto socio-economico, ma alla fine, eccezion fatta per l'ultimo degli untori, Boris Johnson, tutta la comunità internazionale si sta adeguando. Eppure le difficoltà non mancano. Blocchiamo o meno i frontalieri, quasi 400mila persone che tutti i giorni entrano ed escono dalla Svizzera? E come si fa? Qualcuno già la settimana scorsa aveva proposto di lasciare entrare solo chi lavora nel settore sanitario, infermieri, medici e paramedici. Le cure ci servono e quindi non ne possiamo fare a meno. E ancora, il settore primario, l'agricoltura, la sua produzione e la sua filiera devono continuare; altrimenti come ci nutriamo? Anche qui, i frontalieri, ovvero gli immigrati, ci servono e debbono continuare a lavorare, nonostante siano italiani, albanesi, polacchi (aggiungete la nazionalità che più vi aggrada!). Potremmo continuare all'infinito, con altri esempi, con altri interrogativi, ma non è questo il punto. E non ci sogniamo nemmeno lontanamente di esprimere giudizi sulle misure adottate. Sono talmente tante le variabili da prendere in considerazione che non possiamo fare altro che attenerci rigorosamente alle indicazioni che ci arrivano.
Ciò che interessa in questa sede è immaginare, quando finirà questa situazione – perché finirà e ritorneremo alla normalità –, quali saranno gli insegnamenti che ne trarremo, o almeno dovremmo trarne.
Il primo. Questa emergenza, non dissimile dalle epidemie e dalle pandemie che hanno segnato la storia dell'umanità, dall'antichità ai giorni nostri, ci dimostra come il nostro quotidiano dipenda inevitabilmente da tante altre persone e che le barriere non servono a niente, e che nessuno può fare a meno dell'altro. Non possiamo fare a meno delle mascherine che si producono dall'altra parte del mondo; non possiamo fare a meno delle braccia che coltivano i nostri campi per produrre cibo; non possiamo fare a meno dalle sperimentazioni scientifiche in atto per trovare una soluzione, un vaccino, una cura a questa pandemia.
Il secondo, che è strettamente legato al primo, e n'è diretta conseguenza, è che non esiste il concetto "prima i nostri", di qualsiasi nazionalità o territorio essi siano. O ci salviamo tutti insieme o periremo tutti insieme, senza alcuna distinzione.
Terzo, non esistono territori migliori o nazioni migliori. Esiste l'umanità. D'altronde, l'Italia e la Germania, ivi compresa la Svizzera, ci dimostrano proprio che il Covid-19 non si è manifestato prima tra la misera e la presunta (e inventata) sporcizia, come molte volte crediamo. Infatti, i primi casi e i primi focolai sono emersi nelle aree più produttive e performanti dei singoli Paesi. Volendo fare una digressione "stupida" e nazionalpopolare: non è un napoletano che ha infettato il Ticino, ma qualcuno che è andato nella civilissima e progredita Lombardia. E a sua volta, la Lombardia, probabilmente, l'ha importato dalla civilissima Baviera, e potremmo continuare all'infinito.
A questo punto cosa facciamo? Chiudiamo le frontiere? Torniamo all'epoca del protezionismo? Ce la prendiamo con la globalizzazione e con i poteri forti e meno forti? Scegliamo la strada dell'autarchia? Ognuno produce per sé, consuma per sé, solo quello che è in grado di produrre? E ancora, ognuno mette a punto un suo internet, una sua sanità? Anche in questo caso potremmo continuare all'infinito.
È bene ricordarlo, viviamo in un mondo che è globalizzato (mondializzato) da più di 500 anni, e l'Europa rappresenta in questo mondo una stringata minoranza. E da sempre, nonostante ancora qualcuno pensi che la sua nazione o il suo continente siano il centro del mondo, non lo siamo e non lo siamo mai stati. E anche quando, grosso modo per meno di tre secoli, abbiamo prevalso rispetto ad altri continenti, non siamo mai stati autosufficienti. Siamo stati quello che siamo stati perché abbiamo attinto risorse, conoscenze, persone da altri luoghi e altri luoghi hanno fatto lo stesso con noi.
Questo momento di legittima paura deve insegnarci che è finito il tempo delle differenze. Non si può innalzare il vessillo comunitario e poi volerlo adottare a proprio piacimento. Sentiamo di appartenere alla nostra comunità, con i nostri usi e costumi, con le nostre credenze, con il nostro modo d'essere. Questo è vero, nella misura in cui comprendiamo che la nostra comunità è l'umanità. Perché qui non è in gioco la civiltà dell'uno rispetto all'altro, perché di civiltà e di razza ne esiste una sola: quella umana.
*) Storico delle migrazioni presso l'Università di Ginevra. Co-direttore della collana elvetica di studi "Gegenwart und Geschichte / Présent et Histoire" (Seismo), è tra i coautori del Rapporto italiani nel mondodella Fondazione Migrantes, del primo Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo (Ser, 2014) e membro del comitato editoriale di "Studi Emigrazione". Ha scritto, tra l'altro, Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli Italiani in Svizzera (Laterza, 2013) e L'imperialismo europeo(Edizioni "Corriere della Sera", 2016). Per i tipi di Donzelli ha pubblicato Morire a Mattmark. L'ultima tragedia dell'emigrazione italiana (2015, Premio «La valigia di cartone 2015»); Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone (2016); e Breve storia dell'emigrazione italiana in Svizzera (2018).
martedì 25 febbraio 2020
CERCHIAMO DI RAGIONARE


L'Emilia-Romagna e la Calabria si sono espresse. Il risultato calabrese era praticamente scontato, mentre l'altro non lo era affatto. In questo vi si giocava una partita particolare. Matteo Salvini vi aveva puntato tutto se stesso subendo una cocente sconfitta; non è la prima, come è stato detto, perché dal Papeete in poi è stata tutta una sconfitta.
di Paolo Bagnoli
Onori a Stefano Bonaccini per la vittoria con la quale ha trainato pure il buon successo percentuale del Pd; il suo partito che ha voluto tenere distante dalla campagna elettorale affidandosi a una coalizione civica per spostare l'asse del confronto dalla politica nazionale a quella del territorio; di quel territorio che gli ha riconosciuto, visto il vantaggio di quasi otto punti sulla sfidante, una buona amministrazione della cosa pubblica. A tale risultato hanno contribuito pure le sardine, ma ci è difficile capire in quale misura. Comunque, riportando la gente in piazza contro la destra, le sardine hanno svolto un'opera democratica di rilievo.
Bonaccini ha testimoniato di una tradizione di buon governo delle cose. Con cio', non si pu? certo dire che l'Emilia rossa non è crollata perché essa non esiste da tempo; da quando non esiste più la sinistra, la quale, tuttavia, ha lasciato in piedi una tradizione di cui Bonaccini è valida espressione. La sconfitta di Salvini non significa che la destra sia sconfitta. Tutt'altro: essa è forte e agguerrita e, nella sua visione politica d'insieme, valorialmente ben più compatta rispetto agli antagonisti. Non si pu? pensare, quando ci saranno le elezioni nazionali, che la si possa battere solo giocando il buon governo di alcune amministrazioni. Inoltre, nonostante il buon risultato ottenuto in Emilia-Romagna, il Pd non appare in grado di porsi come l'alternativa perché alla destra occorre contrapporre una sinistra e non una forza incerta. E la sinistra, lo ripetiamo, non c'è. Tra l'altro il Pd, vista la dichiarata intenzione di Zingaretti di cambiare il profilo e il corpo del partito di cui è segretario, confessa autorevolmente quanti dubbi abbiano i democrat su se stessi. Il solo scudo del governo presieduto da Giuseppe Conte non basta; esso è debole, diviso e malfermo sulle proprie gambe e il tracollo –peraltro non difficile da immaginare – dei 5Stelle, ossia della forza maggioritaria nel Parlamento, non aiuta a fare massa critica di una coalizione nata per paura di Salvini. È prevedibile che ci troveremo, presto, di fronte a nuove tensioni poiché il Pd chiederà di pesare di più e gli altri, per far vedere che non stanno scomparendo, faranno peso ritto. Basteranno le affabulazioni del presidente del consiglio per tenere in piedi la baracca? Ben presto lo sapremo; certo che, almeno per un altro anno, le ventilate elezioni anticipate sembrano congelate sia per il referendum sul taglio dei parlamentari sia per quanto ha fatto trapelare il Colle sulla relazione esistente tra il referendum e la nuova possibile legge elettorale. E poi il presidente Mattarella, ne siamo convinti, non è propenso allo scioglimento fino a che pu? accampare motivi formali o intravedere spazi da percorrere per tenere in piedi la legislatura.
Dunque, vedremo.
Il voto calabrese fa meno notizia se non per quanto emerge dal risultato grillino. Per la legge elettorale calabrese, i grillini non entreranno in Consiglio; significa che cominciano a rimanere fuori dalle istituzioni. A poco a poco, saranno sempre più residuali sui territori. Quel risultato, pero', ci dice una cosa molto importante. I 5Stelle considerano il Sud come un loro campo privilegiato nella raccolta del consenso e, poiché la Calabria è la regione che si trova più in arretrato di tutte, si poteva pensare che il reddito di cittadinanza portasse loro dei voti. Non è stato cos?, ma il respingimento di tale forma di assistenzialismo induce a una riflessione: la Calabria postula la rimessa in agenda nazionale della questione meridionale; una questione scomparsa da tempo. È un segnale da tenere in seria considerazione.
La destra, abbiamo detto, è forte. Ora, anche se Salvini finisse per dribblare definitivamente se stesso, essa rimarrebbe forte. La sua forza non è fisiologica come in una dialettica normale del gioco democratico, ma il frutto della crisi della democrazia italiana; della grave rottura della coesione sociale indispensabile per un corretto funzionamento dell'ordine politico cui va aggiunto lo smarrimento della cittadinanza repubblicana, derivante dalla Costituzione. Basti pensare alla forte ventata antisemita, all'attacco agli antifascisti, ai continui episodi di razzismo nonché ai comportamenti anticostituzionali che registriamo praticamente giorno dopo giorno. A cio' si aggiunge la opacità del Parlamento e un sistema giudiziario da riordinare dalla testa; dal CSM, al fine di garantire l'autonomia e l'indipendenza del sistema.
La crisi non è risolta da una nuova legge elettorale. Tra l'altro, visto che in questi giorni ci si è affaccendati, soprattutto da parte di esponenti democrat, a leggere il quadro postelettorale come attinente a un nuovo maggioritario, se cos? è – noi non lo crediamo – ma se cos? è, perché si sta trattando su una legge proporzionale? Recentemente Dario Franceschini ("Corriere della Sera", 24 gennaio scorso) ha dichiarato: «L'idea che il bipolarismo sia figlio del maggioritario e che il proporzionale sia il suo nemico, è smentito dalla storia italiana. Per cinquant'anni, con il proporzionale senza lo sbarramento, la vita politica del nostro Paese è sostanzialmente ruotata attorno al confronto bipolare tra Dc e Pci.»
Ma che ragionamento è questo!? Il Pci era impossibilitato ad andare al governo del Paese e la Dc non era in funzione bipolare, ma di asse centrale di tutto il sistema. Naturalmente, le cose che dice Franceschini sono per mettere le mani avanti, in funzione motivante, dell'intruglio che si tenta di preparare, affermando: «Con l'avvento del maggioritario (…) siamo finiti nella frammentazione, nei ribaltoni, nelle coalizioni disomogenee. In realtà il motore di tutto è l'azione politica. E ritengo che il proporzionale con uno sbarramento al 5% semplificherà ulteriormente il quadro. E porterà a un bipolarismo di fatto Lega-Pd, ognuno con i propri alleati che avranno superato lo sbarramento.»
Tralasciando ogni altra considerazione in merito a questioni assai rilevanti connesse alla legge elettorale – dicesi preferenze o liste bloccate – è chiaro che si punta alla cancellazione delle forze minoritarie e alla loro eventuale necessarietà solo in ausilio di questo o di quell'altro pilastro su cui si reggono i poli. La legge elettorale non puo' essere una camicia di Nesso che ingessa quanto è inconciliabile con la democrazia ossia la dinamicità della politica democratica e della sua rappresentanza.
La confusione, una preoccupante confusione, ci sembra di 'buon' livello. Su tutto, inoltre, grava la questione di fondo aperta con la crisi di inizio anni Novanta: si ritiene che l'Italia possa essere una democrazia senza partiti e solo articolantesi sui soggetti che si costituiscono solo quando è in ballo la contesa per il governo, sia esso locale o nazionale? Ora, a vedere l'esito emilian-romagnolo, si direbbe proprio di s?.
La democrazia, per?, non è solo governo: è un progetto morale, civile, economico e politico. La nostra Costituzione, tra l'altro, recita che, quella italiana, non pu? essere una democrazia senza progetto; tuttavia, senza i partiti, i progetti non ci possono essere. Ci sono elezioni e uomini per governare; viene meno quella pedagogia civile che è fondamentale, appunto, per l'incivilimento del Paese.
Ancora una volta, invitiamo a ragionare, riflettere, a fare della politica un pensiero compiuto, non solo un complesso di etichette accattivanti da mettere sul mercato del consenso.
https://www.rivoluzionedemocratica.it/
domenica 8 dicembre 2019
LA LEGGE ELETTORALE


di Paolo Bagnoli
Per ogni Paese la legge elettorale non è strumentale alle esigenze dell'immediato, bensì un istituto fondante del sistema democratico; di come si ritenga debba essere la cifra della democrazia medesima. Il proporzionale puro era in sintonia con un'Italia fondata sulla centralità del Parlamento. Non è più così poiché il Parlamento da troppo tempo è un organismo sonnecchiante e la sua maggiore forza politica, addirittura, è dell'idea che debba essere superato. Giocando sulle parole dovrebbe transitare dall' essere la casa di tutti alla Casaleggio; ossia alla mera risonanza di risposte rousseauiane. Il Parlamento, inoltre, sonnecchia anche perché la quasi totalità dei suoi componenti, per lo più digiuni di ogni concetto fondamentale delle istituzioni e della politica, non ha percezione di cosa significhi farne parte e della dignità istituzionale che a tale funzione si lega.
In questi lunghi anni di post prima repubblica abbiamo avuto diverse leggi elettorali. Se si eccettua quella che va sotto il nome di Mattarellum, le altre sono state, anche violando le norme costituzionali, strumenti pensati per conquistare il potere; per andare al governo. Andarci, a ben vedere, non per governare, ma per affermare come legittima l'arroganza di un'impostazione politica; impropriamente e pericolosamente un'espressione della democrazia quale valore e sistema racchiuso nel governo. Il risultato è che in Italia abbiamo un sistema parlamentare sempre più debole e governi o arroganti come il Conte I o surreali come il Conte II.
Agli inizi della seconda repubblica la classe politica di allora, cui andrebbero riconosciuti i serti di alloro della modestia, incapace di pensare la portata della crisi indotta da Tangentopoli, si teneva alla larga dalla politica e pensava che tramite lo strumento della legge elettorale – nemmeno a conoscenza del vecchio adagio per cui non c'è soluzione tecnica che ne risolve una politica – si potesse surrogare il vuoto politico, considerato che la legittimità del mandato politico consisteva solo nel conquistare il governo e, quindi, delegittimare gli avversari. Chi vinceva conquistava non solo il governo, ma la verità; chi perdeva le elezioni non solo era stato sconfitto, ma posto addirittura nel recinto della non-verità. Così, chiudendo gli occhi sulla crisi, le sue cause e relative conseguenze, si finiva per dare a un sistema malato una cura fatta di bacilli e non di anticorpi. Le leggi elettorali sono state considerate quali atti strumentali per andare contro qualcuno non per dare al Paese la giusta rappresentanza delle sue tendenze politiche.
Un'abitudine che continua. Oggi la preoccupazione che regna sovrana è fare una legge che impedisca alla destra a trazione salviniana di "vincere" il governo. Non sembra si sappia bene, nel concreto, cosa fare, ma a battere Salvini non sarà una particolare legge elettorale, ma la politica; quella politica che ci aspettavamo da questo governo che sta dimostrando la propria pochezza, incapacità di pensare l'Italia e che, per battere Salvini, fino a ora non ha fatto niente. I 5Stelle, come tutte le superfetazioni improvvise, al loro sgonfiarsi creano confusione e sbandamenti; Zingaretti dopo una serie di interventi conditi da sorrisi sublimanti la mancanza di pensiero e dopo aver cercato di rieditare una vecchia ricetta di scuola comunista – Togliatti cercò di istituzionalizzare per le proprie necessità l'Uomo Qualunque e D'Alema ripeté lo schema con Di Pietro ed entrambi fallirono – ha proposto un matrimonio strategico, una cosa fuori da ogni ragionevolezza e lucidità, solo dettata dal vuoto di linea e dalla paura del domani, alla fine si è attaccato a Grillo pregandolo di intervenire e sta marciando – udite, udite!! – verso la stipula di un contratto coi 5Stelle; non è nemmeno la storia che si ripete, ma l'educazione ci impone di fermarci qui. Ci sia permesso di aggiungere che pensavamo esistesse ancora, nonostante tutto, anche in politica un comune senso del pudore.
Questo è il clima nel quale si colloca la discussione della legge elettorale; non sfioriamo nemmeno il merito delle possibili soluzioni, ma qualunque cosa venga fuori è facile ritenere che sarà l'ennesimo deleterio pasticcio.
https://www.rivoluzionedemocratica.it/
Gregorio Candelieri
Im Feldtal 2, 8408 Winterthur
T +41 (0)76 498 09 20
Perché i 5 Stelle sono arrivati a questo punto?


I capi 5S hanno seminato troppi tradimenti e ora (gli altri) raccolgono consensi.
Il maggiore autogol del 5 Stelle è stata la Lega "partito nuovo e antisistema". Il più` vecchio (1989) partito oggi insediato sul territorio italiano, partito dominato da una vecchia volpe della Prima e della Seconda repubblica (Salvini è nella Lega dal 1991) e` stato per vent'anni la peggiore Casta ed è invischiato in scandali e ruberie. Se per il Movimento c'è ancora una speranza, questa dovrà passare attraverso un esame di coscienza collettivo, in un congresso in carne e ossa.
di Marco Morosini *)
Perché i capi 5 Stelle hanno fatto perdere al Movimento in un anno tanto di quel consenso che raccolse in un decennio? Chi si fida ora del M5S, passato dal né destra né sinistra al né carne né pesce? Alcuni suoi elettori di sinistra non lo voteranno più dopo il tradimento che lo ha visto andare con l'estrema destra. Alcuni suoi elettori di destra non lo voteranno più dopo l'improvvisato governo con le sinistre.
Per anni i capi 5 Stelle dissero che il Movimento era l'argine contro l'avvento dell'estrema destra. Nel 2018 però è accaduto il contrario. Anche grazie alla grande visibilità che il 5 Stelle ha dato al senatore Salvini, l'estrema destra più pericolosa d'Europa ha moltiplicato i suoi consensi. Invece che un argine alla destra, il Movimento è stato purtroppo il suo incubatore.
Il Movimento 5 Stelle, inoltre, ha coltivato alcuni temi della Lega, pensando di toglierle la terra sotto i piedi. A lungo i capi 5 Stelle hanno criminalizzato le organizzazioni umanitarie che salvano i naufraghi nel Mediterraneo definendole "taxi del mare" e "business dell'immigrazione". Mesi di fango gettati dall'onorevole Di Maio hanno indotto milioni di persone a pensare che "le Ong" nel loro insieme siano associazioni di malfattori.
Il maggiore autogol del 5 Stelle, però, è stato l'accreditare la Lega come partito nuovo e antisistema. Il più` vecchio (1989) partito oggi insediato sul territorio italiano, partito dominato da una vecchia volpe della Prima e della Seconda repubblica (Salvini è nella Lega dal 1991) e` stato per vent'anni la peggiore Casta ed è invischiato in scandali e ruberie. Ci vuole un bel coraggio a chiamare "governo del cambiamento" una compagine dominata da un tale protagonista della Casta. Quanti elettori potranno perdonare al 5 Stelle questo gioco di prestigio con le parole?
Il miglior indicatore della deriva del Movimento e` il confronto tra le due trattative di governo del 2013 e del 2018. La prima porto` al rifiuto di un governo con il Partito Democratico guidato dal deputato Gian Luigi Bersani. La seconda porto` alla formazione di un governo con la Lega del senatore Matteo Salvini. Ciò` dimostra che l'avversione del Movimento non era contro "i partiti ", come si diceva, ma solo contro i partiti di sinistra, che infatti sono stati fino a ieri il bersaglio preferito del Blog e delle dichiarazioni 5 Stelle.
Vale la pena di comparare i due leader politici, Salvini e Bersani, trattati cosi` diversamente dalla centrale 5 Stelle. Il motto del giornale della Lega "Il populista ", fondato da Salvini, e` "Libera la bestia che c'e` in te". Il sottotitolo "Audace, istintivo, fuori controllo ". In fondo e` questo il vero programma di governo del senatore Salvini, con buona pace dei suoi ultimi alleati di governo. Perché allora questo personaggio fu considerato il partner ideale del Movimento (Di Maio: "Grande sinergia, ci capiamo al volo ") mentre il senatore Bersani, che non dice né fa le cose detestabili che fa e dice Salvini, fu rifiutato come partner nel 2013?
Nel 2013 una coalizione 5 Stelle-Pd con il 52% dei voti sarebbe stata equilibrata perche´ ognuno dei due partiti ebbe 9 milioni e il 26% dei voti. In settant'anni di Repubblica, per sessant'anni la sinistra non ha governato e mai una forza di rinnovamento radicale come il Movimento 5 Stelle aveva governato. Una maggioranza riformatrice ben preparata 5 Stelle-Pd con piu` del 50% fu un'occasione mai presentatasi prima.
Nel 2013 si sarebbe davvero potuto cominciare una riforma del Paese, forse piu` profonda di quella del centrosinistra negli anni Sessanta. Invece, nel 2018 si e` scelto di riportare al potere la parte peggiore della Casta. Nel 2013 un accordo ben maturato con Bersani avrebbe permesso al Movimento di realizzare una parte maggiore del programma 5 Stelle di quanto esso possa fare con la Lega o con il Pd del 2019.
Purtroppo, è bastato un anno di "governo dei cittadini "con a capo "l'avvocato del popolo "per deludere le speranze di chi vide nel Movimento 5 Stelle un'occasione per rinnovare la politica in Italia. Se per il Movimento c'è ancora una speranza, questa dovrà passare attraverso un esame di coscienza collettivo, in un congresso in carne e ossa, senza computer di mezzo, dove si liberi la parola e si torni ai principi e agli obiettivi originari del Movimento.