martedì 26 aprile 2016

UN MARE DI MORTI

Da Avanti! online www.avantionline.it/

 

Unhcr conferma la morte di circa 500 migranti nel naufragio del Mediterraneo. I sopravvissuti hanno raccontato che il barcone si è rovesciato a causa del sovraffollamento. Appello all'Ue per una nuova politica per gli insediamenti

 

Arriva la tragica conferma, circa 500 persone sarebbero morte a seguito del naufragio del barcone di migranti avvenuto nei giorni scorsi nel mar Mediterraneo. Lo ha confermato poco fa in una nota la portavoce di Unhcr per l’Europa meridionale, Carlotta Sami: “Abbiamo sperato fosse notizia infondata ma ieri sera abbiamo incontrato i superstiti a Kalamata”.

    A far luce sulla vicenda l’UNHCR, ma a diffondere la notizia è stato il quotidiano laburista The Guardian. L’Organizzazione umanitaria ha svolto ieri un’indagine a Kalamata in Grecia dove ha raccolto le testimonianze di 41 migranti originari di Somalia, Sudan, Etiopia ed Egitto. Queste persone hanno detto di essere state coinvolte – o di aver assistito – in un naufragio che sarebbe costato la vita a circa 500 migranti. Tra le 100 e le 200 persone sarebbero partite da un punto della costa libica presso Tobruk, in un’imbarcazione in pessime condizioni. Una volta al largo, i trafficanti avrebbero tentato di far salire a bordo altre persone che si trovavano su una barca più piccola. A causa del sovraffollamento, l’imbarcazione più grande sarebbe affondata. I 41, prosegue l’Unhcr, sono persone che non erano ancora salite a bordo dell’imbarcazione affondata o che hanno raggiunto quella più piccola a nuoto, dopo l’incidente. La barca ha poi vagato alla deriva prima di essere avvistata il 16 aprile. I sopravvissuti sono stati recuperati in mare il 16 aprile e nei giorni successivi sono arrivati a Kalamata, dall’UNHCR è stato poi precisato che la data del naufragio è ancora non chiara e senza specificare chi ha salvato i migranti.

    I sopravvissuti non saranno riportati in Turchia dal momento che sono partiti dalla Libia, un paese devastato dalla guerra e con il quale l’UE non ha ancora negoziato un accordo per i rimpatri. Inizialmente si pensava che il punto di partenza di quest’imbarcazione fosse la terra dei faraoni, l’Egitto. In effetti solo nelle ultime settimane la maggior parte dei profughi sbarcati in Sicilia partiti dall’Egitto, senza dimenticare che continua ad ampliarsi la rete di scafisti nella terra dei faraoni e nel sud Italia che promette viaggi illegali a partire da 4mila euro a passeggero.

    In una dichiarazione, l’UNHCR ha invitato l’Europa a fornire “un aumento dei percorsi regolari per l’ammissione di rifugiati e richiedenti asilo per gestire l’emergenza in Europa. Ulteriori possibilità per il reinsediamento, il ricongiungimento familiare, e i visti di lavoro e di studio”, perché “servono a ridurre la domanda di traffico di esseri umani e di viaggi in barca pericolosi”.

    In effetti sembra che sia servito a poco all’Italia l’accordo con la Turchia. Gli sbarchi dal Continente africano continuano inesorabilmente e la Penisola italica resta il punto di approdo più vicino. La scorsa settimana l’Oim ha fatto sapere che in soli tre giorni (dal 12 al 15 aprile) sono sbarcati in Italia quasi 6mila migranti. Il dato, diffuso dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni sul suo sito, richiede un nuovo aggiornamento dei numeri diffusi dal Viminale tre giorni fa, secondo cui quest’anno gli arrivi via mare sono stati 24mila, il 25% rispetto allo stesso periodo del 2015. Solo il 15 aprile, in prima mattinata, sono stati 357 gli arrivi a Messina. Oltre 4.100 migrati sono stati salvati nel canale di Sicilia nell’arco di 48 ore a partire da lunedì e nove persone sono morte.

 

Redazione Avanti! - Vai al sito dell’avantionline

 

Sciopero metalmeccanici, adesioni sopra il 75%

LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it

 

Partecipazione superiore a tutte le aspettative alle manifestazioni. “Ora Federmeccanica cambi posizione", è la richiesta di Fim, Fiom e Uilm. "È importante per tutto il sindacato – aveva sottolineato il segretario generale Camusso esprimendo pieno sostegno a Landini – che i meccanici, unitariamente, rinnovino il loro contratto con il supporto e coerentemente con la proposta di modello contrattuale che abbiamo elaborato insieme a Cisl e Uil". Landini: "I lavoratori vogliono il contratto, le aziende non si assumano la responsabilità di uno scontro".

 

Superiore a tutte le aspettative la riuscita dello sciopero generale di 4 ore indetto unitariamente da Fim, Fiom e Uilm a sostegno della vertenza per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. A livello nazionale, l'adesione allo sciopero del primo turno è andato oltre il 75%. Particolarmente significativa l'astensione dal lavoro alla Comer Industries (Reggio Emilia) - l'azienda del presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi – dove dei 430 dipendenti, ha scioperato il 90% dei lavoratori, e alla GE&Oil Gas di Firenze – azienda dalla quale proviene l'attuale direttore generale dell'organizzazione datoriale dei metalmeccanici, Stefano Franchi, che ha registrato il 70% di sciopero. E' quanto si apprende da una nota congiunta.

    Questo il dato in particolare delle aziende più rappresentative.

Abruzzo: Denso 91%; Alto Adige: Acc. ValBruna 90%; Valle D’Aosta: Cogne 70%; Basilicata: Aziende indotto Melfi 55%; Calabria: Hitachi e Nuovo Pignone 100%; Campania: Aziende Finmeccanica di Napoli oltre 80%; Hitachi 75%; Emilia Romagna: Lamborghini 89%, GD 80%, Ducati energia 70%; Friuli Venezia Giulia: Electrolux 70%; Lombardia: Acciaierie Arvedi 90%, ST Microelectronics 60%,

    Tenaris Dalmine 90%, Brembo 80% e Kone 100%, AgustaWestland 90%, Whirpool 65%, Beretta 80%; Marche: Whirpool 90%, Fincantieri 90%; Piemonte: Alstom 85%, SKF 70%, GE Avio 90%, Marcegaglia 90%, Finmeccanica 80%; Lazio: ABB Sace 80%, Finmeccanica 75%, Almaviva 60%, Vitrociset 55%, Liguria: Ansaldo 75%, ILVA 85%, Esaote 80%; Puglia: ILVA 40%, Finmeccanica Foggia 90%, Finmeccanica Brindisi-Taranto 70%, BOSCH 90%; Sicilia: ST Microeloctronics 60%, Indotto petrolchimici Siracusa-Milazzo-Gela 90%, Fincantieri 80%, Toscana: Piaggio 80%, Finmeccanica 96%, Hitachi Rail 80%, Bekaert 66%; Trentino: Gruppo DANA 56%. Umbria: AST 80%, OMA 90%; Umbria Cuscinetti 60%; Veneto: Electrolux 90%, Carraro 66%, Fincantieri 97%, Ferroli 82%, Valbruna 80%, Riello 85%, Alcoa 91%; Sardegna: Appalto Saras 90%, Cosmin 90%, Remosa Service 90%.

    Grande partecipazione anche alle manifestazioni e ai presidi che si sono svolti in quasi 100 piazze italiane.

    Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, concludendo la manifestazione di Napoli ha spiegato: “I dati dell’adesione allo sciopero smentiscono le previsioni del presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi. I lavoratori hanno capito che bisogna cambiare, serve un contratto di svolta che non lasci per strada nessuno. Federmeccanica ci aveva lanciato una sfida: quella di oggi è la risposta più forte che potevamo dare. Già da stasera quello che devono fare gli imprenditori metalmeccanici è riaprire la trattativa e fare il contratto”.

    Maurizio Landini, dal palco di Milano davanti ad Assolombarda, ha dichiarato: “Questo è il momento per il Paese di far ripartire l'economia. La riuscita dello sciopero dimostra come i metalmeccanici vogliano il rinnovo del contratto nazionale, un loro diritto. Federmeccanica da domani deve riaprire il tavolo delle trattative, non credo voglia assumersi la responsabilità di uno scontro del quale adesso il Paese non ha bisogno”.

    Rocco Palombella, concludendo il comizio davanti all'Unione industriali di Reggio Emilia: “Federmeccanica cambi la sua proposta contrattuale, a partire dal salario, e ci convochi al più presto al tavolo negoziale. E’ inammissibile che i vertici degli imprenditori metalmeccanici ci propongano di dividere un milione e seicentomila addetti del settore con aumenti differenziati e paghe altrettanto differenti”.

 

 

mercoledì 20 aprile 2016

RIFORME IN STILE “TEMPA ROSSA”

di Felice Besostri *)

 

Nella mia prima e unica esperienza parlamentare nella XIII legislatura fui assegnato alla Prima Commissione "Affari Costituzionali" del Senato in quanto ricercatore confermato di diritto costituzionale italiano e comparato. Con l'entusiasmo del neofita quando presentavo in commissione emendamenti aggiungevo la motivazione, cioè a cosa serviva e quali problemi intendeva risolvere. Nella stampa degli atti, però la motivazione scompariva. Ho chiesto spiegazioni ai funzionari e mi spiegarono che si era sempre fatto così. Poi mi fu fatto capire che avrei messo in imbarazzo i miei colleghi e che non stava bene darsi delle arie. La mia fonte di ispirazione era stata la Spagna democratica dove a ogni testo di legge era premesso Motivos de la ley, così che la cosiddetta volontà del legislatore fosse chiara a tutti e non solo agli esperti costituzionalisti.

    Col senno di poi avrei dovuto insistere, così chi avesse voluto presentare emendamenti del tipo "Tempa Rossa" avrebbe dovuto motivarli: forse ci sarebbe stato da ridere, perché le motivazioni vere non sarebbero mai state scritte.

    Sono stato relatore di disegni di legge importanti, per cinque anni ho avuto la responsabilità della legge comunitaria che doveva dare attuazione alle direttive comunitarie. Poco alla volta cominciai a capire il ruolo di essere relatore: si doveva tener conto degli equilibri politici complessivi e della posizione del governo. Sia chiaro anche che un emendamento non poteva passare se il relatore dava parere contrario. Un emendamento ha bisogno di avere a disposizione un progetto di legge di sicura approvazione, tipo il mille proroghe o, una volta, la legge finanziaria. Non basta che un emendamento sia "giusto", occorre che sia anche "tempestivo". A distanza di anni devo confessare che approfittai del mio potere di relatore, quando si trattò di dare attuazione alla direttiva sull'igiene alimentare.

    Amo i prodotti tipici della nostra Italia e mi resi conto che se la direttiva passava così com'era, i formaggi di fossa e il lardo di Colonnata sarebbero stati condannati alla sparizione, come tanti altri prodotti lavorati non in contenitori inox in laboratori senza pavimenti in linoleum. Allora introdussi un emendamento per cui, quando determinati metodi di conservazione e lavorazione fossero essenziali per le qualità organolettiche di un prodotto, si potesse derogare ad alcune prescrizioni. Passò senza problemi, si continuò a fare formaggi nelle malghe di alta montagna anche se non avevano due bagni eccetera.

    In un sistema bicamerale bisognava sapere in quale ramo del Parlamento presentarlo. Una volta, quando i presidenti erano più esperti, la loro struttura vigilava sugli emendamenti respinti da un ramo del Parlamento affinché non rispuntassero nell'altro: con Tempa Rossa non è successo.

 

In una assemblea di presentazione delle ragioni del NO al referendum costituzionale, un cittadino anziano mi ha chiesto di spiegargli cosa significasse l'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 39 che recita: "Restano validi ogni effetto i rapporti giuridici, attivi e passivi, instaurati anche con i terzi".

    Ho risposto che una norma del genere non c'entra nulla con una Co­sti­tuzione sia pure come norma transitoria e finale. Siamo all'as­sur­do. Sono sicuro che l'ex ministro Guidi non c'entra con questo emen­da­men­to (costituzionale!): non sento in quelle parole odor di petrolio, ma c'è sicuramente una responsabilità del governo e della ministra Boschi. Non è mai passato un emendamento senza il consenso del Governo, visto che è suo il ddl costituzionale.

    Qualcuno che se ne intende mi ha sussurrato che se quella norma ve­nisse stralciata, io mi sarei giocato il vitalizio… Io dico che a mag­gior ragione questa "deforma costituzionale" va combattuta e battuta. E la battaglia in difesa della Costituzione vale per me più del vitalizio.

    È un grave scandalo. Non ho approfondito chi abbia introdotto la norma, non presente nel testo iniziale, ma intendo qui lanciare un appello alla decenza. E, ciò facendo, mi richiamo agli artt. 54 e 67 della Costituzione per i quali "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore" e "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione".

 

 

IPSE DIXIT 

Non si tratta - «Non si tratta di enfatizzare quello che non sarà un muro invalicabile. Non sarà la muraglia cinese. Ma il suo valore simbolico è quello che straccia gli accordi di Schengen. Non è la frontiera con un Paese in guerra. Non è la frontiera con una Paese incapace di garantire la sua circolazione interna. È la frontiera con un Paese fondatore dell'Europa, come è l'Italia. Le accuse sulla gestione non facile dell'arrivo dei migranti… ci potranno anche stare. La chiusura di una frontiera è uno schiaffo in faccia dato da chi lezioni storiche non ne può certo dare». – Enrico Mentana

 

 

mercoledì 13 aprile 2016

L'ITALIA NON SI TRIVELLA

Riceviamo e volentieri rilanciamo

 

Il 17 aprile, in Italia e all'estero, vota SI

 

Cosa si chiede esattamente con il referendum del 17 aprile 2016?

 

Con il referendum del 17 aprile si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.

 

Perché questo referendum? - Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi

balene produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3 delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche.

 

POSTI DI LAVORO - Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso.

Se al referendum vincerà il “Sì”, le società petrolifere che hanno ottenuto una concessione nel 1996 potranno estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre. C'è tutto il tempo per riconvertire al meglio in termini ecologici e sostenibili la ricerca e la produzione energetica.

 

Per maggiori informazioni vai al sito ufficiale

del coordinamento nazionale NO alle Trivelle

http://www.notriv.com

  

 

Riceviamo e volentieri rilanciamo

 

“VOTA SI’ PER FERMARE LE TRIVELLE”

 

17 APRILE 2016 – REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLE

APPELLO DEL COMITATO NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI

 

Il 17 aprile 2016 il popolo italiano sarà chiamato a votare per il Referendum contro le Trivelle in mare. L’invito è di votare SI’ per abrogare la norma introdotta dall’ultima Legge di Stabilità che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas che insistono nella zona di mare vicina alla costa di non avere più scadenza. Con la Legge di Stabilità 2016, infatti, le licenze già in essere entro le 12 miglia dalla costa sono diventate “sine die”.

Le trivelle sono il simbolo tecnologico del PETROLIO: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. La vera posta in gioco di questo Referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale per un’economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata. Non dobbiamo continuare a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile, ma affermare la volontà dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per pochi barili di petrolio non vale certo la pena mettere a rischio il nostro ambiente marino e terrestre ed economie importanti come la pesca e il turismo, vere ricchezze del nostro Paese. Intanto, mancano strategia e scelte concrete per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla COP21 nel vertice di Parigi per combattere i cambiamenti climatici, in cui si è sancita la volontà di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C.

    Quindi il vero quesito è: Vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?

    Al Referendum del 17 Aprile inviteremo i cittadini a votare SI’, perché vogliamo che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e la febbre del Pianeta.

    Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’Election Day che avrebbe permesso l’accorpamento del Referendum con le elezioni amministrative, ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto, puntando così sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum.

    Il Governo sta scommettendo sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.

    Per essere più efficaci, abbiamo costituito il Comitato nazionale “Vota SI’ per fermare le trivelle” per unire le forze di tutte le organizzazioni sociali e produttive affinché la Campagna referendaria diventi l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le scelte energetiche strategiche che dovrà fare il nostro Paese, per un’economia più giusta e innovativa. Ci impegniamo ognuno nel proprio ambito e insieme per invitare gli italiani a recarsi al voto e votare SI’.

    Il Comitato nazionale promuoverà comitati territoriali per moltiplicare la mobilitazione e diffondere capillarmente l’informazione in tutti i territori e metterà a disposizione strumenti comuni di comunicazione, di approfondimento e di mobilitazione. Inoltre, si coordinerà con i Comitati delle Regioni proponenti il Referendum.

    Invitiamo tutti e tutte: organizzazioni sociali, istituzioni territoriali, imprese che investono sulla sostenibilità, singoli cittadini/e, giovani e anziani a mobilitarsi con entusiasmo e creatività per far vincere il SI’

 

PRIMI FIRMATARI - Adusbef, Aiab, Alce Nero, Alleanza Cooperative della Pesca, Arci, Arci Caccia, Aref International, ASud, Associazione Borghi Autentici d'Italia, Associazione Comuni Virtuosi, Associazione nazionale Giuristi Democratici, Associazione della Decrescita nazionale, Club Amici dei Borghi Autentici, Coalizione Mantovana per il clima, Coordinamento nazionale NO TRIV, Confederazione Italiana Agricoltori, Cospe, Energoclub, Fairwatch, Fare Verde, Federazione Italiana Media Ambientali, Fiom-Cgil, Focsiv – Volontari nel mondo, Fondazione Slow Food per la Biodiversità, Fondazione UniVerde, Giornalisti Nell'Erba, Green Cross, GreenBiz.it, GreenMe.it, Greenpeace, Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, Kyoto Club, Innovatori Europei, Italia Nostra, La Nuova Ecologia, Lav, Leaf, Legambiente, Libera, Liberacittadinanza, Link Coordinamento Universitario, Lipu, Lunaria, Marevivo, MEPI–Movimento Civico, Movimento Difesa del Cittadino, Movimento per la decrescita felice, Pro-Natura, QualEnergia, Rete degli studenti medi, Rete della Conoscenza, RSU Almaviva, Salviamo il Paesaggio, Sapienza In Movimento, Sì Rinnovabili No nucleare, Slow Food Italia, Soc. Coop. E’ Nostra, Soc. Coop. Retenergie, TerrediLago, Touring Club Italiano, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Unione Produttori Biologici e Biodinamici, WWF, Zeroviolenza

  

 

giovedì 7 aprile 2016

La partita tra Salvini e Maroni

Da CRITICA LIBERALE - riceviamo e volentieri pubblichiamo

  

“Critica liberale” si arricchisce una nuova rubrica di critica politica che si chiamerà “la biscondola” e sarà curata da Paolo Bagnoli. Ne riportiamo di seguito la prima puntata.

 

di Paolo Bagnoli

 

Spieghiamo: perché  “biscondola” per titolare una rubrica di critica politica? È semplice: per posizionare il luogo visuale dell’analisi; di un ragionamento, cioè, che nasce in un angolo riparato – quello della critica, appunto – ai lati di un vasto “giardino” accarezzato dal vento e privato dei pochi, magari, raggi del sole che in quel giorno vi possono essere. Una biscondola, ossia un luogo appartato in un campo largo nel quale il buon tempo è una rarità di cui forse si è persa la memoria. Una metafora, quindi, per esprimere un luogo non separato dall’insieme, ma che sviluppa il proprio ragionamento dall’esterno, ma dal di dentro  secondo il metodo della libera  critica.  

    Che la politica italiana viva, da lungo tempo, una stagione decoattiva è sotto gli occhi di tutti. E se è sempre stato difficile spiegare la politica italiana quando essa rappresentava ancora un sistema, lo diventa ancor di più via via che esso si sta sfarinando. Ciò non esime dalla necessità di capire; soprattutto, quanto vi è di più intimo nel mutuarsi interno delle forze politiche la cui lotta  intestina, nella manifesta grezza ruvidità, fa emergere i fili di trame sofisticate, ma di non difficile interpretazione una volta colta la chiave del progettismo che anima i due campi  contrastantisi e quanto si muove all’interno di essi.  

    Da giorni risuona quanto avviene nella destra dello schieramento politico in preparazione delle prossime elezioni amministrative. Se si eccettua Milano, ovunque si registra una rottura tra la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi. Il rapporto stretto instauratosi tra la Lega e Fratelli d’Italia sembra incedere a grandi passi alla costituzione di un fronte lepenista anche in Italia e, sul piano politico, ciò giustifica, almeno formalmente, il distacco dal vecchio e tristemente patetico leader di Arcore. La partita per il Comune di Roma rappresenta l’ambito simbolico della nuova situazione. Non crediamo che il tutto si fermi qui. Sicuramente c’è un’acquisizione lepenista della Lega salviniana, ma vi è ben altro, ben più pesante e ancora in parte sottotraccia. Vogliamo dire che Salvini cuoce Berlusconi per colpire a fondo Roberto Maroni.

    Che tra i due vi sia una differenza di visione politica è cosa nota; ma non è tanto ciò quanto sembra pesare, bensì che occorra fermare il prima possibile ogni ambizione di Maroni a fare, alle prossime elezioni, il candidato del centrodestra alla presidenza del consiglio. Se accadesse, la cosa  implicherebbe due conseguenze dirette: continuare a tenere Berlusconi in campo e porre Maroni ben al di sopra di Salvini nella dirigenza della Lega. Ci sembra che proprio questo secondo fattore tolga il sonno all’attuale segretario leghista in quanto, sia che Maroni dovesse farcela oppure no, è chiaro che, per quanto concerne la Lega, il vincitore, prenderebbe in mano il partito e, nel caso della sconfitta, il perdente sarebbe solo Salvini. A tutto ciò, naturalmente si legano poi tutte le possibili derivate politiche del caso: questo, tuttavia, ci sembra essere il nocciolo. Va da sé che, in un caso come nell’altro, Berlusconi e quanto resta di se stesso, è destinato a dissolversi in modo  accelerato.  

    Il caso del Comune di Milano, nel contesto, ha sì una sua specificità, ma esso non cambia la dinamica della partita in gioco.  

    Sono tutte tristezze di una democrazia che ci pare al tramonto; ognuno dei due schieramenti, nella specificità propria e implosione delle relative questioni, vi concorre. L’orizzonte del cambiamento, come è nelle cose, si allontana quanto più un desiderato cammino ci direbbe che esso si  avvicina.

 

Vai al sito di Critica liberale