venerdì 29 agosto 2008

BALCANI DEL XXI SECOLO ?

La crisi nel Caucaso
di Felice Besostri
Parallelamente alla fine delle operazioni militari in Caucaso procede l’escalation politica. In questo caso la responsabilità maggiore spetta alla Federazione Russa con il riconoscimento unilaterale dell’indipendenza della Ossezia del Sud e dell’Abkhazia che fu, per inciso, formalmente proclamata dai Soviet delle rispettive repubbliche nel 1991/'92. Per la Russia si deve tuttavia parlare di responsabilità maggiori, ma non esclusive. Il progetto di integrare la Georgia nella NATO, rafforzato dopo la forte risposta russa all'aggressione georgiana, ha ulteriormente attizzato il conflitto.

Lasciatemelo dire: se qualche giornale nei giorni caldi avesse fornito un'informazione obiettiva circa le radici del conflitto, a nessuno sarebbe mai potuto saltare in mente di paragonare Gori alla Danzica del 1939 o di accostare la Georgia del 2008 alla Cecoslovacchia del 1968. E’ un fatto che la Georgia, proclamata la propria indipendenza con un atto di secessione dall’URSS, pensò bene di ridurre l’autonomia dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, e ciò benché fosse garantita dalla Costituzione della Repubblica Socialista Federata della Georgia non meno che dalle Costituzioni delle due repubbliche confederati. Il georgiano fu dichiarato lingua ufficiale unica. Venne abolito l'uso del russo. L’Ossezia e l’Abkhazia furono trasformate in semplici suddivisioni territoriali-amministrative: da repubbliche confederate a province dello Stato unitario della Georgia.

I conseguenti scontri etnici provocarono massacri di civili da ambo le parti, massacri che perseguivano l’obiettivo di rendere i territori etnicamente "puri". Questo è avvenuto nel 1991/'92 in un contesto che dal 1920 era stato sostanzialmente pacifico.*) E gli scontri del 1991/'92 hanno posto fine, quanto meno per un periodo non breve, alle possibilità di una convivenza tra i diversi gruppi etnici, che pure registravano un forte numero di matrimoni misti.

Salta agli occhi l'analogia con la ex Jugoslavia soprattutto a riguardo della Bosnia Erzegovina con le sue tre etnie, costituite com'è noto dai serbi (cristiano-ortodossi), dai croati (cristiano-cattolici) e dalla maggioranza bosniaca (di tradizione mussulmana). Una crisi della Federazione jugoslava dopo la morte di Tito era probabilmente inevitabile, ma fu sicuramente accelerata dal riconoscimento unilaterale dell'indipendenza slovena e di quella croata. Ciò avvenne -- sotto la spinta di Germania, Austria e Vaticano -- per interessi nazionali e confessionali.

La secessione della Slovenia e, soprattutto, della Croazia (dove la pulizia etnica indusse alla fuga circa duecentomila serbi) innescarono un meccanismo infernale di reazioni a catena dai virulenti nazionalismi serbi contro gli albanesi del Kosovo a quelli dei croati contro i serbi della Krajna. E' palesemente lo stesso schema dei georgiani con la proclamazione dell’indipendenza di abkhazi e osseti.

Alcuni commentatori prevedono che i russi rimarranno in Georgia come i turchi a Cipro. Dal 1974 la Turchia, un paese NATO, occupa la parte settentrionale dell’isola di Cipro dove ha dato vita ad una Repubblica Turca di Cipro, come reazione all’unione con la Grecia voluta dalla maggioranza ellenofona dell’isola. La Repubblica Turca di Cipro è uno Stato riconosciuto soltanto dalla Turchia.

Nel 1975 appena nove giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo l’Indonesia invase Timor Est: un'occupazione brutale e genocida durata fino al 2002, cioè tre anni dopo il referendum per ristabilire l’indipendenza del paese.

Il Sahara già spagnolo, diviso nel 1976 tra Marocco e Mauritania, è stato illegalmente annesso al Marocco dal 1979, e ciò malgrado la strenua resistenza del Fronte Polisario che proclamò il 27 febbraio 1976 la Repubblica democratica araba Sahraui. Il referendum deliberato dalle Nazioni Unite non si è mai tenuto.

In questi tre episodi abbiamo dovuto registrare tiepidissime reazioni, se non il silenzio, di molti di coloro che adesso ci invitano alla mobilitazione per la Georgia o, addirittura, a morire per Tbilisi...

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX i Balcani furono definiti la polveriera d’Europa, non per nulla si scatenarono una serie di guerre tra Turchia, Bulgaria, Serbia, Romania, Montenegro e Grecia, poi sfociate nella Prima Guerra Mondiale.

Oggi nel Caucaso ci sono tutte le caratteristiche balcaniche, basti pensare alla Cecenia, all’Armenia e all’Azerbaigian oltre che alla Georgia ed alle regioni contese.

La mina va disinnescata e non con nuove prove di forza, ma proprio in forza di principi di regolamentazione pacifica dei conflitti.

Dopo il Kosovo non vale più, come assoluto, il principio del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati, quando concorre con il principio di autodeterminazione dei popoli. Rispetto al Kosovo la Russia non ha atteso l’esito di un referendum sotto controllo internazionale per procedere al riconoscimento di due nuove entità statali.

Lo spazio per un intervento politico internazionale, specialmente da parte dell’Unione Europea, esiste ancora. Parliamo dell’Europa come entità politica, da non confondere con le telefonate di Berlusconi all’amico Putin (come ha opportunamente ricordato Piero Fassino).

Il regime russo gode di un indubbio sostegno popolare, quando solletica il nazionalismo e la nostalgia di grande potenza, ma l’ambiente degli affari ha reagito negativamente con una spettacolare caduta della borsa ed una massiccia fuga dei capitali, come ricorda la prima pagina de Le Monde nell’edizione del 24-25 agosto scorso: evidentemente, il petrolio e il gas russo, da cui l’Europa dipende, non sono l’unico fattore economico in gioco.

Un approccio realistico e ragionevole è necessario con buona pace degli atlantisti più fanatici, che si mettano a gridare alla nuova Monaco e alla politica di appeasement nei confronti di Hitler. La proposta di una Conferenza internazionale appare una cosa metodologica e procedimentale più che la soluzione del conflitto (e i precedenti ciprioti, timorensi e sahraui stanno a dimostrarlo), ma almeno consente una tregua nel confronto politico-militare senza far perdere a nessuno la faccia.

Dopodiché tutto va messo in discussione, dallo scarso rispetto dei diritti civili in Russia e Cecenia, all’installazione di missili in Polonia e nella Repubblica Ceca, all’allargamento della Nato alla Georgia.

Il modello di convivenza europeo tra popoli deve riuscire a imporsi, altrimenti sarà un crescendo scatenato di nazionalismi: "Dall’umanità alla bestialità attraverso la nazionalità”, diceva lo storico marxista inglese Eric Hobsbawm, intendendo per "nazionalità" non l'identità storica e culturale di una comunità politica, ma il nazionalismo aggressivo cui assistiamo in molte parti del mondo. Proprio i recenti avvenimenti in Georgia costituiscono un monito per tutti.

P.s.: Chi desideri maggiori informazioni su questi temi può visitare il sito www.opendemocracy.net che ospita l’articolo di Neil Ascherson, After the war: recognising reality in Abkhazia and Georgia, del 15 agosto.

mercoledì 27 agosto 2008

Articolo sull'Italia dei divieti pubblicato dall'Independent

A cura di Internazionale - Prima Pagina
L'estate dei divieti
Se l'estate del 1967 venne ricordata come quella dell'amore, quella del 2008 rischia di passare alla storia come l'estate dei divieti. I giornali e le tv italiane dedicano sempre più spazio a una serie di singolari divieti stabiliti dai sindaci di diverse città del paese, a quanto pare nell'interesse della sicurezza dei cittadini. Nella maggior parte dei casi al massimo si rischia una multa, ma le polemiche ormai sono arrivate anche sulla stampa britannica.

International Herald Tribune, Francia [in inglese] vai al sito


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L’insicurezza dello Stato Maschio
A margine dell’articolo sull’Italia dei divieti pubblicato dall’Independent
di Marco Lombardi
L’articolo sull’Italia dei divieti pubblicato dall’Independent invita a guardarci allo specchio. Bastano infatti poche norme campione citate dai recenti regolamenti comunali in materia di ordine pubblico, ad offrire lo spaccato di un paese in piena crisi creativa. Solo la mancanza di creatività può eleggere a mezzo di governo una variopinta gamma di restrizioni comportamentali. Un pessimo albeggiare per la stagione del concreto decentramento dei poteri statali, che i leader delle grandi città sembrano affrontare schiacciati in partenza da nuove ed inedite responsabilità.
I governi locali, retti da una classe dirigente spesso in età avanzata – inclusi i giovani sindaci per lo più ostaggio delle vecchie oligarchie che li hanno partoriti -, si trovano a gestire sfide enormi in contesti incomprensibili per la loro formazione. Una carenza di adeguati mezzi culturali (e materiali) che può paralizzarli, spingerli a cercare certezze nel paterno richiamo del vincolo, del punire per educare. Ricorrere così al divieto in una concezione pedagogica della politica che guarda dall’alto in basso, generando forme asimmetriche di legalità che non toccano i potenti principi. Si sanziona chi non cede il posto agli anziani, non mangia parcamente nei luoghi pubblici, siede in modo scomposto sulle gradinate. Tutto ciò nella speranza di ottenere per legge ciò che le agenzie di socializzazione non riescono più a garantire: la buona educazione.
E’ vano lo sforzo del principe di ripristinare il civismo nei sudditi con il selvaggio ricorso al divieto, ma può essere comunque illusione che ne placa i sensi di colpa, gli rinvia esami di coscienza. Se per i sindaci di centro-destra e della lega si può parlare di ritorno a nostalgici tempi o di uso strumentale di colpi ad affetto, è soprattutto nel centro-sinistra che tale illusione attecchisce, nelle realtà urbane dove i cittadini tradiscono nei comportamenti le aspettative nobili del modello solidale socialista e cattolico. Qui i sindaci sentono di più i morsi di una colpa che li spinge a concludere, facilmente, di aver dispensato troppe carote e poche bastonate. Colpa fatta scivolare sulla testa degli educandi.
Torna la supremazia del frustino, con l’immediata schizofrenia di un paese che vieta tutto senza punire nessuno. Ancor più grigie le prospettive per uno Stato democratico che rinuncia alla funzione di promozione civica, sposando uno stile di sottrazione che allunga la lista delle ordinanze e taglia quella degli stanziamenti al sociale, alla scuola, alla cultura. Le nuove generazioni cresceranno assetate di una sicurezza esistenziale mal placata dal morso dei vincoli individuali, private del necessario sostegno materiale lungo quel percorso di emancipazione che si chiama libertà. Un percorso costellato di scontri e mediazioni con la dimensione adulta delle regole, che finirà per appiattirsi sulle mode e contro-mode e prevarrà il vincolo più forte: il divieto ad essere diversi.
Delle riflessioni che André Gidé riportò di ritorno dall’URSS impressiona la preoccupazione per il danno civico causato dall’abolizione del volontariato nel sistema di prestazioni sociali e dalla ferrea propaganda di Stato. Un danno grave per la gioventù sovietica, che Gidé trovava già allora incapace di produrre alternative di rinnovamento sociale. Era il 1936 e ci vollero i fatti del ’56 per capire la nocività di un sistema così rigido di intromissione pubblica nel privato, di solidarietà imposta per legge.
Dopo l’ondata di sguaiato liberismo degli anni ’80, assistiamo al ritorno di un modello per certi versi simile. Non è la prima volta che i gruppi al potere affrontano mutamenti sociali rafforzando la pressione dell’autorità pubblica sulla collettività, unendovi poi l’ideale del domani migliore ed un nemico chiaro. E’ l’intramontabile mito dei guardiani maschi che conducono la massa femminea, in un rapporto di forza bruta e caldi sentimenti di cui non si conservano che tristi ricordi.

lunedì 18 agosto 2008

Dovevamo pubblicare questo appello, ma...

di Felice Besostri

Non potevamo non pubblicare questo appello: i socialisti sono per la risoluzione pacifica dei conflitti. Quindi, contro l'uso delle armi. E nell'uso delle armi, chi è militarmente  più forte, ha maggiori responsabilità. Quindi, questo ruolo spetta ai russi.

    Tuttavia, un punto di vista socialista non può ignorare che l'iniziativa militare è partita dai georgiani e che si è trattato di una manovra allo scopo di acquistare consenso per un regime che ha tradito molti degli ideali della "Rivoluzione delle rose" che lo portò al potere.

    La sinistra italiana è in vacanza, probabilmente in percentuale maggiore della media degli italiani, infatti tengono banco discussioni sulla Commissione AA (Amato-Alemanno) o sulle ultime esternazioni di Moretti. A proposito del primo tema il compagno Rino Formica ha detto cose definitive nell’intervista al Corriere della Sera  del 14 agosto e sul secondo condivido l’appello di Pancho Pardi: Moretti la smetta di deprimerci!

    In vacanza le questioni scomode danno fastidio come zanzare e tafani. Perciò è meglio non affrontarle. Nel Caucaso si è corso il rischio di alzare la tensione internazionale fino al punto di ritornare ad un clima di guerra fredda. Gli effetti si sono visti subito, per una parte della Sinistra la collocazione è automatica: vediamo dove stanno gli USA e noi ci mettiamo dall’altra parte. Per un’altra parte la Russia è l’erede dell’Unione Sovietica e, pertanto, è d’obbligo schierarsi con la Georgia.

    Ripercorrendo la storia del paese, il più grande crimine, da cui discendono tutti gli altri, è stato il rovesciamento con la violenza del governo socialista ("menscevico") al potere in Georgia nei primi anni 20 del XX secolo. Ciò avvenne in funzione di una forzata "normalizzazione bolscevica".

    Con la stessa arbitrarietà con cui zone tradizionalmente georgiane furono date a Turchia, Armenia ed Azerbaigian, altre non georgiane vennero inglobate nella "Repubblica Socialista Federata di Georgia". Ma nessuno consultò all'epoca gli Osseti e gli Abkhazi affinché potessero dare (o negare) il loro assenso a quegli accorpamenti territoriali nella Georgia. E la maggioranza di loro non acquisì la nazionalità georgiana.

    Se un altro principio socialista è quello dell'autodeterminazione dei popoli, allora non capisco quelli che si dichiarano sostenitori fanatici del Kossovo indipendente, ma negano lo stesso diritto ad Osseti e Abkhazi.

    Condanniamo l'uso delle armi, il massacro di civili e ogni superamento della linea di armistizio, ma, per favore, lasciamo stare i paragoni con l'Ungheria del 1956 e con la Cecoslovacchia del 1968. In Georgia non era in corso nessuna rivoluzione da soffocare con un intervento straniero.

    Per dire, una zona slovacca al confine orientale era stata assegnata all'Ucraina dopo la seconda guerra mondiale,  ma i dirigenti della Primavera di Praga non presero l'iniziativa di rivendicare alcun "sacro suolo patrio perduto". E del pari, nella rivoluzione ungherese del 1956, non si udirono mai parole d'ordine nazionaliste per i territori ungheresi ceduti a Serbia, Croazia Romania e Slovacchia.

    Quindi auspicherei una solidarietà per i socialisti georgiani attiva, ma anche "dialettica".
    Come socialista internazionalista non sono disposto a battermi per sottomettere gli osseti ai georgiani, magari con l'aiuto di truppe NATO. 

    Come socialista internazionalista sono anche per la  libera determinazione degli osseti del Nord e del Sud, come dei ceceni, affinché possano tutti quanti decidere democraticamente se far parte o meno della Federazione Russa, liberi dalla presenza interessata di truppe russe ex sovietiche.

    Vorrei sentire anche voci socialiste dalla Georgia sulla politica economica e sociale del governo in carica.
    Vorrei anche una sinistra italiana che discuta di principi guida negli affari internazionali e non che si affidi agli umori contingenti od al solo criterio della collocazione  degli USA nel conflitto in atto o potenziale. 

UNA DRAMMATICA LETTERA DALLA GEORGIA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Appello

Noi, l'Unione della Gioventù Socialista di Georgia, riteniamo un obbligo informare la comunità internazionale circa la situazione esistente in Georgia.

È evidente, che il conflitto interno ad una delle regioni della Georgia (Samachablo, la così detta Ossezia del Sud) sia andato oltre la zona di conflitto ed è stata trasformato in una vera e propria guerra Russo-Georgiana. Le operazioni militari della Federazione Russa rendono evidente che siamo testimoni di un chiaro tentativo di annessione della Georgia alla Federazione Russa.

    L'aviazione Russa ha effettuato operazioni militari non solo nella zona di conflitto, distruggendo l'intera città di Tskhinvaly, ma anche attaccando le basi militari Georgiane, i centri di comunicazione e pacifici civili fuori dalla zona di conflitto in nome di operazioni a tutela della pace.

    Le forze dell'aeronautica russa hanno bombardato, dappertutto nel paese, le
città pacifiche, centri regionali e villaggi, compresi: la città di Gori (dove restano abitazioni in rovina), il porto di Poti (che  è un obiettivo strategico per l'importazione di viveri), Tiblisi -  la capitale della Georgia, una fabbrica di velivoli ed il territorio vicino l'aeroporto internazionale di Tblisi. Tutti questi obbiettivi non fanno parte della zona
di conflitto.

    Nonostante le dichiarazioni ufficiali della Russia, ovvero che loro tentano soltanto di mantenere la pace nella zona di conflitto,  conta il fatto che hanno attraversato i limiti della zona di conflitto ed hanno occupato le posizioni strategiche del paese; le forze militari russe hanno occupato le varie città occidentali della Georgia, la principale via di comunicazione e trasporto e ora si stanno avvicinando a Tblisi.

    Noi, l'USYG, stiamo esprimendo la nostra preoccupazione circa l'attuale situazione e consideriamo le azioni della Federazione Russa come un'invasione della Georgia. Gli attacchi delle forze militari russe contro l'esercito georgiano non possono essere considerate come azioni di mantenimento della pace. In questa maniera la Federazione Russa prova ad assicurare le proprie ambizioni imperiali ed a ristabilire la relativa influenza politica sulla Georgia. Ora è chiaramente possibile che, presto o
tardi, altri paesi possano potenzialmente diventare vittime dell'aggressione Russa. Le correnti azioni della Federazione Russa compromettono non solo la stabilità di un paese o di una regione, ma anche il mondo intero. Cambi i principi stabiliti di giustizia internazionale nel mondo e spinge per l'istituzione della legge del più forte.

    L'analogia delle invasioni dell'Unione Sovietica in varie regioni del mondo nel secolo scorso con le azioni odierne è evidente. Se a quei tempi, gli interventi sovietici nella repubblica Ceca, nella Slovacchia, in Ungheria eccetera venivano giustificati dall'esigenza di proteggere i diritti dei lavoratori, oggi stanno portando avanti le operazioni militari con la scusa di proteggere la popolazione Osseta.

    Noi, l'UYSG, sottolineiamo che i nostri principi guidanti sono la pace, la libertà ed i diritti dell'uomo e vorremmo esprimere la nostra preoccupazione contro l'aggressione russa, richiedere  un cessate il fuoco immediato delle operazione sul territorio di un paese sovrano ed insistere sull'immediata ritirata delle truppe russe dal territorio georgiano. Noi, l'UYSG, ci appelliamo a tutte le giovanili Socialiste, Social Democratiche, Laburiste e a tutte le organizzazioni giovanili progressiste, per le quali la pace, la libertà ed i diritti umani sono le questioni importanti, affinché esprimiate la vostra opinione verso l'aggressione russa. Oggi, come mai prima d'ora, il popolo georgiano necessità di supporto internazionale, quindi vi stiamo chiedendo di esprimere il vostro dissenso contro l'aggressione Russa nei vostri paesi presso le ambasciate e le rappresentanze diplomatiche russe, e sostenere ed esprimere la vostra solidarietà alla popolazione georgiana.

    Speriamo che il nostro appello non sia trascurato e che verranno prese le misure adeguate da parte vostra. Sperando nella vostra solidarietà

Timitri Tskitishvili
Presidente dell'Unione della Gioventù Socialista di Georgia