lunedì 23 giugno 2014

IL DIBATTITO SULLE RIFORME

Fermatevi

di Pietro Folena

Prima che sia tardi Matteo Renzi e i suoi consiglieri, con l'appoggio di larga parte dell'ex-minoranza, dovrebbero evitare un cortocircuito traumatico nella coscienza del Paese. Non basta evocare i “voti”, come si è fatto in queste ore, mentre scrivo queste righe: non c'è voto, né “plebiscito” che giustifichi atti di prepotenza e di intolleranza come quello che ha visto il PD cacciare Vannino Chiti e Corradino Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali perché non “allineati”. Non ho memoria, in epoche recenti, di un atto di questa brutalità. Il tema va al di là del merito della riforma: viene messo in discussione un principio costituzionale sacro, e cioè la non esistenza di un vincolo di mandato del parlamentare, il quale non deve rispondere al partito, ma alla sua coscienza, interpretando lì il senso del mandato ricevuto.

Ricordo le sacrosante polemiche bersanian-renziane contro Beppe Grillo quando a più riprese è intervenuto per imporre un vincolo agli eletti del M5S. Oggi Anna Finocchiaro, che presiede la Commissione, giustifica questa sostituzione affermando che il problema della libertà di coscienza esiste solo per l'Aula!

Non si sta discutendo della fiducia al Governo né della legge di stabilità; né di temi come quelli del lavoro, su cui le sensibilità nel PD sono molto differenti, e acute; e neppure della pace – chi scrive nei DS, in Commissione e in Aula, votò a più riprese in dissenso all'epoca di controverse decisioni sulle missioni militari, senza mai subire atti di imperio paragonabili a questo.

Qui si discute di Costituzione, di una materia di per sé al riparo, più di ogni altra, da diktat delle nomenklature di Partito.

Il PCI, nell'era del Cominform, affrontò la formulazione della Costituzione con un'apertura e una disponibilità ben superiori rispetto a quelle dimostrate ora.

I quattordici senatori del PD hanno fatto bene a autosospendersi. Bisogna chiamare i vertici del Partito a riflettere, e a tornare indietro, sperando che sia solo l'inesperienza ad aver provocato questo autogol. Bisogna invitare i circoli e gli iscritti a esprimersi sulla questione.

Matteo Renzi ha vinto largamente. Ma farebbe un errore a voler stravincere. Non c'è 41%, e neppure 51% che giustifichi sulla questione delle regole un'intolleranza per chi la pensa diversamente.

Ora questo giovane leader deve dimostrare di non essere un altro capo populista, come altri che abbiamo conosciuto in questi anni, ma uno statista, e un leader che vuole promuovere una nuova stagione “democratica”.

Avere la capacità di fermarsi non è un atto di debolezza, ma una dimostrazione di forza: la forza della ragione, contro le ragioni della forza.

 

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IL DIBATTITO SULLE RIFORME

L’appello agli autosospesi

“Salvaguardate l’unità del Partito”

La riforma costituzionale e, in particolare, il profilo e la natura che il nuovo Senato dovrà avere hanno dato al confronto interno al PD una connotazione che rischia di far male non solo al Partito, reduce da una vittoria elettorale nettissima che lo carica di particolari responsabilità, ma anche al Paese, che richiede determinazione e coerenza nel processo di cambiamento che il Governo Renzi ha avviato.

La decisione di autosospendersi dal gruppo di 13 senatori del Pd, tra i quali i 3 eletti all’estero, a seguito della sostituzione di alcuni di loro nella commissione nella quale si sta discutendo della riforma costituzionale ci appare non convincente e non giustificata.

La rivendicazione della libertà di coscienza, infatti, sacrosanta su questioni che attengono alla sfera etica e morale, a noi sembra inappropriata rispetto a una questione di architettura costituzionale che, per quanto importante e delicata, va affrontata nell’ambito e con le regole del confronto democratico, per il quale vale il rapporto maggioranza-minoranza.

Il diritto al dissenso rispetto a specifiche soluzioni, anch’esso intangibile in ogni sede, di partito e istituzionale, non può diventare di fatto, in particolari condizioni, un grimaldello per scardinare un’impostazione che in più occasioni ha avuto il vaglio della discussione e della decisione democratica. I gruppi del PD di Camera e Senato, infatti, hanno numerose volte discusso la questione delle riforme costituzionali ed orientato la propria azione, non senza posizioni dialettiche, al sostegno del progetto di riforma presentato dal Governo. L’iter in Commissione Affari costituzionali del Senato doveva passare per una fase istruttoria di confronto con le altre forze, con l’obiettivo di arrivare a un testo unificato, garantito dalla maggioranza che sostiene il Governo e dal Partito Democratico, che ne è il fulcro.

La libertà di esercitare il mandato parlamentare e di dissentire, valori certamente da tutelare, trovano giustificazione e certezza nel dialogo costante con il proprio gruppo di appartenenza e nel rispetto del vincolo fiduciario con esso che giustifica il rapporto di rappresentanza. La sede propria, dunque, per manifestare una diversa opinione rispetto a quella del gruppo di appartenenza è quella dell’Aula, dove ci si misura con la proposta definitiva e si parla all’intero Parlamento e all’opinione pubblica. Non può essere quella della Commissione, se la diversa opinione nelle condizioni date impedisce ad un partito che ha responsabilità di maggioranza e di governo di avanzare una proposta complessiva già passata attraverso i filtri di una confronto democratico interno.

Queste considerazioni non sono un giudizio sulle decisioni assunte dal Gruppo PD del Senato, né una valutazione sulla decisione di autosospendersi assunta anche da tre colleghi senatori eletti all’estero. Sono, piuttosto, un’espressione di quella libertà di opinione che loro stessi rivendicano.

Ci auguriamo sinceramente che prevalga il senso di responsabilità, che si lavori per salvare questa legislatura e che si metta a frutto la credibilità politica guadagnata con il voto del 25 maggio, che ci impone di proseguire sulla strada delle riforme indicata dal Governo e sostenuta dalla grande maggioranza del PD. La questione che ci troviamo ad affrontare è tutta politica, non costituzionale. Il Partito Democratico è chiamato a usare la forza che ha ricevuto dall’elettorato per portare a buon fine il cammino delle riforme e dare segni concreti di saper corrispondere con i fatti all’attesa di cambiamento. Questo vale per tutti, non solo per una maggioranza interna.

I deputati Estero cel PD

Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta

 

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IL DIBATTITO SULLE RIFORME

PARLANO GLI AUTOSOSPESI

“RIENTRIAMO NEL GRUPPO MA…”

Sosterremo i nostri emendamenti al testo base del Governo

Abbiamo preso atto delle dichiarazioni del presidente del gruppo Pd del Senato, Luigi Zanda. Le riteniamo positive su due punti di grande rilievo.

1) Viene confermato come l'articolo 67 della Costituzione valga sempre, tanto in aula quanto in commissione.

2) I 20 senatori che avevano firmato il Ddl Chiti e i 14 che si sono autosospesi dal gruppo a difesa dell'articolo 67 della Costituzione, fino a quando non fosse intervenuto un chiarimento, non vengono considerati 'frenatori delle riforme' o 'ricattatori della maggioranza', ma colleghi impegnati in una battaglia politica, che come tutte le battaglie può essere discussa, ma resta legittima.

Riteniamo non positiva, invece, la decisione di confermare le sostituzioni di Corradino Mineo e di Vannino Chiti nella Commissione Affari Costituzionali.

Con questa seria riserva, riteniamo che le dichiarazioni del presidente Zanda ci consentano comunque di riprendere il lavoro all'interno del gruppo Pd del Senato. In particolare, continueremo a sostenere i nostri emendamenti al testo base del Governo che, peraltro, le trattative in corso o in fieri con Lega, Forza Italia e M5S potrebbero ulteriormente modificare.

Gli emendamenti verranno sostenuti in Commissione. Quelli che non fossero accolti potranno essere ripresentati in Aula. Una speciale attenzione verra' data alla riduzione contestuale del numero dei senatori e dei deputati, alla elezione diretta di tutti pur nel superamento del bicameralismo paritario, all'obbligatorieta' del referendum confermativo, qualunque sia la maggioranza parlamentare che approvera' la riforma''.

I senatori del PD: Chiti, Corsini, D'Adda, Dirindin, Gatti, Giacobbe, Lo Giudice, Micheloni, Mineo, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci e Turano.

P.S.: Non e' stato possibile contattare il senatore Felice Casson, in missione all'estero.