giovedì 9 luglio 2015

Paradigmi

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E ora l’Asse…

 

Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo, proclami e tweet a parte? Le stupefacenti ragioni della nostra assenza in politica estera, a cominciare dal passato “Semestre europeo” a guida (?) italiana.

 

di Carlo Correr

 

Pensavamo, e non da soli, che la ragione della mancanza di iniziativa in politica estera dell’Italia dipendesse soprattutto dalla personalità degli esponenti politici incaricati ai diversi livelli di occuparsene: da Paolo Gentiloni, a Federica Mogherini, passando per Matteo Renzi.

    Sui temi cruciali per il futuro dell’Italia, e dell’Europa, immigrazione, crisi ucraina e crisi greca, il Governo in un anno e mezzo di vita non ha lasciato praticamente traccia dietro di sé.

    I vertici che si sono svolti negli ultimi mesi, hanno visto sempre in prima fila, la coppia Hollande – Merkel, e poi Merkel da sola. E questo nonostante il fatto che si discutesse di problemi di rilevanza strategica per il nostro Paese e per il Continente. Non serve neppure ricordare quale importanza abbia per noi avviare a soluzione il fenomeno dell’immigrazione clandestina, oppure quello delle sanzioni alla Russia di Putin o ancora gli effetti di una possibile (probabile?) grexit sull’economia italiana.

    Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo, proclami e tweet a parte?

    Zero. Zero carbonella.

    Ma la cosa stupefacente è scoprire oggi le ragioni di una tale ‘assenza’, o meglio di una fantasmatica presenza (a cominciare dal passato Semestre europeo a guida italiana). Per questo ci viene in soccorso l’addetta dell’ufficio stampa ufficioso di Palazzo Chigi che fa uscire le sue veline sul principale quotidiano nazionale del Paese. Ebbene oggi – in concomitanza con la presenza del nostro Presidente del Consiglio all’università Humboldt a Berlino – ci ha spiegato che Renzi ha deciso scientemente di aspirare a essere la ‘spalla’ di Angela Merkel per scavalcare, a destra, l’altro temibile concorrente, il francese François Hollande. Sì, insomma, che a partire dalla questione greca ha scelto di ricalcare fedelmente, e presumiamo ossequiosamente, le posizioni del Governo tedesco per non arrivare dopo François.

    Beh, questo è già qualcosa. Temevamo che la nostra poco patriottica inazione, fosse il frutto di pura incapacità, tanto che diversi, Claudio Martelli ad esempio, rimpiangono personalità come Massimo D’Alema o Enrico Letta. E invece no.

    Qui siamo di fronte a una scelta strategica! Dalle parti di Palazzo Chigi si è preso atto che l’Europa è a guida tedesca (eppure Angela Merkel non l’hanno eletta gli europei, ma solo i tedeschi …) e quindi, ci dicono, tanto vale stare subito col vincitore anziché arrivare tardi in suo soccorso (come avrebbe detto quel gran genio di Ennio Flaiano).

    La Germania sembra sulla strada della ripetizione di un errore tragico. Ignora il monito di Helmuth Kohl (un gigante rispetto ad Angela Merkel) che era meglio avere una Germania europeizzata piuttosto che un’Europa germanizzata.

    E l’Italia?

    Con il Bel Paese siamo – come si intuisce da quanto trascrive la collega sulla colonne del giornalone – alla riscoperta dell’‘Asse’ con quasi 80 anni di ritardo. E considerando come andò a finire allora (stessa leggerezza nell’analisi e stessa mancanza di solidi presupposti), suggeriamo al nostro Presidente del Consiglio che forse sarebbe il caso di rifletterci meglio prima di imboccare questa strada. O no?

 

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Da lUnità

di nuovo in edicola e in rete

http://www.unita.tv/

 

Atene, il Pd, la sinistra.

 

Intervista con Gianni Cuperlo

 

Mario Lavia intervista Gianni Cuperlo. Dagli ultimi sviluppi della crisi greca ai problemi del Pd e alla difficile ricerca di un’unità interna.

 

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FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Due paradigmi in lotta

 

L’idea che mi sono fatto della questione greca è che il braccio di ferro infinito fra il governo e la Troika non sia tanto per una questione di soldi, quanto di potere.

 

di Riccardo Campa

 

La situazione, più o meno, è la seguente. La Grecia ha un debito di 330.000.000.000 di euro, non ha un soldo in cassa, e non beneficia nemmeno del Quantitative easing. Ne è stata esclusa, anche se è il paese che ne avrebbe maggiormente bisogno, essendo in deflazione acuta. Il rapporto debito/PIL è aumentato negli ultimi cinque anni fino a raggiungere il 180%, a causa – su questo ci sono pochi dubbi – delle politiche di austerità. Per restituire una minima parte del debito, la Grecia dovrebbe ora cavare altro sangue ai cittadini, applicando il taglio delle pensioni, il licenziamento in massa dei lavoratori pubblici e l’aumento delle tasse sulle strutture alberghiere. Con la certezza di accelerare la spirale recessiva, facendo calare ancora il PIL e affossando l’ultima risorsa economica: il turismo. Sennonché i greci hanno eletto Alexis Tsipras proprio perché non vogliono morire di fame, magari per restituire solo l’1% del debito. Perché di questo si tratta. Non di tutto il debito, che non sarà mai ripagato. Così come non sarà mai possibile estinguere quello italiano. Ci sono in scadenza rate per 27 miliardi di euro. La Grecia chiede una ristrutturazione del debito, oppure un prestito di altrettanti miliardi, con un tasso d’interesse non usuraio, intorno all’1,5%, con scadenza a 30 anni. Altrimenti l’operazione non ha senso. Ovviamente i creditori si irrigidiscono. Dal loro punto di vista hanno perfettamente ragione, perché significa fare un pessimo affare. Così come hanno le loro buone ragioni i greci, quando dicono che non si tratta solo di affari, ma di vite umane e di sovranità. Si scontrano dunque due paradigmi: quello del primato dell’economia e quello del primato della politica.

    La tensione tra le due concezioni del potere non nasce oggi, ma proprio ora i nodi vengono al pettine. La visione neoliberista del mondo ha preteso e pretende che gli Stati-nazione funzionino esattamente come aziende. Non possono battere moneta, devono finanziarsi sui mercati secondari, devono rinunciare alla sovranità sulle materie più disparate, devono aprire i confini alla circolazione di merci e lavoratori. Tuttavia, il mondo finanziario sembra non voler accettare anche l’ipotesi che gli Stati-nazione possano fallire e non onorare i debiti, come qualsiasi azienda del resto. Insomma, devono essere mucche da latte, magari magre e rinsecchite, ma immortali.

    Perché l’eventualità del default fa letteralmente imbufalire i creditori? In fondo, in passato, hanno perso miliardi investendo in aziende con bilanci vicini a quelli di un piccolo Stato, come Enron o Lehman Brothers. La differenza è che le aziende e i loro C.E.O. sono in linea di principio perseguibili e punibili. I bancarottieri, se non sono abbastanza immanicati da farsi salvare con gli aiuti di Stato, finiscono in galera e si può attingere a quello che resta del loro patrimonio. Però, mica si può mettere in carcere un governo e l’intero popolo che lo ha eletto, né sequestrargli i beni. Chi manderà la polizia giudiziaria ad arrestare l’esercito greco, magari spalleggiato da quello russo?

    E allora? E, allora, l’unica speranza che restava ai creditori era quella di distruggere definitivamente “la politica”. Ossia demolire la reputazione dei rappresentanti del popolo, dei tribuni della plebe – mostrando che i politici, se non sono corrotti, sono incoerenti – affinché non si ripeta più in futuro una situazione come quella attuale. Che situazione? La situazione di una classe politica che viene eletta, gode della fiducia degli elettori, fa esattamente quello che gli elettori gli hanno chiesto di fare (anche se magari è una fesseria), e se questo non è possibile chiede ai cittadini di esprimersi direttamente con un referendum. Ovvero, l’assoluta normalità della vita democratica. E, invece, per la grande finanza e i suoi mandarini di Bruxelles il referendum greco è “un golpe”. Insomma, capovolgono anche il senso delle parole. Ma non è una novità. Per avere soltanto pronunciato la parola “referendum”, il socialista Papandreu si è dovuto dimettere. E il suo partito è scomparso dalla scena.

    Quello che si sta profilando non è uno scenario roseo per la Grecia. Ma è anche lo scenario peggiore per la BCE, il FMI e la Commissione europea. Se fossero riusciti a umiliare Tsipras – ovvero a raggiungere quello che, a mio modesto avviso, era il loro obiettivo reale e realistico – alla prossima tornata elettorale Syriza si sarebbe liquefatta come si è liquefatto il PASOK, la gente si sarebbe persuasa che votare è inutile e avrebbe disertato le urne, e il problema dell’allocazione del potere sarebbe stato risolto: sarebbe rimasto saldamente in mano alle elite finanziarie, per i decenni a venire, magari attraverso altre cessioni di sovranità.

    La Troika, però, non ha messo in conto che questo è lo stesso scenario al quale punta Alba Dorata. Lo hanno detto a chiare lettere: «Syriza vince le elezioni, viene messa con le spalle al muro dalla finanza globale, applica le misure lacrime e sangue, e poi arriviamo noi». E se l’ultimo baluardo della politica rimane il nazismo, forse non ci resta che fare il tifo per Tsipras.