mercoledì 25 novembre 2015

Il tempo delle responsabilità

Da Avanti! online - www.avantionline.it/

  

L’Europa non c’è. Irriconoscibile. Il Mediterraneo è in fiamme e noi ci balocchiamo nel buonismo. Una dignitosa esecrazione e poco più.

 

di Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi

 

Eccole là le tre voragini, pozzi neri nei quali ci specchiamo con disinvoltura e dabbenaggine. Le metto in ordine: la crisi della nostra identità, scalpellata quotidianamente in omaggio a un multiculturalismo peloso e irrispettoso dei valori di uguaglianza e libertà, la perdita di ruolo delle Nazioni Unite, afone da almeno un ventennio, e l’apatia dell’Europa, altro rispetto alla lungimiranza dei pionieri e alla grandezza di capi di stato e di governo dell’ultimo ventennio del secolo scorso.

    Abbiamo ridotto l’identità dell’Occidente a un feticcio. E invece dovremmo essere fieri di una storia che ha sottratto all’anonimato masse di donne e di uomini nel nome della libertà e dell’uguaglianza. Lo sosteniamo da tempo: nessuna tolleranza verso il fanatismo culturale o religioso, nessuna cautela verso chi calpesta i diritti fondamentali delle persone, nessun senso di colpa verso chi predica valori in contrasto con i cardini della nostra società. E nessuna comprensione verso chi nega la visita a una mostra di capolavori artistici per timore di offendere la sensibilità di chi professa una diversa religione. I fanatici sono pericolosi da ogni parte. Se intanto non difendiamo la bussola della nostra identità, se non abbiamo certezza di chi siamo non saremo in grado ne’ di confrontarci con le diversità né sapremo reagire con convinzione al dramma di questi giorni. So bene come la pensava Oriana Fallaci. Ne abbiamo parlato più volte. Non ho condiviso le previsioni cupe sull’Eurabia ma su un punto aveva ragione, e proprio su quel punto venne attaccata, vilipesa, lapidata da professionisti del pacifismo al caviale e da intellettuali che dovrebbero almeno chiedere scusa per averla offesa e soprattutto per aver sbagliato ogni analisi. Il punto, allora: l’Europa sta diventando molle, ha perso la sua spinta vitale. Già. Chi può dissentire?

    La guerra ha assunto da tempo caratteristiche inimmaginabili ai conflitti tradizionali combattuti da eserciti nazionali. L’Onu nacque per dirimere le guerre tra Stati. E invece i focolai che insanguinano lo scenario internazionale si sono accesi soprattutto all’interno degli stati. Perlopiù si tratta di conflitti etnici, religiosi, moltiplicatisi nel quinquennio in corso tra il Medio Oriente e l’Africa del nord. Non ho notizia recente di decisioni risolute da parte dell’Onu. Un silenzio assordante. Rivederne la fisionomia e l’organizzazione e’ una priorità. Il mondo non si avvia verso l’età dell’oro. Chi pensa di affrontare il problema al solo grido di je suis Paris fa la cosa giusta, ma insufficiente.

    L’Europa non c’è. Irriconoscibile. Il Mediterraneo è in fiamme e noi ci balocchiamo nel buonismo. Una dignitosa esecrazione e poco più.

    Se, come sostiene il presidente Obama, a Parigi si è commesso un crimine contro l’umanità; se, come affermano capi di governo, siamo di fronte a una nuova guerra; se, come ci informano servizi e diplomazie, l’Isis ha colpito e colpirà ancora, alla retorica vanno sostituiti mezzi più convincenti: strutture di intelligence che si coordinano e si scambiano informazioni, tutte le informazioni, il coinvolgimento pieno della Russia, l’uso sinergico di strumenti militari, la rinuncia a far prevalere su tutto l’interesse economico di singoli stati.

    Non è indispensabile appartenere agli ultimi della terra per essere reclutati dal fondamentalismo religioso. Sono altri, e più profondi, i sentimenti che si muovono. I sentimenti che noi abbiamo smarrito e che non saremo in grado di afferrare se non ci diamo una nuova Dichiarazione Universale. L’umanesimo liberale deve essere innaffiato ogni giorno, rinnovato, cresciuto. Altrimenti si spegne.    Vai al sito dell’avantionline

 

 

 

Da l’Unità online - http://www.unita.tv/

 

Abaaoud, “mente” delle stragi, tra le vittime del blitz a Sant-Denis

 

La conferma è arrivata da fonti della magistratura

 

l jihadista belga Abdelhamid Abaaoud, presunta “mente” degli attentati di Parigi, è stato ucciso nel raid di ieri a Saint-Denis.  Lo hanno reso noto fonti della magistratura parigina.  Il procuratore Francois Molins, che ieri sera non lo aveva escluso, aveva dichiarato di voler attendere il risultato degli esami del Dna dei corpi ritrovati.

    L’annuncio ufficiale arriva comunque dal premier francese, Manuel Valls, davanti all’Assemblea nazionale dopo l’identificazione formale della mente delle stragi di Parigi, il belga Abdelhamid Abaaoud, tra i morti nel blitz a Saint-Denis.

    “Il cervello, o uno dei cervelli è morto. Saluto il lavoro eccezionale della polizia”. Valls ha reso omaggio al “lavoro eccezionale dei nostri servizi e della polizia” per l’operazione che ha portato all’uccisione a St. Denis del terrorista.

 

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mercoledì 18 novembre 2015

L’Italicum come il Porcellum

Riceviamo e volentieri rilanciamo

 

 

www.coordinamentodemocraziacostituzionale.net

 

  

Parla Felice Besostri: "L'Italicum come il Porcellum. È incostituzionale".

 

di CLAUDIO MADRICARDO

 

Avvocato Besostri, lei venerdì 6 novembre ha presentato ricorso al tribunale di Milano contro l'italicum. cI vuol spiegare come è giunto all'idea di opporsi alla nuova legge elettorale? Ha forse nostalgie proporzionaste? Non le è bastato di aver già affossato il porcellum?

    Ai Tribunali civili di Milano e Venezia sono stati presentati i primi due ricorsi per far accertare il diritto dei cittadini italiani di votare secondo Costituzione. Ne seguirà un'altra ventina presso i Tribunali delle città capoluogo di Distretto di Corte d'Appello: in generale i capoluoghi di Regione. La ragione è semplice l'italicum presenta gli stessi problemi di costituzionalità del porcellum, una legge che con gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani avevo contribuito a far annullare dalla Corte costituzionale nel gennaio 2014. Le leggi elettorali proporzionali sono state demonizzate ingiustamente, ma questo non c'entra nulla. Davanti alla Corte costituzionale ho detto chiaramente che un sistema maggioritario all'inglese o alla francese sono assolutamente costituzionali.

    Quindi, avvocato, qual è il vero problema secondo lei?

    Il trucco di dare la maggioranza a chi non ce l'ha. Cerco di spiegarmi meglio. Nei sistemi maggioritari bisogna conquistare la metà più uno dei seggi. In quelli proporzionali avvicinarsi al cinquanta per cento dei voti validi. La Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/2014 ha detto che se il legislatore vuol adottare un sistema maggioritario lo può fare, ma se sceglie un sistema, anche parzialmente proporzionale, deve essere coerente.

    Tuttavia i sistemi proporzionali sono generalmente instabili.

    Non è vero. La Germania, che è il paese più stabile d'Europa, ha un sistema proporzionale con una soglia di accesso del cinque per cento. Ebbene, dal 1949 ad oggi ha avuto in sessantasei anni appena otto cancellieri e si vota ogni quattro anni e non ogni cinque come in Italia. Da noi non è il sistema elettorale, ma il sistema dei partiti che crea instabilità,. Nella tredicesima legislatura (1996-2001) con la legge maggioritaria chiamata mattarellum abbiamo avuto quattro governi. Nella quindicesima (2006-2008) con l'iper maggioritario porcellum, la legislatura è finita prima. Berlusconi nel 2008 ha avuto la più grande maggioranza della storia repubblicana alla Camera e al Senato. Non ha finito la legislatura. L'ha portata a termine Mario Monti, ma con una maggioranza diversa.

    Quali sono, a suo modo di vedere, i motivi più eclatanti che renderebbero l'italicum incostituzionale? Li vuol spiegare in termini comprensibili a un profano della materia?

    Il premio di maggioranza prefissato nel cinquantaquattro per cento dei seggi. Ovvero trecento quaranta seggi e senza contare i dodici della circoscrizione estero, e indipendentemente dal consenso elettorale. Prendo lo stesso premio con il quaranta o con il quarantacinque per cento. O addirittura il cinquanta per cento dei voti. Lo scandalo comunque è il ballottaggio, dove una lista con il venticinque per cento dei voti al primo turno può conquistare il cinquantaquattro per cento dei seggi. Cioè può più che raddoppiare quelli che gli elettori le avrebbero assegnato. Questo non esiste in nessuna parte del mondo democratico. Inoltre, per far scattare il premio non c'è nessun quorum di partecipazione: che vada a votare il settanta per cento degli elettori o il trentacinque per cento, il premio è uguale. Un partito che rappresenta in termini reali meno del venti per cento degli italiani, governerebbe da solo. Si eleggerebbe il Presidente della Repubblica e quindi la maggioranza dei giudici costituzionali. >>> Continua la lettura sul sito di Ytali

 

martedì 10 novembre 2015

Macaluso: “Berlinguer? Un grande togliattiano”

Da l'Unità online http://www.unita.tv/

  

Intervista a Emanuele Macaluso: "Lo strappo da Mosca fu una cosa seria. I limiti del segretario e del suo gruppo dirigente, me compreso, emersero con la crisi della solidarietà nazionale. Di lì in poi ci mancò un rapporto coerente tra tattica e strategia"

 

di Francesco Cundari

 

«Quella di Biagio de Giovanni è un'analisi seria, che parte da un'affermazione indiscutibile, e cioè che Enrico Berlinguer è stato ed è rimasto sempre un comunista. E io aggiungo: un comunista italiano». Il punto di vista di Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci che con Berlinguer ha lavorato a lungo fianco a fianco, sta tutto in questa precisazione, che segnala però una differenza di fondo, subito esplicitata in tre espressioni che per Macaluso sono evidentemente quasi equivalenti: «Un comunista italiano, un comunista togliattiano, un comunista che ha sviluppato e portato più avanti la linea della via italiana al socialismo». La differenza tra «comunista» e «comunista italiano» non è una pignoleria di filologia politica, ma il cuore del dissenso con de Giovanni, di cui pure Macaluso ha apprezzato l'intervento, che ai suoi occhi ha innanzi tutto il merito di «restituire a Enrico Berlinguer la sua complessità e la sua importanza, contrariamente a una parte della sinistra e anche del mondo giornalistico, per i quali sembra che l'unica cosa che abbia fatto Berlinguer in vita sua sia un'intervista sulla questione morale».

    In sostanza, de Giovanni dice che Berlinguer, nonostante tutti i famosi strappi, non si distaccò mai pienamente dall'Unione sovietica e dal campo del socialismo reale. Di più, che non uscì mai da una visione del mondo che aveva nella rivoluzione russa del 1917 il suo discrimine fondamentale. Le sembra un giudizio fondato?

    «Che un condizionamento ci fosse è innegabile, e non vale solo per Berlinguer, ma per tutta la storia del Pci, compreso Occhetto, che fu gorbacioviano fino all'ultimo. Dopodiché, quando Berlinguer dice di sentirsi più tranquillo, per la sua idea di via italiana al socialismo, sotto l'ombrello della Nato, o quando proclama, a Mosca, il valore universale della democrazia, o ancora quando dichiara che la rivoluzione d'Ottobre ha perso la sua spinta propulsiva, che cosa sta dicendo, se non che il 1917 ha ormai una funzione conservatrice?»

    E allora dov'era il «condizionamento»?

    «Nel fatto che si considerava l'esistenza dell'Urss e delle cosiddette democrazie popolari un dato che oggettivamente indeboliva il capitalismo e dava quindi alla via democratica al socialismo del Pci un atout, rendendola più forte e anche più comprensibile».

    De Giovanni ha ricordato parole molto chiare di Berlinguer sulla «immensa portata» che aveva per il mondo l'esistenza di stati socialisti.

    «Parole che però, come ricorda lo stesso de Giovanni, risalgono proprio agli anni dell'eurocomunismo, e cioè a quando Berlinguer si sforza maggiormente di fuoriuscire da quell'esperienza. Mi sembra evidente l'aspetto tattico».

    De Giovanni tuttavia mette in discussione anzitutto l'analisi di Berlinguer, e cioè il fatto che abbia continuato a credere fino all'ultimo a una crisi terminale del capitalismo, non vedendo invece come a essere condannato fosse il socialismo reale, mentre il capitalismo si apprestava, proprio in quegli anni, a una nuova fase di espansione che avrebbe aperto le porte alla rivoluzione tecnologica e alla globalizzazione.

    «Berlinguer non aveva previsto la rivoluzione tecnologica, né la globalizzazione, né il fatto che oggi, a guidare il più impressionante e spietato processo di sviluppo capitalistico mai visto nella storia sarebbe stato il partito comunista cinese. È vero. Aggiungerei: e non solo lui»

    I socialisti potrebbero obiettare che nello scontro con Bettino Craxi, sulla crisi terminale del comunismo e la modernizzazione capitalista, loro avevano visto giusto, Berlinguer e il Pci no.

    «Stiamo attenti: de Giovanni dice che quando arriva Craxi, subito nel Pci scatta l'allarme. Ma il primo Craxi è quello che pone il problema dell'alternativa (ai governi guidati dalla Dc, ndr), sia pure tenendo sempre un atteggiamento critico con il Pci. E anche se Berlinguer sin dall'inizio ha molte riserve sul modo di fare politica di Craxi, sul tipo di modernizzazione che propone, tuttavia non abbandona mai la possibilità di un rapporto con il Psi. Il conflitto esplode quando Craxi va al governo. Lì c'è un errore di valutazione del Pci, e anche mio. Ricordo bene l'editoriale aspramente critico che scrissi sull'Unità».

    Anche ai tempi del compromesso storico non è che fossero proprio rose e fiori…

    «In realtà i veri problemi cominciano dopo. Il punto è come usciamo dalla solidarietà nazionale. Ricordo che nel 1980 diedi un'intervista in cui dicevo che il Pci doveva continuare sulla linea della solidarietà nazionale, ma con una variante: che la direzione del governo non doveva andare più a un democristiano, ma a un socialista. Il giornalista mi chiese: ma se andasse a un socialista, allora potrebbe essere Craxi? E io dissi sì. Uscì un comunicato della segreteria del Pci per dire che si trattava di "opinioni personali", una cosa che non si faceva dai tempi delle dichiarazioni di Umberto Terracini sui rapporti con Usa e Urss, nel 1947. Capii che era cambiato qualcosa, e infatti qualche tempo dopo Berlinguer venne in direzione con un progetto di risoluzione in cui faceva la cosiddetta svolta: non si parlava più di solidarietà nazionale, non si nominavano più i rapporti con la Dc, con il Psi, con nessuno. Io però continuo a pensare nonostante tutto che queste oscillazioni fossero dettate da esigenze tattiche, mentre la strategia di Berlinguer rimaneva sempre la stessa».

    Cosa glielo fa dire?

    «Ad esempio il fatto che dopo tutto questo, alla vigilia delle elezioni del 1983, Berlinguer e Craxi si incontrano a Frattocchie e siglano un documento comune sui problemi sociali, lo sviluppo, la giustizia. Come dire che sì, ovviamente Pci e Psi andavano alle elezioni su posizioni diverse, ma c'era una prospettiva comune. Devo anche dire che quando poi Craxi va al governo accentua la polemica con il Pci. Nella rottura, insomma, ci sono responsabilità da una parte e dall'altra».

    Resta il problema da cui siamo partiti, e cioè, tracciando un bilancio, quale sia stato il ruolo di Berlinguer. Ha svolto una funzione di conservazione, come sembra concludere de Giovanni, o di rottura?

    «Io ritengo che Berlinguer, con alcuni errori tattici, cui mi associo, abbia sempre mantenuto ferma la linea della via italiana al socialismo, cioè una via democratica, non rivoluzionaria, con quei passi che ho ricordato sulla Nato e sul valore universale della democrazia che rappresentarono una accelerazione straordinaria. Il problema è che dopo la solidarietà nazionale quella linea va in crisi e il Pci non riesce più a trovare un rapporto coerente tra tattica e strategia. Questo è il vero limite che emerge, da quel momento in poi, di Berlinguer e di tutto il suo gruppo dirigente, me compreso. Quanto alle questioni ideologiche, capiamoci: anche Togliatti non uscì mai dal leninismo, però fece un partito di massa attrezzato per le elezioni, invece di un partito di quadri attrezzato per la rivoluzione, cioè l'esatto contrario del leninismo. Un partito che prende "l'attuazione della Costituzione come programma". La vera doppiezza è che nel momento in cui, nei fatti, il Pci rompeva con quella tradizione, non lo voleva dire. Ma la sua politica non fu mai doppia: dalla linea democratica non si tornò mai indietro».

    Restava però l'obiettivo di superare il capitalismo, o no?

    «Sì, certo: anche Berlinguer credeva nella possibilità di superare il capitalismo. Democraticamente».

    E lei come giudica questa posizione?

    «Io ormai sono vecchio. Vedo che molti pensano che il capitalismo sia l'ultima categoria della storia, che dopo non possa esserci nulla. Io, invece, non so cosa avverrà dopo, ma che sia l'ultima categoria della storia non lo credo. Ho letto un libro in cui si racconta quello che accadde in Russia quando abolirono la servitù della gleba: ci furono persone che si suicidarono perché pensavano che fosse la fine del mondo. E invece il mondo è andato avanti. Io credo che la sinistra debba battersi per uguaglianza e progresso. Quali sbocchi avrà questa lotta non lo so, ma credo resti una battaglia da fare. E va fatta nel mondo di oggi, che non è più quello di Berlinguer, né il mio».

 

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Istituzioni democratiche - Deformata la Costituzione, nasce il Comitato per il No

 La presidenza del Comitato è stata assunta dal prof. Alessandro Pace, che sarà coadiuvato da due vicepresidenti, Anna Falcone e Alfiero Grandi.i

 

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale annuncia la costituzione del Comitato che sosterra’ il No nel referendum confermativo sulle modifiche della Costituzione, che sono state fortemente volute dal governo Renzi ed imposte al Parlamento come parte essenziale del suo programma politico. Il Senato il 13 ottobre ha approvato il ddl Boschi Renzi con modifiche marginali, senza ascoltare gli appelli a non manomettere la Costituzione provenienti da autorevoli costituzionalisti e da tanti cittadini che pensano che i principi fondamentali su cui si regge la democrazia in Italia dovrebbero essere affrontati con la prudenza e il rispetto che meritano.

    Il giudizio negativo sul testo della riforma approvata dal Parlamento si fonda anche sull’interazione fra le modifiche costituzionali e la nuova legge elettorale (l’Italicum) che ripropone amplificandoli gli stessi aspetti di incostituzionalità del porcellum, che la Consulta ha censurato con la sentenza n. 1/2014. Con queste riforme si crea un contesto istituzionale che sterilizza il sistema di pesi e contrappesi che i Costituenti vollero instaurare per evitare pericolose concentrazioni di potere nelle mani di un unico soggetto politico (un uomo solo al comando) e si finisce per dissolvere l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza.

    Per contrastare gli effetti perversi dell’Italicum il Coordinamento ha già depositato in Cassazione, il 16 ottobre la richiesta di due referendum abrogativi e si prepara ad organizzare la campagna di raccolta di firme. Per contrastare la riforma costituzionale è stato deciso di costituire in via anticipata il Comitato per il No.

  

Naturalmente la speranza è che il Parlamento, riveda le sue posizioni. Se ciò non dovesse avvenire sarà giocoforza affrontare il referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione, che permetterà ai cittadini italiani di potersi finalmente esprimere e di bocciare questa inaccettabile manomissione della Costituzione, come è già avvenuto nel 2006 quando è stata cancellata la riforma voluta da Berlusconi. In ogni caso il governo Renzi deve sapere fin da ora che ci sara’ chi sosterra’ il no nel referendum senza farsi scoraggiare dalla retorica delle riforme con la quale si cerca di neutralizzare ogni dissenso.

    Il Comitato è apartitico e nasce dall’incontro fra le associazioni attive nella società civile sui temi della democrazia, alcuni soggetti politici e sindacali e la migliore cultura giuridica costituzionale italiana e chiederà l’adesione delle forze politiche e sindacali che vorranno impegnarsi per il no.

    Vi partecipano autorevoli giuristi e costituzionalisti come Gaetano Azzariti, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Claudio De Fiores, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Francesco Rescigno, Cesare Salvi, Federico Sorrentino, Massimo Villone, Mauro Volpi, Gustavo Zagrebelsky e personalità della cultura o esponenti delle associazioni come Sandra Bonsanti Anna Falcone, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Alberto Asor Rosa, Francesco Baicchi, Antonello Falomi, Giovanni Palombarini, Pancho Pardi, Livio Pepino, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Vincenzo Vita e tanti altri.

 

Vai su RadioRadicale al video della conferenza stampa promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale sulla Presentazione dei quesiti referendari e dei ricorsi all'Italicum

 

Istituzioni democratiche - La “Deforma costituzionale”

 Le ragioni politiche e giuridiche per dire NO alla deforma costituzionale di Renzi-Boschi

 

di Alessandro Pace, Presidente del Comitato per il No alla "deforma costituzionale"

 

Qualora si volesse individuare il vizio più grave e omnicomprensivo che caratterizza la riforma costituzionale Renzi-Boschi questo andrebbe identificato nell'assenza di contro-poteri: uno dei principi fondamentali del costituzionalismo liberale.

    Da questo angolo visuale è evidente lo scompenso tra Camera e Senato sia sotto il profilo delle funzioni – in conseguenza del quale il Senato non potrebbe più costituire un'eventuale contro-potere della Camera -, sia sotto il profilo del numero dei componenti dell'una e dell'altro che rende praticamente irrilevante la presenza del Senato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune. A ciò si aggiungano sia l'irrazionalità di far esercitare le funzioni di senatore a consiglieri regionali e a sindaci che eserciterebbero le loro funzioni part-time, come se le residue attribuzioni riconosciute al Senato fossero di poco peso; sia l'assurdità di far valutare, da parte del Senato delle autonomie locali – costituito (non lo si dimentichi, da meri consiglieri regionali) – i requisiti per l'elezione di due dei cinque giudici costituzionali.

  

Sempre con riferimento al futuro Senato devono essere sottolineati due ulteriori punti critici: uno relativo ai cinque senatori di nomina presidenziale che hanno un senso in un Senato come l'attuale, il quale persegue finalità generali, ma che non ha senso in un Senato che rappresenterebbe le istituzioni territoriali (nuovo art. 55 comma 4), la durata dei quali è comunque discutibile in quanto sembrerebbe che essi dovessero rappresentare nel Senato il Presidente della Repubblica che li ha nominati.

    Ma il secondo punto critico – che è quello più grave in assoluto – sta nella carente legittimità democratica del futuro Senato. Giustamente la minoranza Dem aveva sostenuto che tale fondamento dovesse risiedere nel voto popolare, in quanto le elezioni politiche costituiscono, ai sensi dell'art. 1 Cost., una delle forme di esercizio della sovranità popolare. L'art. 2 co. 2 del d.d.l. approvato dal Senato ha però sostanzialmente disatteso tale tesi, in quanto, da un lato, la scelta dei senatori-sindaci non si conforma a nessuna precedente elezione popolare, e quindi è manifestamente incostituzionale; dall'altro, la scelta dei senatori-consiglieri regionali, dovendosi conformare al risultato delle elezioni regionali o ne costituisce un duplicato (e quindi è inutile), oppure se ne distacca e allora viola l'art. 1 della Costituzione.

    Fermo restando il grave errore consistente nell'attribuzione della potestà legislativa e di revisione costituzionale ad un organo avente pertanto una discutibile legittimazione democratica, ciò che ulteriormente preoccupa – in questa riforma, posta in essere, non a caso, da un Parlamento formalmente e sostanzialmente delegittimato dalla sent. n. 1/14 della Corte Costituzionale – sono due aspetti.

    In primo luogo, grazie all'attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, l'asse istituzionale viene spostato in favore dell'esecutivo, che diventerebbe a pieno titolo il dominus dell'agenda dei lavori parlamentari, "la governabilità" essendo privilegiata alla "rappresentatività", in contrasto con quanto sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sent. n. 1/14.

    In secondo luogo, non sussiste un esplicito riconoscimento delle garanzie per le opposizioni, il quale viene demandato ai regolamenti parlamentari, con la conseguenza che sarebbe il partito politico avente la maggioranza parlamentare, grazie all'Italicum, a precisare i contenuti dei diritti dell'opposizione. Il Governo e la maggioranza parlamentare hanno infatti malauguratamente respinto i pregevoli emendamenti presentati dalla minoranza Dem e del M5S intesi a prevedere il diritto delle minoranze di istituire le commissioni parlamentari d'inchiesta, così come previsto dalla legge fondamentale tedesca.

 

mercoledì 4 novembre 2015

Contro l’Italicum

Istituzioni democratiche

 

Dopo avere portato il "Porcellum" all'abrogazione, nel silenzio quasi assoluto dei mass media italiani, l'avvocato socialista Felice Besostri sta ora coordinando la presentazione di una raffica di ricorsi contro il cosiddetto "Italicum", affinché anch'esso venga sottoposto al vaglio costituzionale della Consulta.

 

Vai all'intervista con Felice Besostri su Radio Radicale

 

I ricorsi in preparazione, finalizzati ad ottenere una pronuncia della Corte Costituzionale, hanno già prodotto un risultato, quello di rompere il muro del silenzio che era calato per anni sul "Porcellum".

    Stavolta la stampa nazionale si è accorta che esiste una vasta e articolata opposizione al tentativo, l'ennesimo, di stravolgere gli equilibri costituzionali a colpi di legge elettorale.

    Così i giornali italiani hanno diffusamente riferito dell'iniziativa portata avanti da Besostri e dai Comitati in difesa della Costituzione (di seguito una rassegna stampa). Due rettifiche sono tuttavia necessarie perché contrariamente a quanto annunciato dai mass media: 1) I ricorsi contro l'Italicum non sono stati ancora presentati. 2) Essi riguardano i tribunali civili e non le corti d'appello.

 

 

RASSEGNA STAMPA SULL'ITALICUM

 

Cliccando sulla testata (sottolineata in rosso) si accede all'articolo sul sito corrispondente

 

·         Rai news24 - Legge elettorale. Italicum, raffica di ricorsi in corti d'appello.

·         ANSA - Italicum: in arrivo raffica di ricorsi su premio e ballottaggio. Anche M5S li sostiene l'iniziativa del coordinamento democrazia costituzionale.

·         AGI - Italicum, pioggia di ricorsi "è incostituzionale".

·         La Repubblica - Referendum contro Italicum, pronta anche raffica di ricorsi. Renzi: "Darà stabilità".

·         La Stampa - Raffica di ricorsi e due referendum in Cassazione contro la nuova legge elettorale.

·         Il Messaggero - Italicum, una raffica di ricorsi in quindici Corti d'Appello sulla nuova legge elettorale.

·         Il Mattino - Italicum impugnato: presentati ricorsi a raffica in una quindicina di Corti di appello.

·         Il Giornale - Bomba sull'Italicum: ricorsi in tutta Italia.

·         Il Fatto quotidiano - Italicum, 15 ricorsi in Corte d'appello su premio di maggioranza e ballottaggio. Due quesiti referendum in Cassazione.

·         Avvenire - Ricorsi anti Italicum in 15 tribunali.

·         Secolo d'Italia - Fioccano i ricorsi contro l'Italicum: la legge impugnata in 15 Corti d'Appello.

·         L'Espresso - Italicum, è in arrivo una pioggia di ricorsi. Il Coordinamento per la democrazia costituzionale, che raccoglie i critici alla riforma elettorale targata Renzi, presenterà ricorsi nelle Corti d'Appello di tutto il Paese. Adesioni in arrivo anche da sinistra Pd e Cinque stelle.

·         Panorama - Guerra sull'Italicum: i punti contestati nei ricorsi.

·         Huffington post - Scatta l'assedio all'Italicum: tra ricorsi e referendum, prove generali per fermare l'asse portante del renzismo.

·         Lettera43 - Italicum, rivolta a suon di ricorsi.

·         ArticoloTre - Italicum. Pioggia di ricorsi in tutte le Corti d'Appello.

Rassegna stampa curata da:

Comitato in Difesa della Costituzione di Ravenna

 

 

 

IPSE DIXIT

 

E poi credono a ciò che leggono - «Come è governato il mondo e come cominciano le guerre? I diplomatici raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a ciò che leggono». – Karl Kraus

 

Ordinalità - «Non so con quali armi verrà combattuta la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sarà combattuta con i bastoni e le pietre.». – Albert Einstein