martedì 28 ottobre 2014

L’Unità non può più restare in silenzio

Da l'Unità online  http://www.unita.it/

Testo dei lavoratori de l'Unità

L'Unità deve tornare in edicola al più presto. La sua assenza è una ferita per il pluralismo dell'informazione e per la stessa democrazia italiana. Chiediamo a chiunque abbia una responsabilità su questa storica testata di fare il possibile affinché la ferita sia sanata e decolli un nuovo progetto. Sappiamo che c'è spazio per un rilancio pure in un mercato editoriale così in crisi.

Non possiamo accettare che l'Unità venga abbandonata nel novantesimo anno dalla sua fondazione, dopo essere stata nella clandestinità uno dei fogli più importanti della lotta antifascista, dopo essere diventato nel dopoguerra il primo autentico quotidiano nazionale, dopo aver accompagnato e sostenuto il cammino della sinistra italiana nella democrazia, dopo aver scritto pagine indimenticabili di giornalismo e di cultura.

Dobbiamo fare il possibile, tutto il possibile, per dare un futuro alla storia de l'Unità. E' questo che chiedono i lettori del giornale, decine di associazioni della società civile, del mondo sindacale e politico, numerose fondazioni culturali, scrittori e artisti, che già si stanno organizzando, assieme alla redazione, per lanciare una iniziativa di azionariato diffuso, così da poter partecipare al nuovo progetto editoriale e sostenere chi si assumerà le principali responsabilità dell'impresa.

L'Unità è un pezzo importante della storia di questo Paese, ma è anche un punto di incontro e di riferimento per chi, sfidando il vento dell'antipolitica e del populismo, crede nell'importanza dell'impegno costruttivo e delle battaglie sociali. Siamo entrati in un tempo radicalmente nuovo che, proprio per questo, ha bisogno di un pensiero critico e di un pluralismo vivo. Per rafforzare la libertà occorre guardare la realtà senza pregiudizi, denunciare e combattere le diseguaglianze vecchie e nuove, individuare e correggere le debolezze dei poteri democratici, cogliere e intensificare le connessioni tra persona e comunità, tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale, tra diritti individuali e diritti sociali, tra pace nel Mediterraneo e nuovi equilibri in Europa.

Non è progresso quando si riducono i punti di osservazione. Anzi, aumenta il rischio del pensiero unico. E' per questo, anche per questo, che l'Unità ha una lunga storia ancora tutta da scrivere. Nel momento in cui il centrosinistra si trova a guidare l'Italia con il proposito di farla uscire dalla crisi più lunga e profonda dal dopoguerra, la necessità di uno spazio libero e critico diventa ancora più importante e strategica, così come quella di una riflessione profonda e sincera sui nuovi lavori e i nuovi diritti dei lavoratori, le tutele da aggiornare e quelle da rafforzare.

La sinistra ha bisogno di un giornale vivo, e talvolta scomodo, per evitare la tentazione di un riformismo dall'alto che la renderebbe debole e subalterna. Di un giornale vivo ha bisogno la società italiana, in tutte le sue articolazioni politiche, sociali, culturali, religiose. Di un giornale vivo ha bisogno la nostra cultura, che si confronta nella modernità ma che non può rinunciare alle differenze, alla creatività, al coraggio di sperimentare.

Di una nuova stagione de l'Unità ha infine bisogno il pluralismo dell'informazione e il giornalismo, che non è solo un patrimonio professionale di chi lavora nel settore, ma lo strumento indispensabile per il corretto e pieno funzionamento della democrazia e un termometro, efficace e insostituibile, della coscienza civica del Paese.

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Aspettando Juncker

Da Avanti! online www.avantionline.it/

di Daniele Unfer

Prima al Senato e poi alla Camera, Matteo Renzi è intervenuto sul Consiglio europeo in programma domani e dopodomani a Bruxelles. Un Consiglio che si svolge sotto la presidenza italiana, di cui, a dire il vero, non sembrerebbero essere rimaste molte tracce, e l’ultimo della stagione targata Barroso. Renzi non ha perso l’occasione di sottolineare che “siamo in una fase di transizione e che la grande vittoria di questi mesi è stata aver proposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro, primo segno di attenzione della nostra realtà istituzionale europea non solo al rigore e all’austerità ma anche alla crescita”.Un cambio di prospettiva, dopo gli anni di rigore targati Merkel-Barroso. Ora, anche se ancora in punta di piedi, un nuovo vocabolo è entrato a far parte del lessico europeo: flessibilità. Quella tanto invocata dal premier italiano che con il suo governo ha inaugurato un nuovo tipo di approccio con Bruxelles. E nel giorno in cui l’Italia attende la lettera di Bruxelles sulla manovra, i cui contenuti, sottolinea Renzi, sono espressione nelle presidenza Juncker e non della presidenza Barroso, il premier ha illustrato alle Camere le prospettive italiane al Consiglio europeo. Insomma per Renzi il cambio di passo della commissione è fondamentale per dare concretezza ai contenuti messi nelle legge di stabilità. Il vertice di domani, dunque, rappresenta un passaggio davvero rilevante.

“Ci sono tutte condizioni – ha detto Renzi – perché una volta che dalla settimana prossima a Bruxelles si siano cambiate le poltrone, si possano cambiare anche le politiche, per una Europa non burocratica” in cui “l’Italia sta a testa alta”. Renzi ha ricordato che “è pronto il piano di investimento europeo; è gigantesco, servirà per la creazione di posti di lavoro. Tutto questo è frutto dell’impegno italiano. L’Europa finalmente volta pagina. La più grande vittoria dell’Italia in Europa è quella di aver proposto e per alcuni versi imposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro. E’ il primo segno di attenzione non solo all’austerità e al rigore ma anche a crescita e investimenti. Vorrei che le nuove istituzioni europee – ha detto ancora Renzi – mostrassero un po’ più di coraggio e l’orgoglio di appartenere a questa Comunità che è l’Europa”, ha poi dichiarato rivolgendosi ai senatori presenti, “la Ue sta cambiando le sue istituzioni e bisogna cogliere questa occasione” perché “noi non siamo gli osservati speciali”, ma un Paese che fa le riforme.

Infatti la fretta estiva sulla riforma del Senato era propedeutica proprio a questo: dare dell’Italia l’idea di un paese che sta facendo i compiti a casa. “L’Italia – ha detto Renzi a questo proposito – si presenta a questo vertice europeo avendo mantenuto l’impegno ad aprire alcuni cantieri di riforma credibile. Ma – ha aggiunto – ha bisogno di uno scatto in più: la consapevolezza di ciò che siamo e rappresentiamo”. Ineludibile un passaggio sulla lettera di Bruxelles. “È naturale” che arrivi, ma non basta per parlare di bocciatura”.

Il premier l’ha definita un “emblematico genere letterario” che sta “suscitando entusiasmo e passione di parte di noi e dei media”: ma “è naturale, per le nuove procedure, che quando mandi la legge Stabilità si inizi a discutere, a verificare i punti”. Ma è anche impressione di molti che questa manovra, che in serata è stata finalmente “bollinata ” dalla Ragioneria generale dello Stato e trasmessa al Quirinale, sia basata sulla suggestione e sull’idea che qualcosa è cambiato rispetto al passato. Ma in realtà è l’unica manovra che il governo potesse fare per cercare di ridare un po’ di fiato a un Paese stretto nella morsa del rigore europeo, soffocato dal debito pubblico e angosciato ogni giorno dall’andamento dello spread. Ma è una manovra che agisce in deficit. Non regala nulla, anzi. Posticipa solo, forse aggravandole, le scadenze, facendo pagare a maggior prezzo domani quello che viene scontato oggi.

Una curiosità. Sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio sono state presentate al Senato sette mozioni. Su quella della maggioranza, a prima firma Luigi Zanda, e su quella del leghista Roberto Calderoli, riformulata, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha annunciato parere favorevole. Negativo su tutte le altre. La risoluzione del leghista Roberto Calderoli ha ottenuto 223 sì, 6 no e 43 astenuti. Più di quanto abbia preso quella della maggioranza: 152 sì, 107 no e 4 astenuti.

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lunedì 13 ottobre 2014

CONTRO LA GUERRA

 
DISCORSO NEL CENTENARIO DELLA RISOLUZIONE PER LA
PACE DEI SOCIALISTI ITALIANI E SVIZZERI A LUGANO
 
di Felice Besostri
 
(Lugano, 28 Settembre 2014) - Oggi è una ricorrenza importante perché il 27 settembre 1914 i socialisti italiani e svizzeri due dei pochi partiti socialisti che non si fecero travolgere dalla deriva bellicista, redassero una Risoluzione contro la Guerra, la prima guerra mondiale. Lo è anche perché nello stesso luogo dove sorgeva l'Hotel Helvetia si trovano socialisti ticinesi e lombardi per ricordare quell'evento. Voglio trarre un positivo auspicio che la giornata sia stata aperta da una compagna doppia nazionale, come è un doppio nazionale il compagno Filippo Contarini, presidente dell'Antenna italiana del PSS, organizzatore dell'incontro nato da una proposta del compagno Giovanni Scirocco che ho fatto mia. Io stesso sono un doppio nazionale ma non ticinese, benché l'italiano sia la mia lingua madre, ma neo-castellano. Sono anche un doppio socialista membro della Direzione Nazionale del PSI e della Presidenza della Internationale Sektion del PSS/SPS.
    La più antica (fondata nel 1897) e tuttora esistente rivista del movimento operaio e socialista in lingua italiana è L'Avvenire dei Lavoratori, che si pubblica a Zurigo e che ha avuto come direttori – oltre a Ciro Menotti Serrati, Angelica Balabanoff, Ignazio Silone e Pietro Nenni – anche tre grandi socialisti ticinesi come Guglielmo Canevascini, Ezio Canonica e Dario Robbiani. La Federazione Socialista Italiana in Svizzera è stata fondata nel 1894 come organizzazione di socialisti di lingua, non di cittadinanza, italiana, e lo stesso valeva e vale per il Cooperativo, loro luogo di riunione.
  
Qualcuno leggendo i nomi dei socialisti italiani e svizzeri in calce all'appello si è chiesto se siamo altrettanto rappresentativi. Non dobbiamo preoccuparci anche se fossimo dei nani se ci sediamo sulle spalle di quei giganti possiamo vedere più lontano di loro. Loro avevano individuato i pericoli di una guerra, noi e le generazioni che ci hanno preceduto le abbiamo sperimentate sia della Prima che della Seconda Guerra Mondiale e dei loro dopoguerra, con la divisione del mondo tra Est e Ovest e il confronto nucleare.
    Manes Sperber ricevendo il Friedenpreis degli editori tedeschi nel discorso di ringraziamento si era chiesto come fossa stato possibile che i milioni di cittadini che da Parigi a Berlino, da Vienna a Londra avevano manifestato contro la guerra pochi mesi dopo si sarebbero sparati addosso da opposte trincee. E il dramma del movimento socialista, che non avrebbe più ricostruito un'Internazionale Socialista, comprensiva di tutte le sensibilità. Bandiera Rossa la conosciamo tutti ma si dimentica sempre la terza strofa "Avanti popolo non più frontiere/ stanno ai confini rosse bandiere"-. Negli anni 60 faceva ancora parte della nostra formazione politica Addio Lugano Bella e Gorizia, un grido contro la guerra. E' necessario ritornare ai valori del passato quelli espressi nella risoluzione contro la guerra di cento anni fa. In un cero senso è il Socialismo una nostalgia del futuro. Si colgono segni di pericolo inquietanti non solo nei focolai di guerra nel Medio oriente e nel Mediterraneo con il tradimento delle primavere arabe nella stessa Europa in Ucraina, ma tutto avviene anche perché ce stato uno sviluppo ineguale. La globalizzazione e la finanziarizzazione dell'economia non hanno ripartito la ricchezza con modalità più eque nel mondo, ma spesso hanno accentuato le differenze tra le parti più sviluppate e quelle più arretrate ed anche ha aumentato le diseguaglianze tra la parte più ricca e quella più povera anche nei nostri paesi.
    L'Europa Unita ha preso il Nobel per la Pace, ma non è all'altezza della sua missione anche simbolicamente se la guardiamo su una carta geografica ha un vuoto nel suo centro, in corrispondenza del cuore di un corpo umano: La Svizzera non ne fa parte e quindi ci manca la sua esperienza di collaborazione tra popoli di lingue e religioni diverse. Ha una sua responsabile di i politica estera e di sicurezza, con l'altisonante grado di Vicepresidente della Commissione Europea ma non una politica estera e di sicurezza comune. Non gioca quindi un ruolo sullo scenario internazionale. Non è quello che si immaginava nel manifesto di Ventotene, né quello per cui si sono battuti europeisti socialisti come Ignazio Silone o Eugenio Colorni. Oggi con il nostro incontro abbiamo ripreso in mano la loro bandiera.

giovedì 2 ottobre 2014

I turbamenti del giovane Renzi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

 Comincia a farsi dura per il governo Renzi. In pochi mesi ci sono i primi segnali di inversione di tendenza dei livelli di consenso che ne avevano accompagnato la ‘scesa in campo’ a spese di Bersani e Letta e che avevano trovato vistoso riscontro elettorale alle Europee.

 

di Fabio Vander

 

I fatti, si sa, hanno la testa dura e il governo in carica comincia a sbattervi la propria di testa.

   Problemi politici e di merito. Riguardanti soprattutto il senso e la tenuta del maggiore partito della maggioranza, ma poi anche il rapporto con i sindacati e con il mondo imprenditoriale. Inaspettate sono poi arrivate le critiche da parte della Chiesa cattolica, mentre ereditato da Berlusconi è rimasto il conflitto ormai ‘classico’ con la magistratura.

    Quanto alla considerazione della classe politica italiana all’estero, è rimasta allo stesso (infimo) livello dei tempi di Berlusconi.

    Troppe cose insieme per fare finta di niente. Non è questione di “vecchia guardia”, ma di inequivoci segnali che vengono da settori decisivi della classe dirigente. L’opinione pubblica seguirà.

    L’epicentro della crisi è come al solito il PD. Perse infatti anche le elezioni del 2013, la classe dirigente ex-comunista ha visto svanire ogni residua credibilità. La “rottamazione” è parsa a quel punto inevitabile, anzi tardiva. L’exploit di Renzi si spiega e giustifica così.

    Ma anche per lui è giunta presto la prova dei fatti. Dopo pochi mesi di governo viene chiesto conto. E qui è appunto difficile prendersela genericamente con i “conservatori” politici e sindacali.

    L’attacco di De Bortoli sul “Corriere” del 24 settembre è stato un fatto inusitato per violenza e nettezza. Scalfari su “Repubblica” del 28 settembre si è detto d’accordo con De Bortoli nella condanna di Renzi e del suo governo, definito “frutto di tempi bui”. Renzi è riuscito a ricompattare “Repubblica” e “Corriere”, gruppo De Benedetti e RCS. Anche qui qualcosa di mai visto.

    Nel merito della questione dell’articolo 18, sollevata pretestuosamente da Renzi in chiave anti-sindacale e anti-popolare (“i padroni hanno diritto a licenziare”, è arrivato a dire), Scalfari ha opposto: “penso che bisognerebbe conservarlo, l’art. 18, così inteso e riconoscerlo anche ai lavoratori impiegati in aziende con meno di 15 dipendenti”. Sembra di leggere Landini o Ferrero e invece è Scalfari.

    A difesa del premier c’è rimasta la poco convinta voce di Squinzi, quella interessata di Marchionne e quella tutt’altro che credibile di Alan Friedman. Il giornalista americano sul “Corriere” del 29 settembre prima ha criticato le “mezze misure” a difesa dell’articolo 18, definendole “gattopardesche”, poi però ha auspicato l’estensione del “patto del Nazareno” fra Renzi e Berlusconi anche alle materie economiche. Dunque convergenza tra destra e sinistra su un programma di governo (non più solo sulle ‘riforme’ costituzionali), che “non ha alternativa”. Gattopardismo transatlantico.

    Tornando alle cose serie: la situazione è grave. A questo punto non solo per il governo, ma per il Paese.

    Questo autunno sarà decisivo. Denso di nuvole e pericoli. Politici e economici, certo, ma non solo. Se De Bortoli denuncia lo “stantio odore di massoneria” sollevato dal “patto del Nazareno” (e dai suoi risvolti toscani) e se l’ex-Presidente dell’Antimafia Lumia sul “Corriere” del 28 settembre (...molti allarmi promanano dal “Corriere” di questi tempi) ci avverte delle “verità terribili” che si annunciano sui rapporti Stato-mafia, allora c’è da stare ben desti.

    Bisogna porsi l’obiettivo di un superamento in positivo dell’attuale quadro politico. Sapendo che l’alternativa a Renzi qui è ora non c’è e che il semplice malessere o la recriminazione non bastano, occorre un progetto politico, che non si improvvisa, ma al quale bisogna mettere mano da subito. Perché certo non si può stare ad aspettare il ventilato governo Visco di ‘salvezza nazionale’ (né quello autoprodotto di Della Valle). Non serve un nuovo Monti, un nuovo Letta e men che meno una emanazione diretta della Troika.

    Lavorare a una via d’uscita di sinistra. Comunque democratica. Alcuni punti fermi: pare evidente che l’alternativa a Renzi non può venire dal PD ovvero dalla sua ‘sinistra’. Questa, si diceva, è il problema, non la soluzione.

    Il resto della sinistra? La condizione di SEL resta comatosa dopo la scissione che ha portato fuori Migliore e gli altri. Si contrappongono una linea che punta ancora sulla Lista Tsipras e una che parla di “ricostruzione di una soggettività di sinistra con ambizione di governo”. Che però a ben vedere è la stessa linea dei fuoriusciti di Migliore. Il dibattito è stantio e soprattutto l’azione politica è ferma. In un recente documento di SEL si ammette che la “proposta politica è incerta”, il partito ha un’identità “liquida e impercettibile” ed è “piantato sulle gambe”. Anche qui però non ci si può aspettare che Vendola porti oltre una crisi di cui è in primis responsabile.

    La domanda è quella di sempre: che fare? Anche la risposta è stata però più volte formulata: promuovere la costituente di un nuovo partito della sinistra. Qualcosa sembra muoversi. Quest’estate Alberto Asor Rosa e Piero Bevilacqua sono stati espliciti sul punto. La novità è che anche Scalfari ha iniziato a parlarne. Su “Repubblica” del 14 settembre, prese le distanze dal PD di Renzi, ha scritto: “torniamo ad un partito politico” e addirittura ad un partito con una precisa identità, con una sua “ideologia”, perché altrimenti c’è solo “un’esistenza day-by-day, la vita inchiodata al presente senza passato né futuro”.

    Dunque: partito, ideologia, recupero del “passato”, senso del “futuro”.

    Che anche settori non della sinistra tradizionale e storica avvertano il problema, dà il senso della portata della crisi. Il rischio dell’eterodirezione c’è, ma se ancora esiste una classe dirigente di sinistra, è con queste sfide che deve cimentarsi, recuperando il senso e la responsabilità di una missione nazionale. 

Camusso: quelle tutele da allargare

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

 

"Con il 25 ottobre inizia una stagione di conquista di un cambiamento nella politica economica del paese. Senza articolo 18 tutti i lavoratori diventano di serie B. Per ripartire, serve un piano straordinario per l'occupazione".

 

di Guido Iocca

 

“Con il 25 ottobre inizia una stagione di conquista di un cambiamento della politica economica del paese”. Non usa giri di parole Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, quando parla della decisione adottata dal direttivo nazionale della sua confederazione, riunito il 27 settembre a Bologna, di indire una giornata di mobilitazione nazionale finalizzata a promuovere le proposte del sindacato sul lavoro e in particolare sull’estensione dei diritti a tutte le lavoratrici e i lavoratori.

    Camusso - La piattaforma che il nostro direttivo nazionale ha varato lo scorso sabato è impegnativa, perché rivendica scelte di politica economica volte a dare una risposta alle grandi emergenze del paese, a cominciare da quelle della mancanza di lavoro, della nuova emigrazione giovanile, della precarietà, fornendo a questo fine un’indicazione esplicita: e cioè che se si vuole invertire questo trend, l’Italia ha più che mai la necessità, oltre a rimettere in discussione le politiche di austerità e le pure logiche di bilancio, oltre ad avere una politica economica espansiva, di un piano straordinario per l’occupazione, uno strumento che andrebbe finanziato con una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Se si vuole una politica espansiva bisogna guardare a dove ci sono le risorse, incentivare gli investimenti e non pigliarsela con il lavoro, impoverendolo ulteriormente.

    Rassegna - A sostegno di questa piattaforma, la Cgil ha convocato per il prossimo 25 ottobre una manifestazione a Roma…

    Camusso - Sì, sarà una grande iniziativa di proposta con al centro la richiesta di una svolta per il nostro paese, a partire dalla libertà e dall'uguaglianza del lavoro. Con l'appuntamento del 25 ottobre inizia per noi una stagione importante. Attorno all’idea di cambiamento della politica economica di questo governo, all'allargamento dei diritti di cui ci facciamo promotori, non escludo si possa tornare a incontrare in tempi brevi le altre confederazioni in un percorso comune.

    Rassegna - A Bologna non hai escluso nemmeno il ricorso a forme di lotta ancora più dure, come lo sciopero generale, se sulla riforma del lavoro l’esecutivo Renzi dovesse decidere di procedere con il decreto.

    Camusso - Certamente, perché noi continuiamo a dire, e a pensare, che su temi cruciali come quelli del lavoro e del mercato del lavoro, così come avviene in qualunque paese normale, si debba dare sempre priorità al confronto con le organizzazioni sindacali, per costruire delle soluzioni condivise. È chiaro che una scelta come quella del decreto rappresenterebbe una rottura, una lacerazione, sarebbe la conferma che nella visione di questo governo il lavoro non ha più nessun titolo di rappresentanza, nemmeno come interlocutore per quel che riguarda direttamente il confronto sulle sue condizioni. Una volontà di scontro che richiederebbe una risposta altrettanto forte e decisa.

    Rassegna - Intanto, sia dalla direzione del Pd lunedì 29 che dalla trasmissione di Fabio Fazio la sera precedente, Renzi continua a sostenere che è proprio attraverso le misure indicate dal suo governo che si supererà la divisione tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Cosa ti colpisce di più delle parole del presidente del Consiglio, il loro contenuto paradossale o la continua ricerca della provocazione nei confronti del sindacato?

    Camusso - Entrambe le cose. Che senso ha dire che siccome il reintegro è previsto solo per quelli che stanno in un’azienda di 15 o più dipendenti, i cosiddetti lavoratori di serie A, allora è più giusto toglierlo a tutti, iscrivendo di fatto l’intero mondo del lavoro al campionato di serie B? La realtà che Renzi continua a ignorare è che il cambiamento di cui il nostro paese ha assolutamente bisogno deve avere come bussola l’allargamento dei diritti e delle tutele, non la loro riduzione. Ma c'è qualcosa di più inquietante e negativo in alcune affermazioni del  presidente del Consiglio. Matteo Renzi dice che in materia di lavoro serve “un cambiamento violento”. Un'immagine che chi guida un Paese non dovrebbe mai evocare. L'uso di questa espressione ha in sé l'idea che qualcuno debba essere  sconfitto e qualcun altro debba prevalere. È la negazione che il lavoro possa essere attore del cambiamento. È un pensiero che ci riporta all’Ottocento con un salto indietro che scavalca il secolo della libertà e della dignità del lavoro.

    Rassegna - Ecco, l’allargamento delle tutele. Oltre a quelle previste dalla legge 300 sui licenziamenti senza giusta causa, ce ne sono altre – non meno importanti – per la cui universalizzazione il sindacato si batte da tempo: dalla maternità alla malattia, dagli ammortizzatori sociali all’equo compenso. Anche su questo versante, la riforma del lavoro non dà segnali incoraggianti…

    Camusso - Non c'è dubbio, la riforma del lavoro fornisce anche da questo punto di vista dei segnali negativi. Da un lato, con l'idea – per la quale sembra si siano particolarmente impegnati nella commissione in Senato – di peggiorare la contrattazione, che è invece il luogo in cui si conquistano, si affermano e si difendono i diritti, e dall'altro non includendo nelle tutele esistenti chi oggi ne è privo, perché vittima delle scelte politiche sbagliate fatte in questi anni. Su tutte queste materie non si segnala alcun tipo di apertura. Una valutazione che vale anche per la formulazione che c'è sul compenso orario legale: se non lo si equipara ai minimi tabellari dei contratti nazionali di lavoro, si afferma un principio di diseguaglianza, per cui è possibile – facendo lo stesso lavoro – ricevere retribuzioni differenti. Il tutto in aperto contrasto con la norma costituzionale e con lo stesso l'articolo 13 dello Statuto dei lavoratori.

    Rassegna - Cosa pensi delle rassicurazioni del premier in merito all’obbligo di reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari?

    Camusso - Quella abbozzata è una proposta molto confusa. Il documento approvato dalla maggioranza della direzione del Pd non è chiaro su precariato, tempo indeterminato e ammortizzatori sociali. Limitando la discussione solo ad alcune forme della collaborazione, in realtà si continuano a mantenere più di 40 forme di assunzione differenti, quindi non c'è un investimento effettivo sul tempo indeterminato, cioè sul cambiamento della qualità del mercato del lavoro. Ancora non si delineano i contorni della proposta sugli ammortizzatori e se, come abbiamo capito, il tema è il trasferimento delle attuali risorse della deroga agli ammortizzatori, non siamo di fronte ad alcuna estensione. Poi è a questo punto chiaro che l'articolo 18 viene tolto a tutti, relegando l'intero mondo del lavoro nella serie B. Le ragioni della nostra manifestazione del 25 sono ora ancora più forti.

 

 

IPSE DIXIT

 

Avvenimento politico - «Tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate.» – Alexandre Koyré