mercoledì 17 giugno 2015

Depotenziare il Contratto Collettivo?

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Depotenziare il Contratto Collettivo?

In troppi ne pagherebbero le conseguenze

 

La volontà di Renzi di privilegiare la contrattazione di secondo livello afferma l'idea di un mercato duale, con una minoranza che gode dei benefici della produttività e la maggioranza destinata a salari marginali.

 

di Guido Iocca

 

Al presidente Renzi, si sa, il sistema di relazioni con le parti sociali interessa, ma solo a patto che sia lui a dettarne le regole. Così, ben venga (in linea del tutto teorica, beninteso) l’interlocuzione con Cgil, Cisl e Uil, ma vuoi mettere quanto sarebbe meglio se le organizzazioni dei lavoratori si riducessero a una? Quanto risulterebbe semplificato lo scenario negoziale senza più “sigle su sigle”?

    Parole dal retrogusto decisamente autoritario, che mandano con un sol colpo a farsi benedire l’idea di sindacato unitario, cara in particolare alla segretaria generale Cgil Susanna Camusso, poggiata per anni sulle solide basi di un assunto che fino a ieri sembrava di senso comune, e cioè che il pluralismo tra le confederazioni rappresenta la migliore garanzia a sostegno della democrazia nei luoghi di lavoro.

    E pazienza se la nostra Costituzione, all’articolo 39, dice che le modalità che disciplinano il diritto di associazione sindacale sono libere e non è appannaggio di nessuno imporle (né tantomeno, facendo leva su di una posizione di potere, suggerirle). Ciò che più conta è l’agibilità politica del presidente del Consiglio e dei suoi più stretti collaboratori.

    Ma come si spiega questo pesante sconfinamento in campo altrui da parte di Matteo Renzi? Cosa nasconde il suo iperattivismo sul versante delle riforme sociali? L’uscita sul sindacato unico è solo l’ultima di una lunga serie di interferenze – dalla legge sulla rappresentanza alla ventilata stretta sugli scioperi nei servizi pubblici – che suonano come un appello rivolto alle associazioni sindacali (tutte, anche quelle a difesa degli interessi delle imprese) a rinnovarsi al più presto, seguendo però un canovaccio che lo stesso premier ha la pretesa di metter loro a disposizione.

    E tra le tante idee lanciate negli ultimi tempi, nel mirino dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi sembra esserci, più di ogni altra cosa, il trasferimento delle prerogative fondamentali della contrattazione da quella nazionale di categoria a quella aziendale, la carta su cui principalmente intende puntare – spalleggiato dagli autorevoli punti di vista di Sergio Marchionne e, più di recente, di Mario Draghi – per rilanciare la produttività nel nostro paese.

    Il fatto è che lo spostamento delle voci salariali sul livello di contrattazione legato alla produttività, con il risultato di un sostanziale svuotamento del ccnl, a cui non rimarrebbe che una mera funzione regolatoria, vede le tre sigle confederali attestate su posizioni diverse. Più inclini al confronto Cisl e Uil (ferme comunque nel proporre una formula che preveda meccanismi di salvaguardia laddove non si faccia negoziazione decentrata), più decisa nella difesa del ruolo del contratto nazionale la Cgil.

    Un orientamento, quello del sindacato di corso d’Italia, bollato – soprattutto negli ambienti vicini al presidente del Consiglio – come conservatore, quando non addirittura rigidamente ideologico. Stanno veramente così le cose? Chi lo sostiene parla a sproposito, dimostrando come minimo una discreta dose di malafede. Non si può far finta di non sapere che la pratica della contrattazione di secondo livello è diffusa soltanto in una piccola parte del mondo del lavoro. Ignorarlo significa riproporre l’idea di un mercato duale: da un lato, una minoranza di lavoratori che può ambire ai benefici della produttività e, dall’altro, la maggioranza, destinata a condizioni salariali marginali.

   

                

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A quarant’anni da quell’omicidio

 

La notte del 12 giugno del 1975 venne freddato con due colpi d’arma di fuoco il giovane esponente di Lotta continua Alceste Campanile. Lo conoscevo bene. Era reggiano e studente, come me, all’Università di Bologna.

 

di Mauro Del Bue

 

Qualche volta avevamo suonato la chitarra insieme, con un amico comune. In qualche bettola di periferia, immersi fino al collo entrambi tra musica e politica. Era appena tornato da un esame, superato brillantemente, aveva lasciato il libretto universitario sotto l’uscio di casa e si era diretto verso una discoteca di Montecchio, tra Parma e Reggio, molto frequentata dai giovani. Il suo corpo è stato ritrovato in una stradina di campagna a metà strada tra Sant’Ilario e Montecchio.

    Alceste aveva militato nel Fronte della gioventù, organizzazione di estrema destra, prima di aderire a Lotta Continua e la prima sensazione che ci pervase fu quella della consumazione di una feroce vendetta di stampo fascista verso un ragazzo accusato di tradimento. Nel pomeriggio si tenne una grande manifestazione, promossa dal comitato antifascista, in cui noi giovani socialisti ci battemmo, contrastando su questo i comunisti, perché anche gli esponenti di Lotta continua potessero parlare. Il giorno del funerale decine di migliaia di militanti di Lotta Continua, con Adriano Sofri in prima linea, tennero un’imponente manifestazione inneggiando però anche alla lotta armata.

    Da allora la magistratura si è imbattuta nel muro di silenzi e sospetti, prevalentemente animati dal padre di Alceste, che si orientavano verso la parte opposta rispetto a quella preventivata. In particolare negli ambienti bolognesi dell’estremismo venne riportata all’ex dirigente di Lotta continua Marco Boato una ricorrente intimazione a stare attenti, si disse, “altrimenti farai la fine di Alceste Campanile”. Si cercarono responsabilità soprattutto in quell’area dell’estremismo armato che serviva per la vigilanza di Lotta Continua, si ipotizzò anche un rapporto stretto tra il sequestro e il delitto Saronio e quello di Alceste. Si dichiarò che parte del denaro sarebbe transitato da Reggio e proprio da Alceste.

    Mai nessun pentito, fino al 1999, ebbe qualcosa di concreto da dichiarare sul delitto Campanile, contrariamente a tutti gli altri. Si pensò dunque ad un omicidio molto particolare. Poi, appunto nel 1999, Paolo Bellini, coinvolto in delitti di mafia, elemento di estrema destra, in combutta con pezzi di servizi segreti deviati, fuggito in Brasile e tornato in Italia sotto falso nome, dopo il suo arresto avvenuto in un noto ristorante reggiano, ha aperto il sacco confessando di essere stato lui, assieme a un suo compagno di Avanguardia nazionale, ad uccidere Bellini su ordine di un terzo, un noto leader di Avanguardia nazionale. Il movente tornava ad essere quello dei tradimento e si aggiungeva quello di un attentato non riuscito che Campanile avrebbe ordito contro l’abitazione dei Bellini.

    Però gli altri due chiamati in causa da Bellini sono stati assolti. Dunque la sua resta una verità incompleta visto che le pistole che spararono furono due. Ammesso che Bellini abbia detto la verità, visto che per il delitto Campanile non ha dovuto scontare nemmeno una condanna, perché i 22 anni del processo ultimato nel 2007 sono andati in prescrizione, e visto che di delitti ne aveva commessi otto o nove, certificati e dunque anche gli anni comminati non avrebbero appesantito più di tanto la sua posizione, restano ancora tante domande. La magistratura intende evitare, dopo che almeno il secondo colpevole, oltre al mandante, sono ancora sconosciuti, la celebrazione di un nuovo processo? Come è possibile credere a Bellini se ha detto il falso su chi lo accompagnava e su chi ha inviato i due a consumare il delitto? A me pare che il delitto Campanile sia ancora avvolto nel mistero.

 

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IPSE DIXIT

 

Tutti parlavan de’ mali - «Tutti parlavan de’ mali, e per rimedio proponevan veleni».

Ferdinando Galiani