martedì 28 ottobre 2014

Aspettando Juncker

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di Daniele Unfer

Prima al Senato e poi alla Camera, Matteo Renzi è intervenuto sul Consiglio europeo in programma domani e dopodomani a Bruxelles. Un Consiglio che si svolge sotto la presidenza italiana, di cui, a dire il vero, non sembrerebbero essere rimaste molte tracce, e l’ultimo della stagione targata Barroso. Renzi non ha perso l’occasione di sottolineare che “siamo in una fase di transizione e che la grande vittoria di questi mesi è stata aver proposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro, primo segno di attenzione della nostra realtà istituzionale europea non solo al rigore e all’austerità ma anche alla crescita”.Un cambio di prospettiva, dopo gli anni di rigore targati Merkel-Barroso. Ora, anche se ancora in punta di piedi, un nuovo vocabolo è entrato a far parte del lessico europeo: flessibilità. Quella tanto invocata dal premier italiano che con il suo governo ha inaugurato un nuovo tipo di approccio con Bruxelles. E nel giorno in cui l’Italia attende la lettera di Bruxelles sulla manovra, i cui contenuti, sottolinea Renzi, sono espressione nelle presidenza Juncker e non della presidenza Barroso, il premier ha illustrato alle Camere le prospettive italiane al Consiglio europeo. Insomma per Renzi il cambio di passo della commissione è fondamentale per dare concretezza ai contenuti messi nelle legge di stabilità. Il vertice di domani, dunque, rappresenta un passaggio davvero rilevante.

“Ci sono tutte condizioni – ha detto Renzi – perché una volta che dalla settimana prossima a Bruxelles si siano cambiate le poltrone, si possano cambiare anche le politiche, per una Europa non burocratica” in cui “l’Italia sta a testa alta”. Renzi ha ricordato che “è pronto il piano di investimento europeo; è gigantesco, servirà per la creazione di posti di lavoro. Tutto questo è frutto dell’impegno italiano. L’Europa finalmente volta pagina. La più grande vittoria dell’Italia in Europa è quella di aver proposto e per alcuni versi imposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro. E’ il primo segno di attenzione non solo all’austerità e al rigore ma anche a crescita e investimenti. Vorrei che le nuove istituzioni europee – ha detto ancora Renzi – mostrassero un po’ più di coraggio e l’orgoglio di appartenere a questa Comunità che è l’Europa”, ha poi dichiarato rivolgendosi ai senatori presenti, “la Ue sta cambiando le sue istituzioni e bisogna cogliere questa occasione” perché “noi non siamo gli osservati speciali”, ma un Paese che fa le riforme.

Infatti la fretta estiva sulla riforma del Senato era propedeutica proprio a questo: dare dell’Italia l’idea di un paese che sta facendo i compiti a casa. “L’Italia – ha detto Renzi a questo proposito – si presenta a questo vertice europeo avendo mantenuto l’impegno ad aprire alcuni cantieri di riforma credibile. Ma – ha aggiunto – ha bisogno di uno scatto in più: la consapevolezza di ciò che siamo e rappresentiamo”. Ineludibile un passaggio sulla lettera di Bruxelles. “È naturale” che arrivi, ma non basta per parlare di bocciatura”.

Il premier l’ha definita un “emblematico genere letterario” che sta “suscitando entusiasmo e passione di parte di noi e dei media”: ma “è naturale, per le nuove procedure, che quando mandi la legge Stabilità si inizi a discutere, a verificare i punti”. Ma è anche impressione di molti che questa manovra, che in serata è stata finalmente “bollinata ” dalla Ragioneria generale dello Stato e trasmessa al Quirinale, sia basata sulla suggestione e sull’idea che qualcosa è cambiato rispetto al passato. Ma in realtà è l’unica manovra che il governo potesse fare per cercare di ridare un po’ di fiato a un Paese stretto nella morsa del rigore europeo, soffocato dal debito pubblico e angosciato ogni giorno dall’andamento dello spread. Ma è una manovra che agisce in deficit. Non regala nulla, anzi. Posticipa solo, forse aggravandole, le scadenze, facendo pagare a maggior prezzo domani quello che viene scontato oggi.

Una curiosità. Sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio sono state presentate al Senato sette mozioni. Su quella della maggioranza, a prima firma Luigi Zanda, e su quella del leghista Roberto Calderoli, riformulata, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha annunciato parere favorevole. Negativo su tutte le altre. La risoluzione del leghista Roberto Calderoli ha ottenuto 223 sì, 6 no e 43 astenuti. Più di quanto abbia preso quella della maggioranza: 152 sì, 107 no e 4 astenuti.

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